Allontanamento dalla Figlia: L’Ombra del Passato

Rottura con la figlia: l’ombra del passato

Sono già due anni che Tamara Bianchi non parla con sua figlia Giovanna. Un anno fa, senza motivo, Giovanna ha smesso di rispondere alle sue chiamate. Ha cambiato le serrature del suo appartamento in una piccola cittadina sulle rive dell’Arno e ha chiarito che non vuole vedere la madre a casa sua. Tamara ancora non riesce ad accettare questa rottura, e il cuore le si stringe ogni volta che pensa a lei.

«Sono due anni che non ci sentiamo», sospira Tamara, la voce tremante per l’emozione trattenuta. «Giovanna vive la sua vita: pubblica foto sui social, esce con gli amici. Ma a me, né una chiamata né un messaggio. È una donna adulta, ha una bambina di tre anni e un marito, vivono nel loro appartamento. Io sono sempre stata severa—con me stessa, con gli altri, e anche con lei. Credo che un genitore debba essere esigente. Volevo che studiasse, che aiutasse in casa, che si curasse».

Tamara non ha cambiato i suoi princìpi neanche dopo che la figlia ha formato una famiglia. La visitava spesso, ma ogni incontro diventava una prova. «Come si può vivere in questo disordine?» si arrabbiava, sistemando le cose negli armadi come se Giovanna avesse ancora dieci anni. Indicava i piatti sporchi, la rimproverava per la poca attenzione alla bambina e non esitava a criticare il marito: «Alessandro non serve a niente, è sempre senza un euro in tasca!» Tamara era convinta che solo lei potesse dire a sua figlia la verità, anche se faceva male.

Un anno fa, tutto è cambiato. «Ho chiamato Giovanna, come al solito», ricorda Tamara, gli occhi oscurati dal risentimento. «Le ho detto che la figlia di mia nipote legge già a quattro anni. Lei ha perso la pazienza: ‘Perché confronti i bambini?’ Mi ha sorpreso—come non confrontarli, se la differenza è evidente? Quella è stata l’ultima volta che abbiamo parlato». Poco dopo, Tamara ha scoperto che Giovanna aveva cambiato le serrature e le aveva proibito di entrare in casa. «Pensavo fosse un capriccio momentaneo», dice. «Credevo che si sarebbe ravveduta e sarebbe venuta a scusarsi. Ma non l’ha fatto».

I mesi passavano, e il silenzio di Giovanna diventava sempre più opprimente. A fine luglio, Tamara ha compiuto gli anni. Aspettava una sua chiamata, ma il telefono è rimasto muto. «Non fare gli auguri a tua madre!» esclama con amarezza. Il giorno dopo, non ha resistito e ha chiamato da un altro numero. «Le ho detto: se non vuoi parlare con me, lascia il mio appartamento!» ricorda, la voce tremante di rabbia.

Il fatto è che sei anni prima, prima del matrimonio di Giovanna, Tamara le aveva intestato il suo appartamento. «Alessandro, suo marito, guadagnava una miseria», spiega. «Volevo aiutare la giovane coppia, ne avevo la possibilità. Ma ora che mi ha voltato le spalle, trovino pure un’altra casa!» Giovanna ha risposto duramente: l’appartamento è suo, i documenti sono in regola, e nessuno può cacciarla. «Ha detto che quella è casa sua e che non ho diritto di chiedere niente», si indigna Tamara. «Dov’è la giustizia?»

Tamara è convinta di aver fatto la cosa giusta. «Se è così indipendente, lo dimostri!» dice con sfida. «Si cerchi un’altra casa, visto che non apprezza sua madre». Ma dentro di sé, il dolore la tormenta. Ricorda quando cresceva Giovanna, quando le insegnava a essere forte, quando sognava un rapporto più stretto con lei. «Volevo solo il suo bene», sussurra, gli occhi pieni di lacrime. «Perché mi ha rifiutata?»

Giovanna, dal canto suo, mantiene il silenzio. Forse si è stancata dei continui rimproveri e del controllo materno. Forse voleva solo proteggere la sua famiglia da un’ingerenza che sentiva come oppressione. Ma Tamara non è pronta ad accettare questa fine. Aspetta che sia la figlia a fare il primo passo, ma con ogni giorno che passa, la speranza svanisce come la nebbia mattutina sul fiume.

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