Amicizia: Sì o No?

**Amici o non amici?**

“Papà, smettila di fare lo schiizzinoso! Non ti sto chiedendo di iscriverti al Ministero degli Sconosciuti, ma a ‘Vecchi Compagni’,” disse Leo dopo quaranta minuti passati a cercare di digitalizzare l’identità di suo padre e lanciarlo nel vasto oceano dei social network. Ma quello oppose resistenza.

“Non mi servono queste cose!” Il padre nascondeva il suo vecchio telefonino a tasti, sul quale era arrivato già il decimo codice di attivazione. “Rimanete pure voi a sguazzare nelle vostre reti come pesciolini, ma lasciatemi fuori. Ho già abbastanza dipendenze—a che serve aggiungerne un’altra?”

“Per socializzare, papà. Potresti ritrovare i tuoi ex compagni di scuola, colleghi di lavoro, commilitoni… parlare con loro…”

“Mai e poi mai!” Spaventato, il padre lanciò il telefono dalla finestra. Fortuna che non si rivelò—abitavano al primo piano. “Metà di loro è già nell’aldilà! Avrò tempo di chiacchierare con loro dopo.”

“L’altra metà invece è viva. Poi ci sono io e Tania, ma tu parli solo con i truffatori al telefono.”

“Almeno loro mi ascoltano! Ieri ho parlato per tre ore con la ‘manager Katia’ del carcere di massima sicurezza. Sai quanto è difficile per loro offrire servizi extra dopo il coprifuoco?”

“Potresti almeno provare? Una settimana. Se non ti piace, ti lascio in pace.”

“Va bene. Ma allora tu vieni con me alla partita di calcio a maggio,” pose come condizione il padre.

“Te l’ho già detto, sarò a Genova per lavoro,” rispose Leo, già in cortile a cercare il telefono tra i cespugli.

“Hai detto che forse non saresti andato,” ribatté il padre, sporgendosi dalla finestra.

“Forse. Ti farò sapere. Ora dammi cinque minuti, sistemo tutto. Sarai una persona normale, connessa con il mondo.”

Il figlio tornò con il telefono e si sedette davanti al vecchio computer.

“A che mi serve sto mondo…”

“Che hai detto?”

“Fai la registrazione, venditore digitale.”

L’idea di ‘Vecchi Compagni’ era stata promossa a lungo dalla moglie di Leo, stanca delle interminabili chiamate del suocero nei momenti meno opportuni. Prima di tutto, così avrebbe raccontato le sue storie noice a qualcun altro. E poi, magari sarebbe uscito meno di casa. Quei vecchi, sembrava avessero sempre voglia di sparire nel nulla. Uscivano per il pane in offerta e poi bisognava cercarli in tutta la regione con i cani.

“Stai parlando di mio padre…” ricordava Leo.

“Be’, io parlo per esperienza,” ribatteva pronta la moglie.

La discussione finiva lì.

“Leo, c’è uno sconosciuto che mi chiede l’amicizia,” chiamò quella sera stessa il padre, preoccupato.

“Fantastico! Accettalo e parlate un po’.”

“Leo, non l’ho mai visto in vita mia! Come fa a sapere di me? Non ho nemmeno navigato in quei siti. Che faccia tosta, entrare così senza invito!”

“Abbiamo inserito i tuoi dati: scuola, lavoro, interessi… forse vi siete conosciuti tempo fa…”

“Leo, ma quando mai? Mille anni fa?”

“Allora avrete cacciato insieme il mammut. Prova a scrivergli, vedi che succede. Ora devo lavorare.”

“Leo, che rogna mi hai procurato…”

La prossima chiamata arrivò solo quattro giorni dopo:

“Leo, puoi venirmi a prendere alla stazione?”

“Alla stazione? Che ci fai lì a quest’ora?” chiese il figlio, guardando l’orologio. Aveva ragione la moglie: suo padre stava diventando un vecchio vagabondo.

“Aspetto un autobus maledetto da quaranta minuti. Sarei andato a piedi, ma la ruota della valigia si è rotta.”

