I genitori la mia casa, a me un affitto? No, tesoro, a te spetta laffitto, a me la libertà!
E qui sarebbe perfetta una credenza accanto al mobile, sognante disse Margherita Arcadi, facendo un giro con lo sguardo nel soggiorno. Basta solo togliere la poltrona, è scomoda. O dove la metti, Ginevra?
Ginevra rimase impassibile per un attimo. Non aveva ancora capito che quella donna non era una decoratrice televisiva, ma sua suocera. E che qui era il suo appartamento, quello che aveva comprato con i suoi risparmi di ventotto anni di freelance, di progetti infiniti, di caffè risparmiati e di notti senza sonno.
Forse mi lo prenderò a testa in giù, rispose lentamente, alzandosi dal divano. Non ho capito Voi vi state trasferendo?
Stiamo solo chiacchierando, rispose Margherita con un sorriso più trionfante che affettuoso. Io e il padre Domenico abbiamo semplicemente dato unocchiata. E poi? Un appartamento spazioso, ristrutturato da un designer. Laffitto è scomodo, e Paolo, dopo la sua stupida incidente, ha debiti che non riesce a pagare. E sai la famiglia è famiglia.
La parola famiglia fu pronunciata dalla suocera come se Ginevra non ne fosse affatto parte.
Sei una brava ragazza, Ginevra, hai un tuo reddito, non sparirai. Noi, due vecchi dove andremo a spostarci in angoli di affitto?
Avete sessantacinque anni, ribatté Ginevra. Non siete pensionati, siete una vita attiva. Giocate ai cruciverba, andate in campagna. Che centro io con il vostro appartamento?
Margherita si morse le labbra, arricciò il naso, poi tirò fuori la sua arma preferita.
Ti ricordo, ho messo su tuo marito. È stato lui a sostenerti quando eri in ospedale con la tua anemia. E adesso, con il fratello in difficoltà, ti giri dallaltra?
Quando il fratello si è schiantato contro un palo con la macchina di mio padre, con la moglie di un altro al posto di sedile, Ginevra lottò per non alzare la voce, nessuno mi ha chiamato per chiedere se volessi venire da voi mentre Paolo si lecca le ferite morali e i crediti.
Ginevra, intervenne Domenico, che finora fingeva di essere occupato in cucina, stiamo solo parlando. I genitori non pretendono nulla.
Ginevra si avvicinò alla porta e sussurrò:
Finché voi chiacchierate, io vivo. Nel mio appartamento, che voi volete trasformare in un dormitorio dedicato al grande martire Paolo. Non succederà.
Pensò di non alzare la voce, espirò e si diresse verso la camera da letto.
Per tre giorni Ginevra e Domenico non si parlarono. Lui si avvicinava a volte per dire Ti porto qualcosa dal negozio? o Non hai dimenticato che sabato è il compleanno di tua madre?. Lei annuiva in silenzio o fingeva di non sentire. Un silenzio denso, appiccicoso, quello che nasconde rancore in ogni parete.
Sabato accadde tutto.
Ginevra, Domenico guardava fuori dalla finestra come se volesse saltare, so che è difficile per te. I genitori non hanno altra via. Il credito è ricaduto su mio padre. Lappartamento è già in vendita. Tra un mese saranno in strada. E tu
Che cosa?
Sai che sei forte, troverai una via. Possiamo stare in affitto per qualche mese, poi troviamo una soluzione.
Pensò di colpirlo con la padella, poi di abbracciarlo, alla fine chiese:
Vuoi dire che devo lasciare la mia casa perché i tuoi genitori non sono più capaci di gestire i loro figli?
Non è così. È solo che tu hai più possibilità.
Io ho più cervello. Non lho sprecato in auto di altri, come tuo fratello. E non ho permesso a tua moglie di occupare senza il proprietario, sibilò Ginevra. Sai, Domenico, ti do un consiglio su come fare meglio?
Come?
Raccogli le tue cose. E vattene via con loro.
Domenico rimase immobile, per la prima volta in tutta la loro vita insieme. Non vedeva più nel suo volto il marito, il protettore, luomo di famiglia, ma solo unombra.
Non me ne vado, soffocò lui. Anche questo è il mio domicilio.
Comprato con i miei soldi.
Ma siamo una famiglia, Ginevra. La famiglia non è forse sacrificio?
