Amore Inopportuno

**Amore Fuori Tempo**

Anita sbirciò nella camera della madre, vedendola dormire, chiuse piano la porta.

“Anita…” la chiamò improvvisamente la mamma con un filo di voce.

“Dimmi, mamma.” Anita riaprì la porta. “Pensavo dormissi. Hai bisogno di qualcosa? Stavo per uscire con le amiche.”

“Va’, riposo un po’,” rispose Giulia, richiudendo gli occhi. Anche sollevare quelle palpebre pesanti le costava una fatica infinita.

Anita sospirò di sollievo e corse a vestirsi. Da quando la mamma si era ammalata, aveva imparato a muoversi in silenzio. Discese le scale senza far rumore. Davanti al portone, l’aspettava Michele, un compagno di scuola.

“Perché ci hai messo così tanto?” le chiese seccato, senza neanche salutare.

“Stavo preparando il brodo per la mamma. Dove andiamo?” Anita sorrise, cercando di rabbonirlo.

“È ancora malata?”

“Sì, si è appena addormentata. Non stiamo via troppo, va bene? Non vorrei che avesse bisogno di me,” supplicò.

“Tranquilla, dormirà e starà meglio,” disse Michele con leggerezza.

Anita si morse il labbro. A nessuno aveva rivelato la gravità della malattia della madre. Non voleva pietà, né che a scuola scoppiasse il panico.

“Guarda, sta piovendo. Andiamo da Alex, i suoi sono in campagna,” sussurrò Michele, cercando di baciarla.

Lei si scansò di scatto. “Ma che fai? Potrebbero vederci!”

“Chi? La mamma dorme. Allora, andiamo?”

Anita esitò. L’ultima volta che erano stati da Alex, Michele si era comportato male. Le piaceva, ma aveva fretta, troppa fretta.

“Dai, solo mezz’ora. Ti prometto che non ti tocco,” la supplicò.
La pioggia ormai cadeva fitta.

“Va bene, ma poco,” cedette Anita.

“Certo.” Michele tratteneva a stento un sorriso trionfante.

Alex aprì la porta e sogghignò vedendoli insieme. “Entrate.”

Anita non si mosse. Non le andava di restare sola con due ragazzi.

“Ieri ho scaricato un film stupendo,” disse Alex.
Michele si tolse le scarpe e lo seguì in camera. Anita pensò che fosse il momento di andarsene. Ma tornare a casa non le andava.

Chiuse la porta e li raggiunse, sedendosi accanto a Michele. Lui le mise subito un braccio dietro la schiena. Alex portò due lattine di birra. Anita rifiutò, e Michele ne prese due. Lei lo guardò di sbieco, ma non commentò.

Il film era davvero avvincente, e Anita ne fu subito presa. Si riscosse solo quando sentì la mano di Michele, calda e insistente, sotto la maglietta. Si divincolò, ma lui la trattenne per una spalla, stringendole il seno con forza.

“Mi fai male!” gridò.

Michele allentò la presa, e Anita balzò in piedi. Alex non c’era più. Non si era accorta neanche che se ne fosse andato.

“Anita, scusami…” borbottò Michele.

“Avevi promesso!” sbottò lei, furiosa.

“Dai, non fare la drammatica. Non è mica la prima volta. Ti amo.” Si alzò anche lui.

Era la prima volta che lo diceva, e Anita non riuscì a respingerlo. Lui la baciò. L’alito puzzava di birra. Le sue mani diventarono sempre più prepotenti.

“No, basta… devo andare,” sussurrò Anita, spingendolo via.

Ma Michele l’afferrò e la schiacciò sul divano. Lei lottò con tutte le forze. Riuscì a piegare un ginocchio e spingerglielo tra le gambe.

Lui imprecò e si staccò. Anita corse in ingresso, afferrò le scarpe e faticò con la serratura.

“Ma vai pure al diavolo!” le urlò dietro Michele.

