Amore a Tempo Scaduto

Gabriella Rossi stava mettendo in scatole vecchie foto quando trovò quella del ballo di maturità. Quarant’anni prima, era in piedi accanto a Michele, che le teneva un braccio sulle spalle con tale delicatezza da sembrare temesse di spaventarla. Nello scatto sorridevano entrambi, ma Gabriella ricordava come le tremavano le mani quando Michele si avvicinò a chiederle di posare insieme.

“Gabri, posso stare con te?” le disse allora, arrossendo senza incrociare lo sguardo. “Solo per ricordo…”

Lei annuì in silenzio, benché il cuore le martellasse così forte da sembrare udibile in tutta la sala. Tutto l’ultimo anno di liceo, Michele l’aveva accompagnata a casa, portato la cartella, aiutata con la matematica. Mentre lei fingeva di non accorgersi, di essere indifferente.

Adesso, mentre svuotava la casa dopo la morte del marito Gabriella capiva quanto fosse mancato. Vittorio aveva vissuto con lei trentacinque anni, brava persona, padre affettuoso per i loro due figli. Ma il suo cuore ricordava sempre quel ragazzo timido della maturità.

“Mamma, cosa stai rimestando lì?” entrò in camera la figlia Giulia. “Ti aiuto?”

“Giusto, sto sistemando le foto. Guarda quanto ero giovane”, mostrò Gabriella lo scatto.

Giulia prese la fotografia, studiandola attentamente.

“Chi è questo accanto a te? Non sembra papà…”

“Un compagno di classe”, rispose secca la madre.

“Che bello. E ti guarda così… innamorato”, sorrise Giulia. “Avevate una storia?”

Gabriella si voltò verso la finestra. Fuori la pioggia d’autunno scivolava sui vetri, riflettendo le foglie gialle degli aceri.

“Nessuna storia. Solo amicizia”, mormonò.

Poi aggiunse, come per giustificarsi:

“Lui andò all’istituto tecnico, io all’università. Strade diverse”.

Giulia alzò le spalle, depose la foto e uscì. Gabriella rimase sola coi ricordi.

Dopo la maturità si videro giusto poche volte. Michele veniva a casa sua, stava in cucina a bere caffè. La madre di Gabri, Anna Maria, lo adorava.

“Bel ragazzo”, diceva alla figlia. “Serio, lavoratore. E ti guarda come fosse un’immagine sacra”.

“Mamma, non fantasticare”, la liquidava Gabriella. “Solo amici”.

“Amici”, sospirava la madre. “Alla tua età io preparavo le nozze”.

L’ultima volta Michele arrivò ad agosto, prima dell’inizio delle lezioni. Gabri stava studiando per medicina, libri di chimica e biologia ammucchiati ovunque.

“Disturbo?” chiese sulla porta.

“Vieni pure”, disse lei senza alzare gli occhi dal libro.

Michele sedette di fronte. Restò a lungo in silenzio, poi parlò:

“Gabri, sposiamoci”.

Il cuore le si fermò. Alzò lo sguardo incontrando il suo. Michele stava dritto, mani sulle ginocchia, ogni parola gli costava fatica.

“Dico sul serio. Ti amo da quando… da sempre. Dalla prima media. Non voglio nessun altro. Tu studi all’università, io lavoro, metto da parte per una casa. Finisci gli studi, poi… facciamo famiglia”.

Gabriella lo guardò senza parole. Sentiva il petto in fiamme, voleva urlare “sì”, saltargli al collo. Ma qualcosa la bloccava. Paura di sembrare superficiale? Il desiderio di laurearsi prima? O forse quel sentimento potente la spaventava?

“Miche, io…” iniziò, ma lui la interruppe:

“Non rispondere ora. Pensaci. Aspetto”.

Dopo una settimana Gabri partì per Torino. Non gli diede mai risposta. Al ritorno già universitaria, lui frequentava la compagna di classe Lucia Bianchi.

Gabriella sospirò, poggiando la foto. Anni passati, ma sembrava ieri. Lucia che mostrava orgogliosa la fede, Michele imbarazzato che la salutava per strada, lei che gli augurava felicità.

All’università conobbe Vittorio. Più grande, sicuro di sé. La corteggiò con costanza, fiori, teatri. Gabriella lo sposò al terzo anno. Matrimonio sontuoso, tutte invidiose.

“Mammina, tu papà l’hai amato?” chiese Giulia da adulta.

“Certo, l’ho amato”, rispose Gabriella.

Ed era vero. Diversamente, non con l’intensità bruciante che avrebbe potuto donare a Michele, ma sinceramente, da famiglia. Vittorio fu un buon marito, padre premuroso. Guadagnava bene, non beveva, mai tradita. Gabriella lavorava nell’ambulatorio, cresceva i figli. Vita normale di famiglia normale.

A volte incrociava Michele per strada. Invecchiato, rughe, capelli grigi. Ma gli occhi restarono gli stessi: dolci, un po’ malinconici. Si salutavano brevemente, sempre con due parole su tempo o figli. Gabriella sapeva che con Lucia avevano tre bambini, lavorava come caposquadra in fabbrica, vivevano in bilocale in periferia.

L’ultima volta si videro in ospedale. Vittorio era in cardiologia dopo un infarto, Michele nella stanza accanto. Problemi di cuore anche lui. Si incontrarono nel corridoio.

“Gabri? Ma cosa ci fai qui
Mentre Gianna chiudeva la porta alle spalle, partendo verso la luce della cucina dove l’aspettava Elena, il sorriso gioioso e carico di speranza sul volto di quel Michele di cinquant’anni prima rimaneva intrappolato nella cornice, un silenzioso testimone di tutte le parole d’amore mai pronunciate tra il fruscio delle gonne di tulle e il profumo dei gelsomini sotto quel pergolato dimenticato di via Garibaldi.

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