Il sacrificio è quando ti chiedono, non quando ti impongono. Sai la differenza tra una vittima e una sciocca? La prima ha una scelta.
Non urlò, non pianse. Prese la valigia la sua valigia e la pose nel corridoio.
Puoi andare dove vuoi. Affittare una monolocale, stare da tua madre, dormire sul tetto di tuo fratello. Ma questo è il mio appartamento. Rimane mio. Tu, tua madre e il suo comò potete dimenticare la strada per qui.
Domenico uscì, senza vestiti, con gli occhi di un cane maltrattato. Prima di andarsene disse:
Ti pentirai. Nessuno vive solo per sempre.
Ginevra lo guardò e pensò: non sono sola. Sono con me stessa. E tu, non sai nemmeno con chi sei.
Quella sera bussò alla porta. Ginevra aprì: era Silvana, lamica.
Che cosa ti succede? Silvana entrò, la avvolse con un braccio. La scorsa settimana mi dicevi: Silvia, non è poi così male. E ora?
Ginevra versò del vino in un bicchiere.
Ora è come sua madre. Con il comò e i piani per la mia camera da letto.
Silvana scoppiò a ridere.
Lo sapevi che sua madre è una furia. Perché ti sei legata a lui?
Mi sembrava ragionevole.
Sembrava è la parola chiave. Ginevra, facciamo una fuga al sud? Hai un congedo forzato, no?
Non vado da nessuna parte. Rimarrò qui, con un bicchiere di vino. Quando arriverà il suo comò, lo butto dal balcone, al terzo piano, io stessa.
Silvana rise, poi si fermò.
E se torna?
Ginevra guardò il vino, fece un giro nella testa per tutta la settimana.
Allora comprerò un trapano e spezzerò la serratura con il codice che conosco solo io.
Sabato, alle dieci del mattino, mentre Ginevra stava per accendere il bollitore, suonò. Pensò a un corriere di Esselunga, forse per un frullatore. Aprì e rimase senza fiato.
Allingresso cera Margherita Arcadi, con una valigia. Dietro di lei, Paolo il fratello di Domenico magro in tuta sportiva, volto di sofferenza e di speranza di guadagnare qualcosa. Accanto a loro, Paolo senior, basso, calvo, con laria di un pensionato stanco dal 1987.
Buongiorno, disse la suocera come se fossero lì per un tè. Non staremo a lungo, solo un paio di mesi, finché lappartamento non si vende.
Ginevra non rispose. Le parole le morirono.
Ginevra, intervenne Paolo senior, scusaci, la situazione è fuori dal nostro controllo. Abbiamo un accordo con tua suocera, ma ora cè dei lavori. Domenico ha detto che non ti dispiace ospitarci qui.
Domenico? Ginevra finalmente parlò. Lha detto prima di cacciarmi fuori?
Siete litigati? chiese Margherita, già oltre la soglia. Vogliamo solo una soluzione pacifica. Non offendersi, siamo gente di famiglia.
Le parole di gente di famiglia rimbombarono nella sua testa.
Paolo iniziò a trascinare la valigia, odorava di sigarette e di olio di motore.
Paolo, non portarla sopra la soglia, è una cattiva ill omen.
Un presagio è quando vi lasciano entrare, non quando occupate. sussurrò Ginevra, ma nessuno lascoltò.
Si sedettero. Paolo si adagiò sul divano, appoggiò i piedi sul tavolino. Paolo senior ispezionò il balcone.
Si può fumare qui?
Si può tacere, replicò Ginevra. E andare via in fretta.
Margherita si sistemò in cucina, tirò fuori un barattolo di cetriolini, una busta di grano saraceno e stampi per biscotti.
Ho portato qualcosa di casa, così non dobbiate impazzire. Vivere insieme è umano. Io adoro lordine. E, per inciso, ho la mano leggera: cresce tutto!
Parla di patate in bagno? sbottò Ginevra. O di cactus in pentola? Lo ricordo.
Ginevra, basta sarcasmo. Tutti siamo in difficoltà. Ma tu e Domenico dovete restare uniti. Io sono una madre. Mi importa.
Vi importava quando, la domenica, ci imponevate il vostro borscht anche se avevo chiesto di non venire? Vi importava quando suggerivate di cambiare lavoro perché gli insegnanti sono stabili? E vi importava quando siete arrivati a casa mia senza preavviso, con valigie? Questo si chiama invasione, Margherita Arcadi. State giocando alla guerra?