“Non muoverti, arrivo!”

“Certo che no, ho chiamato il mio autista personale con la macchina cinese.”

Leo lo trovò seduto su una panchina. L’uomo sembrava insolitamente curato: rasato, stirato, scarpe nuove.

“Da dove vieni?” chiese Leo, caricando la valigia.

“Da Dino Martini. Abita a Bologna,” borbottò stanco il padre.

“Sei stato a Bologna? Ci vogliono cinque ore in auto! E chi è questo Dino Martini? Mai sentito.”

Leo allacciò le cinture e partì.

“Un amico. Di ‘Vecchi Compagni’…” Il padre guardava fuori dal finestrino, assorto nei pensieri. “Anche se forse l’amicizia è in dubbio. Tifa per la Juventus, e sai come la penso io su quella fabbrica di salsicce…”

“Aspetta,” Leo rallentò su un dosso. “Vi siete appena conosciuti e sei andato subito a trovarlo?”

“Naturalmente!” Il padre lo guardò come se fosse pazzo. “Non accetto chiunque. Devo capire che persona è: parlarci, guardarlo in faccia, sapere cosa pensa, per chi vota…”

“Papà, sui social non serve tutto questo. Lo possiamo fare anche da lontano. È il bello della tecnologia.”

“E i figli ora li fanno a distanza?”

“Che c’entra?”

“C’entra, Leo! Non mi fido di chi non conosco di persona. La mia cerchia è fatta di gente controllate. Punto.”

“Va bene, tranquillo!” Leo capì che troppe domande lo avrebbero spaventato. “Ma almeno avvisami la prossima volta. Devo sapere dove cercarti.”

“Ricevuto!” fece il padre, poi chiese di fermarsi a comprare un nuovo telefono con internet.

La chiamata successiva arrivò di sabato, mentre Leo era in trasferta:

“Parto per Palermo, torno lunedì.”

“Papà, prende male. Hai detto che vai a Palermo?”

“Prende benissimo. Sì, volo lì. Ho conosciuto due nuovi amici. Abbiamo servito nello stesso battaglione, anche se in anni diversi. Non preoccuparti, prenderò un taxi dall’aeroporto, ho imparato a usare l’app.”

“Papà, sei impazzito? Resta a casa! Torno presto e andiamo alla partita. Non serve andare in Sicilia!” Il figlio si rese conto di aver aperto il vaso di Pandora e ora cercava di chiuderlo.

“Scusa, Leo, si perde… decolliamo. Ci vediamo alla partita.”

***

Qualche giorno dopo, Leo controllò il profilo del padre. Gli amici erano già cinque. Uno era di Milano, rassicurante, ma una certa Irene Molinari risultava in Friuli. Un brivido gelido gli corse lungo la schiena.

Tornato a casa, avrebbe voluto nascondere il passaporto, ma il padre era già in Calabria. Lo rivide due settimane dopo, abbronato, con una strana camicia artigianale e, cosa peggiore, un tatuaggio della squadra del cuore.

“Me l’ha fatto Nadia da Verona. Brava ragazza. Ci siamo conosciuti nel gruppo di ‘Intaglio con sega elettrica’ su ‘Vecchi Compagni’. Sabato viene con il marito e andiamo alla partita.”

“Quale Nadia? Quale partita?! Papà, dovevi venire con me!”

“Vieni anche tu, porta tua moglie. Anche se io le ho mandato la richiesta tre settimane fa e non mi ha ancora risposto.”

“Non posso, devo andare a Genova…”

“Allora di che ci lamentiamo? A proposito, lunedì volo lì. Ho un nuovo amico. Possiamo beccarci in centro, prendere un caffè con i cantucci. Poi, se vuoi, visitiamo i fori.”

Il padre era irricLeo capì che, alla fine, suo padre aveva trovato qualcosa che lui aveva solo simulato per anni: vere amicizie, nate dal coraggio di buttarsi nel mondo senza paura.

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