Amore senza diritto all’intimità
La dottoressa Elisabetta Romano si sistemò il camice bianco e controllò l’orologio. Mancavano ancora quattro ore alla fine del turno, ma la stanchezza già si faceva sentire. Nel reparto di neurologia regnava il solito trambusto: infermiere che sfrecciavano tra le corsie, parenti che sussurravano negli angoli.
“Dottoressa Romano, ha una visita”, annunciò la giovane infermiera Sofia, affacciandosi nello studio.
“Chi è?”
“Un parente di un paziente della settima camera. Deve essere Rossi, credo.”
Elisabetta annuì e posò la cartella clinica che stava esaminando. Rossi. Quel nome le fece accelerare il cuore, anche se cercava di controllare le emozioni.
Entrò un uomo alto, sui cinquant’anni, con i capelli brizzolati e gli occhi castani stanchi. Marco Rossi teneva in mano una borsa di frutta e sembrava preoccupato.
“Buongiorno, dottoressa. Come sta mia moglie?”
“Si accomodi, prego.” Elisabetta indicò la sedia. “Le condizioni di Maria Grazia sono stabili. Sta rispondendo bene alle cure.”
Marco sospirò sollevato e si passò una mano tra i capelli.
“Meno male. Ho passato una settimana d’inferno. Quando ha avuto l’attacco, ho pensato di perderla.”
Elisabetta lo guardò e sentì un dolore familiare al petto. Un dolore che era comparso sei mesi prima e non la lasciava mai.
“Marco, sua moglie è una donna forte. L’ictus non è stato grave, sta recuperando la parola. Con le giuste cure, tornerà alla normalità.”
“Grazie per tutto quello che fa. So che si occupa di lei più degli altri medici. Me l’ha detto lei stessa.”
Elisabetta distolse lo sguardo. Era vero, dedicava a Maria Grazia più attenzioni, ma non per professionalità. Lo faceva per colpa, un sentimento che la corrodeva dentro.
“È il mio lavoro. Ogni paziente merita attenzioni.”
“Tuttavia, grazie. Posso vederla?”
“Certo, ma non la stanchi troppo con chiacchiere lunghe.”
Marco si alzò, ma esitò.
“Dottoressa, posso farle una domanda personale?”
Elisabetta si irrigidì.
“Dica.”
“È sposata?”
La domanda rimase sospesa. Capiva che non era semplice curiosità. Nei suoi occhi c’era lo stesso tormento che sentiva lei.
“No,” sussurrò. “Non sono sposata.”
“Capisco. Scusi l’indiscrezione.”
Si avviò verso la porta, ma si voltò.
“Elisabetta, volevo dirle… se le circostanze fossero diverse…”
“Non lo faccia,” lo interruppe lei. “Per favore, no.”
Lui annuì e uscì. Elisabetta rimase sola, con le lacrime agli occhi. Si avvicinò alla finestra, dove fuori cadeva una pioggia primaverile.
Tutto era iniziato a ottobre, quando Maria Grazia fu ricoverata per un lieve attacco. Era un micro-ictus, e si riprese in fretta. Ma suo marito Marco veniva ogni giorno, portava cibo fatto in casa, le leggeva libri, le raccontava le notizie.
All’inizio, Elisabetta osservava quella dedizione con interesse professionale. Era raro vedere tanta cura. Di solito, i parenti venivano di rado. Alcuni pazienti non avevano nessuno.
Ma pian piano, iniziò ad aspettare Marco. Ad ascoltare la sua voce nel corridoio. A trovare scuse per passare davanti alla settima camera quando lui era lì.
E lui sembrava notarla. Le chiedeva della moglie, la ringraziava, a volte parlavano di libri e film. Niente di male, solo semplici conversazioni.
Ma i sentimenti non chiedono permesso. Arrivano e si insediano nel cuore, senza curarsi delle circostanze.
Maria Grazia venne dimessa dopo tre settimane. Elisabetta pensò di non rivederli più e cercò di dimenticare quell’emozione strana che Marco le suscitava.