Lei scappò giù per le scale a piedi nudi. Fermandosi solo quando capì di non essere inseguita, infilò le scarpe.

Come aveva fatto a credergli? La mamma era a letto malata, e lui… voleva solo una cosa da lei.

A casa, Anita si lavò a lungo il viso e il collo, cercando di cancellare il sapore dei baci di Michele. Poi sedette al buio, pensando: e se la mamma morisse? Sarebbe completamente sola. Di cosa avrebbe vissuto? Tra due mesi avrebbe compiuto diciotto anni, e gli alimenti del padre sarebbero cessati. Non aveva soldi, nemmeno per il vestito per il diploma. Pazienza, se solo la mamma si riprendesse…

Che la mamma avesse il cancro, lo aveva scoperto da sola. Aveva capito che la malattia era più grave di quanto dicesse. Cercando su internet i nomi delle medicine, aveva avuto la certezza.

Il telefono vibrò. Un messaggio da Michele: “Anita, perdonami.” Non rispose. I messaggi si susseguirono: scuse, insulti, altre suppliche. Anita spense il telefono.

Prima di dormire, andò dalla mamma. “Mamma, dormi?”

Giulia aprì a fatica gli occhi. “Hai bisogno di qualcosa? Acqua? Il bagno?”

Giulia scosse appena la testa e richiuse gli occhi.

La mattina seguente, Anita si svegliò di soprassalto per un tonfo. Corse nella camera della madre, trovandola in piedi, tremante, aggrappata al letto. Una sedia era rovesciata per terra.

Anita la aiutò a sdraiarsi, sorprendendosi di quanto il suo corpo fosse leggero, consumato.

“Perché sei scesa? Potevi chiamarmi,” la sgridò teneramente.

“Credevo di farcela…” ansimò Giulia, come se avesse corso.

“Ti porto un tè.” Anita corse in cucina.

La mamma bevve qualche sorso e smise. Da giorni mangiava a malapena, quasi non si alzava più.

Il cuore di Anita era pesante. Avrebbe voluto restare con lei, soprattutto dopo la sera precedente. Ma gli esami si avvicinavano. Decise di saltare l’ultima ora, storia, per tornare prima.

Tornando da scuola, trovò la madre addormentata. Anita la controllava spesso, ma la mamma non si muoveva. Un brutto presentimento la spinse a toccarle la spalla. E capì tutto. Uscì dalla stanza, stringendosi la bocca con una mano. Senza sapere cosa fare, bussò alla vicina. La donna, già in pensione, capì subito. Chiamò l’ambulanza, poi aspettarono insieme l’agenzia funebre.

Dopo che portarono via Giulia, Anita aprì tutte le finestre. La vicina fece una colletta tra i condomini e le portò i soldi. A scuola seppero del lutto, e anche i genitori dei compagni contribuirono. I funerali li organizzarono i colleghi della mamma.

Nei giorni seguenti, Anita camminò come in un sogno. Quella nella bara era una sconosciuta. Lei voleva ricordare la mamma com’era prima.

Un giorno, frugando tra le carte, trovò un quaderno. Pagine scritte a mano dalla madre. Un diario? Ma senza date. Anita iniziò a leggere. Erano frammenti di ricordi. Perché la mamma li aveva messi per iscritto?

“…Quanti anni avevo quando incontrai Stefano? Uno meno di Anita adesso. Mi colpì il suo cognome—Caravaggio. Gli chiesi se fosse parente del pittore. Lui rise, disse solo omonimia.

Era troppo presto per me. Lui aveva sette anni più di me, mi sembrava un uomo fatto. E non capii che era amore, vero eAnita chiuse il quaderno, sorridendo tra le lacrime mentre stringeva la foto di Stefano, ormai consapevole che, grazie a sua madre, aveva trovato non solo un passato, ma anche un futuro pieno d’amore con Michele, e finalmente capì che il destino a volte raddrizza le storie lasciate in sospeso.

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