Paolo intervenne:
Ginevra, lo sai non abbiamo dove andare. Tuo fratello diceva che sei comprensiva.
Tuo fratello sbagliava. Tu sbagli anche.
Ginevra prese il telefono e chiamò Domenico. Rispose al terzo squillo.
Ciao. Sono occupata, riunione
Capisco. Riunione, giusto? Ho qui la tua famiglia, con valigie, tuo fratello, tua madre, tuo padre. Hai detto che non ti opponi?
Pausa lunga, silenzio come gomma sotto la scarpa.
Pensavo vi sareste messi daccordo. Non sei crudele, hai un cuore grande
Sì, ma ora cè un buco enorme. Fine. Sei libero da me, da questo appartamento. Buona fortuna. E non dimenticare la mano leggera della tua mamma sui ripiani.
Ginevra appese.
Nel pomeriggio Margherita si sistemò.
Ginevra, possiamo stare nella camera da letto? Tu rimani in salotto?
No.
Ma tu sei sola, noi tre.
Esatto. Tre per uno è ciò che ho sempre desiderato, ma no.
Sei troppo egoista, disse la suocera. Una donna deve essere dolce.
Un uomo deve affittare se è adulto. O sposarsi con una donna che possiede casa, come mio marito.
Ti sei arricchita, sbottò Margherita. A la tua età la gente non vive da sola.
E voi, alla vostra età, vivete a spese altrui. Divertente, vero?
Lunedì mattina Ginevra andò al lavoro con lunico pensiero: Spargere tutti loro, prima che sia troppo tardi.
Nel corridoio una guardia di sicurezza, Nina, la fermò.
Ginevra, è venuto un giovane, diceva di essere della commissione abitativa. Voleva il tuo numero. Non glielho dato.
Di quale commissione?
Chi lo sa. Era carino, con uno zainetto. Dentro lo zainetto un comò di plastica! Capisci?
Ginevra capì subito: il comò di plastica era il segnale.
Quella sera andò da Oliva, lanziana del terzo piano, sempre scontenta.
Oliva, se sentite urla, odori di borscht, chiamate il poliziotto. Ho uninvasione.
Uninvasione?
I parenti dellex marito. Vogliono stare qui.
Dannazione, vi aiuterò.
Il giorno dopo chiamò il commissario. Arrivò con un agente e andò al suo appartamento.
Buongiorno, ho una denuncia che vivete illegalmente.
Come è illegal? sbottò Margherita.
Siete proprietari? chiese lagente, mostrando i documenti.
No ma è mia nuora!
È ex? replicò Ginevra, porgendo la carta.
Margherita impallidì. Paolo si nascose in bagno. Paolo senior tossì. Lagente annuì.
Avete unora per raccogliere le cose, o verrà considerato sequestro di abitazione.
Dopo unora e trenta minuti uscirono in silenzio, senza addii. Margherita lanciò:
Capirai, un giorno, quanto è solitario.
Ginevra chiuse la porta, si sedette sul pavimento e rise. La solitudine è vivere con chi non ti sente. Il silenzio riempiva la stanza, il bollitore solo quando decideva lei. Si alzò, entrò nella camera e notò un piccolo comò di plastica in un angolo, con un biglietto: Perché ti ricordi di noi. Torneremo. Con affetto, M.A.
Una settimana dopo lappartamento era immacolato come una sala operatoria dopo la disinfezione. Ginevra imparò a chiudere le porte con soddisfazione. La sera beveva tè in silenzio, senza Paolo sul divano e senza odori di interior.
A volte ascoltava il pianerottolo, specialmente il sabato, quando i vicini sussurravano che la suocera si era trasferita da una cugina a Birrulò, con un balcone senza vetri e un gatto dallo sguardo furioso.
Il comò rimase nel ripostiglio, perché lasciamolo lì. Simbolo.
Sabato, alle sette di sera, mentre Ginevra lavava i bicchieri per ordine, suonò di nuovo.
Era Domenico, in jeans nuovi, con un mazzo di crisantemi, come a un funerale. Dietro di lui, sua madre, avvolta in un cappotto di pelliccia, il volto tirato come chi è stato trascinato a forza da un medico. Accanto a lei cera Loredana, unaLoredana, con una casseruola di borscht fumante, si avvicinò a Ginevra, sorrise amaramente e disse: “Il vero combattimento è riconquistare la propria vita”.