Ma a febbraio, Maria Grazia ebbe un altro attacco, più grave. Arrivò in ambulanza, Marco era pallido come un morto.
“Dottoressa, la salvi, per favore,” la supplicò quando lei uscì dalla terapia intensiva. “È tutto per me. Siamo insieme da trent’anni.”
Trent’anni. Elisabetta ripeté mentalmente il numero. Trent’anni di matrimonio, ricordi, abitudini, amore. E lei? Un appartamento vuoto, il lavoro, e un sentimento non corrisposto per il marito di un’altra.
“Faremo tutto il possibile,” promise.
E lo fece. Consultò colleghi, studiò nuove terapie, monitorò ogni cambiamento. Maria Grazia non era solo una paziente. Era la moglie dell’uomo che lei amava, senza diritto a ricambiare.
Un amore strano. Segreto, non detto, condannato. Si vedevano solo in ospedale, solo per la salute di sua moglie. Parlavano solo di medicine. Ma tra le parole c’era di più. Qualcosa che non poteva essere detto.
“Elisabetta,” la voce di un’infermiera la riportò alla realtà. “Una paziente della settima camera la cerca.”
Sospirò e andò da Maria Grazia. La donna era a letto, leggeva una rivista. Nonostante la malattia, aveva un’aria dolce. Capelli corti e grigi ben pettinati, un leggero trucco.
“Dottoressa, si accomodi. Voglio parlarle.”
Elisabetta si irrigidì. C’era qualcosa nella voce di Maria Grazia che non capiva.
“Come si sente? Le fa male la testa?”
“No, tutto bene. La parola è quasi tornata, anche i movimenti. Presto potrò tornare a casa.”
“È fantastico. Significa che la terapia funziona.”
Maria Grazia la guardò intensamente.
“Dottoressa, posso dirle una cosa? Da donna a donna?”
Elisabetta sentì un brivido.
“Prego.”
“Lei è bella, intelligente, gentile. Perché è ancora sola?”
“Non è mai capitato. Il lavoro occupa tanto tempo.”
“Capisco. E figli?”
“Li avrei voluti. Ma ormai è tardi.”
Maria Grazia annuì con comprensione.
“Ho cinquantotto anni, dottoressa. Ho visto tanto, capisco tanto. Soprattutto il cuore delle donne.”
Elisabetta strinse le mani, sentendo arrivare una conversazione scomoda.
“Maria Grazia, cosa intende?”
“Vedo come guarda mio marito. E come lui guarda lei.”
Silenzio. Elisabetta voleva negare, ma le parole non uscivano.
“Non capisco di cosa parla.”
“Lo capisce. E sa una cosa? Non sono arrabbiata. Marco è un uomo meraviglioso, piace a tutte.”
“Tra noi non c’è niente, solo rapporti professionali.”
“Lo so. E non ci sarà. Perché lei è una donna per bene, e lui un uomo per bene. Ma i sentimenti ci sono, vero?”
Elisabetta abbassò lo sguardo. Negare era inutile.
“Ci sono,” ammise piano.
“Vede? E ora mi ascolti bene,” Maria Grazia si sollevò dal letto. “Io sto morendo.”
“Che dice! Le sue condizioni sono stabili, la prognosi è buona…”
“Dottoressa, lo sento. Questo ictus non sarà l’ultimo. Ce ne saranno altri, e prima o poi uno mi ucciderà. Tra un mese, un anno. Ma morirò.”
Elisabetta voleva protestare, ma qualcosa negli occhi di Maria Grazia la fermò.
“Perché lo pensa?”
“Perché sono stanca di lottare. Trent’anni come moglie, madre, casalinga. Figli, lavoro, genitoriElisabetta chiuse gli occhi, sentendo il peso di quel futuro incerto, ma decise che, qualunque cosa sarebbe accaduta, avrebbe amato Marco nel modo più puro che conosceva: in silenzio, con dignità, e senza mai chiedere nulla in cambio.