Amore Infinito

La pioggia sottile le sferzava il viso, entrandole negli occhi. Giulia camminava a fatica, sognando di arrivare a casa il prima possibile. Aveva la testa confusa, i pensieri che si disperdevano come un vecchio lenzuolo logoro. Evitando una pozzanghera, scivolò quasi sul fango ai bordi del marciapiede. “Basta coi tacchi. Non sono più una ragazzina. È ora di passare a scarpe comode.”

Finalmente, ecco casa. Giulia digitò il codice del portone. Un odore di polvere e calore secco la avvolse, colpa del termosifone che, nonostante la primavera, continuava a scalare al massimo. “D’inverno non faceva così.” L’ascensore la portò lentamente al sesto piano. “Sarà che mi sto ammalando? Non ho più energie”, pensò, appoggiandosi alla parete.

In ingresso crollò senza forze sullo sgabello, schiena contro il muro, occhi pesanti chiusi. “Ci sono. A casa!” sospirò, e subito sprofondò nel buio, senza suoni né odori.

“Mamma, perché sei al buio? Stai male?”
La voce di Riccardo la fece sobbalzare, ma non aprì gli occhi.

“No, tesoro. Solo stanca.” Parlò a fatica, la lingua come piombo.

Senti che il figlio la fissava. Aprì le palpebre con difficoltà, ma Riccardo non c’era, solo la luce accesa in cucina. Si tolse le scarpe, muovendo le dita liberate dalla costrizione, e si alzò. Un’ondata di vertigini la sbatté contro l’appendiabiti.

“Mamma!” Riccardo corse a trattenerla.

“Mi gira la testa…”

Lui la aiutò a raggiungere il divano in salotto. Giulia vi si lasciò cadere, allungando le gambe. “Che bello…” Gli occhi si chiusero da soli. Poi si sussultò, tornando bruscamente alla realtà, incrociando lo sguardo ansioso del figlio.

“Mamma, tutto ok?”

Annui e chiese una tazza di tè caldo. Riccardo andò in cucina, riluttante.

Le tornò in mente quel giorno in ufficio, quando si era ritrovata a terra senza ricordare come. Aveva dato la colpa alla stanchezza anche allora. “Mi sento un’anziana, e ho solo trentanove anni. Forse è davvero qualcosa di serio? Domani vado dal medico.” Sospirò e raggiunse Riccardo in cucina.

“Sei pallida. Mal di testa?” posò davanti a lei una fumante tazzina.

Giulia sorrise a fatica.

“Solo stanchezza, questo tempo, la pioggia…” Bevve un sorso. “Hai mangiato?”

“Sì, mamma. Devo finire i compiti.”

“Va’, allora. Sto bene.” Sorseggiò il tè, poi si infilò la vestaglia logora e sbirciò nella stanza di Riccardo. Lui era chino sui libri. Un’ondata di tenerezza le strinse il cuore. Il suo unico, adorato figlio, ormai grande. Chiuse piano la porta.

“Dottore, cos’ho? Forse servono vitamine?” Il giorno dopo, in ambulatorio, Giulia era riposata ma ancora a pezzi.

“Vediamo. Ecco gli esami e la risonanza. Torni subito con i risultati. E non aspetti. In famiglia ci sono casi di tumore? Ictus?”

“Sì. Mio padre è morto di cancro, mia madre d’ictus. Quindi potrebbe essere… Mio figlio ha solo quindici anni. Sono tutto ciò che ha. Non posso morire!” La sua voce rimbalzò contro le pareti, tornandole in gola come un nodo.

“Non saltiamo a conclusioni. Certo, c’è predisposizione, ma lei è giovane… Torni con gli esami. Intanto le do il certificato, si riposi.”

“Mamma, com’è andata dal dottore?” Al ritorno da scuola, Riccardo trovò Giulia che preparava la minestra.

“Nulla di certo, devo fare altri esami. Domani non svegliarmi.”

Lo guardò mangiare. “Così adulto. E se avessi qualcosa di grave? Un tumore?” Cacciò via il pensiero.

“Mamma, tutto bene? Sei di nuovo persa.”

Si scosse.

“Ultimamente sei sempre così stranita,” disse lui.

“Ero distratta.”

Quella notte non dormì. Come farlo, con quei pensieri che le martellavano la mente? Le tornò in mente l’infanzia, i genitori che se n’erano andati uno dopo l’altro mentre lei era all’università. Lì aveva conosciuto Luca. Lui l’aveva sostenuta. Viveva nel dormitorio, veniva da un’altra città. In poco tempo si erano messi insieme.

Quando rimase incinta, Luca fu felice, propose subito il matrimonio. Niente festa: i suoi genitori erano morti, la madre di lui lontana. Andarono a trovarla dopo.

Non mancarono litigi. Senza nessuno a guidarli, Giulia evitava le scenate quando Luca tardava. Ma quando Riccardo aveva due anni, lui disse di amare un’altra, di volersene andare…

Lei lo supplicò, aggrappandosi alla sua camicia. Lui si liberò, la spinse via e se ne andò. Mise Riccardo all’asilo e trovò lavoro. Fu durissimo. Il bambino si ammalava spesso. Faceva lavoretti extra, ma i soldi non bastavano mai.

Chiamò l’ex una sola volta, quando Riccardo ebbe bisogno di medicine costose. Lui le mandò duecento euro e le chiese dove finissero gli alimenti.

Quando Riccardo, più grande, chiese del padre, Giulia fu sincera. Lui un giorno lo aspettò fuori dall’ufficio. Ma Luca, assorto in una conversazione con una donna bellissima, non lo notò.

Riccardo soffrì per quel rifiuto. Poi chiese perché lei non si truccasse, non vestisse alla moda come la nuova moglie del padre. Come spiegargli che voleva che a lui non mancasse nulla? Che per sé non c’era abbastanza? Temeva sembrasse un rimprovero.

L’adolescenza portò ribellione. Riccardo era sgarbato, reclamava libertà. Trovò sigarette nelle sue tasche. Giulia chiamò di nuovo Luca, perché parlasse con lui. Ma lui rispose che aveva appena avuto un altro figlio, niente tempo, né soldi da sprecare.

Lei provò a parlargli, ma finiva sempre in urla, con Riccardo che minacciava di scappare. Quante prove, tradimenti, paure aveva dovuto affrontare Giulia…

Poi, da un anno, Riccardo si era appassionato alla musica, suonava la chitarra a casa. Lei si era tranquillizzata. I problemi sembravano passati. E ora questi svenimenti, questa debolezza. “Dio, perché? Non posso lasciare Riccardo. Sono tutto ciò che ha…”

Seduta in ospedale, osservò gli altri pazienti con volti spaventati. “Sembro così anch’io?”

“Signora, è il suo turno. O ha cambiato idea?” Ci mise un attimo a capire che parlava a lei.

Entrò, le mani che tremavano attaccate alla borsa.

“Non posso darle buone notizie. Ha un tumore al cervello. Piccolo, superficiale. Questo è l’unico bene.”

“Ho il cancro?”

Si era sempre chiesta come la gente riuscisse a vivere dopo una diagnosi così. Eppure eccola lì, a parlare, senza urlare né isterismi. Il mondo non era crollato.

“Serva un’operazione urgente. Mi ascolta?”

“Sì. Ma non ho soldi.”

“Con il SSN è gratis. Ma la lista d’attesa è lunga. A uno è morta la moglie prima del turno. Lei è fortunataRiccardo le strinse la mano mentre il sole entrava dalla finestra della camera d’ospedale, e Giulia capì che, nonostante tutto, la vita le aveva già dato il regalo più grande.

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