Mi chiamo Marco, e il mio rapporto con mia nuora è stato un vero inferno fin dal primo giorno. Giuro su quanto ho di più caro, non ho fatto nulla di male – volevo solo creare un legame con quella ragazza, Laura. Ma lei mi trattava come se fossi un appestato da evitare a tutti i costi.
Laura non rispondeva mai alle mie chiamate. Mio figlio, Luca, mi richiamava dopo giorni, borbottando che era troppo impegnato. E se mi veniva in mente di passare a trovarli nella loro casetta in affitto vicino a Verona, lei spariva come un’ombra – un attimo al mercato, un attimo da un’amica, qualsiasi scusa pur di non incrociarmi.
Mi faceva ribollire il sangue. Quindi, finché ai giovani tutto fila liscio, io per loro non esisto, eh? Ma non appena la vita li colpisce duro, corrono da me come se fossi il loro eterno salvatore. Dove sta la giustizia, per tutti i diavoli? È così difficile alzare la cornetta e dire: “Papà, stiamo bene”? No. Luca mi rifilava sempre la solita solfa: “Non ho tempo, papà, ti richiamo.” Ovvio, non richiamava mai.
Poi, poco tempo fa, Luca si è trascinato sulla mia soglia, pallido come un morto, a mani vuote. Mi ha chiesto se avevo un martello e dei chiodi. Per poco non sono svenuto. Vivevano in una casa in affitto costosissima vicino a Verona, con un contratto che gridava “niente riparazioni” a caratteri cubitali! Poi mi ha mollato la bomba: “Papà, possiamo stare da te io e Laura?”
Ed ecco che tutto il disastro è venuto a galla. Il padrone di casa li ha sbattuti fuori – ha deciso di vendere e incassare. E loro? Non pagavano l’affitto da mesi, completamente al verde. Laura è “in congedo di maternità”, e Luca? Licenziato in tronco.
Il mio appartamento ha tre stanze, sta in un angolo dimenticato di Torino. L’ho comprato con la mia ex moglie, ma lei vive con un altro da sedici anni. Quindi è tutto mio. Non è un palazzo, ma è casa mia. Luca se n’è andato per l’università, ha vissuto in un dormitorio, poi ha preso la sua strada. Ha conosciuto Laura, sono andati a vivere insieme, hanno tirato avanti qualche anno, poi si sono sposati. Sognavano una casa con un mutuo, ma tutto è andato in pezzi. Quando ho chiesto a Luca cosa pensavano di fare, mi ha ringhiato: “Non sono affari tuoi, papà.”
Fin dall’inizio tra me e Laura c’era un abisso gelido. Pensavo che forse mi temeva, il vecchio burbero. Luca mi diceva: “È fatta così, papà, non prenderla sul personale, non è una chiacchierona.” Non chiacchierona? Ma fammi il piacere! Con mio figlio ha trovato il modo di parlare, no? Sa amare – l’ha sposato, vero? Allora perché per lei è una tortura rivolgermi una parola?
Laura ignorava le mie chiamate come se fossero veleno. Luca mi richiamava tardi, stanco morto, e biascicava qualcosa di vago. Non andavo da loro vicino a Verona – perché umiliarmi? Ma se ci andavo, lei svaniva in un battito di ciglia.
Speravo che la nascita di mia nipotina sciogliesse il ghiaccio. Illusione. Laura ha trasformato ogni incontro con la piccola in una battaglia – dovevo quasi implorare per vederla. Se la cavava da sola – i suoi genitori vivono chissà dove vicino a Bari, della nipote non gliene importa nulla, non si muovono per aiutare.
Alla fine ho mollato. Forse è meglio che non mi sia legato troppo alla bimba. E ora la loro vita sta crollando. Il congedo di Laura finisce, ma il lavoro non c’è più. Luca è stato mandato via. Il proprietario li caccia. Ed eccolo qui, mio figlio, davanti a me: “Papà, salvaci.”
L’ho guardato negli occhi e ho messo i paletti: “Tu e la piccola potete stare da me. Laura? Che vada dai suoi. Fine.” Qualche giorno fa mi snobbava come se fossi un nessuno, e ora vuole il mio aiuto? Mi dispiace, cara – arrangiati da sola. Ho chiuso con il farti da ancora di salvezza.