Amore Senza Possibilità di Intimità

Amore Senza Diritto alla Vicinanza

Mi sentivo pesante mentre aggiustavo il camice bianco e controllavo l’orologio. Mancavano ancora quattro ore alla fine del turno, ma la stanchezza già si faceva sentire. Nel reparto di neurologia regnava la solita frenesia: infermiere che andavano e venivano tra le stanze, parenti dei pazienti che chiacchieravano a bassa voce negli angoli.

“Dott.ssa Ferraro, ha una visita,” mi avvertì Giulia, una giovane infermiera, affacciandosi nello studio.

“Chi è?”

“Un parente del paziente nella settima stanza. Credo sia il signor Rossi.”

Annuii e posai la cartella clinica che stavo esaminando. Rossi. Quel nome mi fece accelerare il cuore, anche se cercavo con tutte le mie forze di controllare le emozioni.

Entrò un uomo alto, sulla cinquantina, con i capelli brizzolati alle tempie e occhi marroni stanchi. Luca Rossi teneva in mano un sacchetto di frutta e sembrava preoccupato.

“Buongiorno, dottoressa. Come sta mia moglie?”

“Prego, si accomodi,” indicai la sedia davanti alla scrivania. “Le condizioni di Maria Teresa sono stabili. Sta rispondendo bene alla terapia.”

Luca sospirò sollevato e si passò una mano tra i capelli.

“Grazie a Dio. Sono stato in pensiero tutta la settimana. Quando ha avuto l’ictus, ho temuto di perderla.”

Lo guardai e sentii quel dolore familiare nel petto, quello che si era insediato sei mesi prima e non mi dava pace né di giorno né di notte.

“Luca, sua moglie è una donna forte. L’ictus non è stato esteso, e il linguaggio si sta già riprendendo. Con le cure adatte, potrà tornare a una vita normale.”

“Grazie per tutto quello che fa,” mi fissò negli occhi. “So che si dedica a Mari più degli altri medici. Me l’ha detto lei stessa.”

Distolsi lo sguardo. Era vero, le dedicavo più attenzione degli altri pazienti. Ma non per interesse professionale: per quel senso di colpa che mi divorava dentro.

“È il mio lavoro. Ogni paziente merita attenzione.”

“Lo stesso, grazie. Posso vederla?”

“Certo. Ma non la stanchi con troppe parole.”

Luca si alzò, ma esitò prima di uscire.

“Dottoressa, posso farle una domanda personale?”

Mi irrigidii.

“Dica.”

“È sposata?”

La domanda rimase sospesa. Nei suoi occhi c’era lo stesso sentimento che mi torturava.

“No,” risposi piano. “Non sono sposata.”

“Capisco. Mi scusi l’indiscrezione.”

Si avviò verso la porta, ma sulla soglia si voltò.

“Silvia… Se le circostanze fossero diverse…”

“Non lo faccia,” lo interruppi. “Per favore, non lo faccia.”

Annuì e uscì. Rimasi sola, sentendo le lacrime salirmi agli occhi. Mi avvicinai alla finestra, dove fuori cadeva una pioggia primaverile.

Tutto era iniziato a ottobre, quando Maria Teresa era arrivata con il primo ictus. Allora era stato lieve, e si era ripresa in fretta. Ma Luca veniva ogni giorno in ospedale, portandole cibo fatto in casa, leggendole libri, raccontandole le novità.

All’inizio avevo osservato quell’idillio familiare con interesse professionale. Quella dedizione era rara. Di solito i parenti visitavano i pazienti di rado, alcuni nessuno li vedeva mai.

Ma gradualmente avevo cominciato ad aspettare le sue visite. Ad ascoltare la sua voce nel corridoio. A trovare scuse per passare vicino alla settima stanza quando era lì.

E lui, sembrava accorgersi di me. Faceva domande sulla terapia, mi ringraziava, a volte parlavamo di libri e film. Niente di male, solo normale conversazione.

Ma i sentimenti non chiedono permesso. Si insinuano nel cuore, indifferenti alle circostanze.

Maria Teresa era stata dimessa dopo tre settimane. Avevo creduto di non rivederli più, cercando di dimenticare quell’inquietudine che provavo con Luca.

Ma a febbraio, un secondo ictus, più grave. L’avevano portata in ambulanza, Luca era pallido come un morto.

“Dottoressa, la salvi,” mi aveva supplicato uscendo dalla terapia intensiva. “È tutto per me. Siamo insieme da trent’anni.”

Trent’anni. Trent’anni di matrimonio, ricordi, abitudini, amore. E io? Un appartamento vuoto, il lavoro e un sentimento non corrisposto per un uomo sposato.

“Faremo il possibile,” promisi.

E lo feci. Consulenze coi colleghi, studio di nuove terapie, monitoravo ogni suo cambiamento. Maria Teresa non era solo una paziente: era la moglie dell’uomo che amavo senza diritto a ricambi.

Un amore strano. Segreto, inespresso, condannato. Ci vedevamo solo in ospedale, solo per la sua salute. Parlavamo solo di medicina. Ma tra le parole c’era qualcosa di più, qualcosa che non poteva essere detto.

“Silvia,” la voce di Giulia mi riportò alla realtà. “La paziente della settima stanza la cerca.”

Sospirai e andai da Maria Teresa. Era a letto, leggeva una rivista. Nonostante la malattia, sembrava serena. Capelli corti e bianchi ben curati, un leggero trucco.

“Dottoressa, si sieda,” posò la rivista. “Vorrei parlarle.”

Mi irrigidii. Nel suo tono c’era qualcosa che non capivo.

“Come si sente? Mal di testa?”

“No, tutto bene. Il linguaggio è quasi normale, anche i movimenti. Presto torno a casa.”

“Ottimo. La terapia funziona.”

Maria Teresa mi fissò.

“Posso dirle una cosa? Da donna a donna?”

Sentii un brivido.

“Certo.”

“Lei è bella, intelligente, gentile. Perché è ancora sola?”

“Non è mai capitato. Il lavoro occupa molto tempo.”

“Capisco. E figli?”

“Li avrei voluti. Ma è tardi.”

Annuì, comprensiva.

“Ho cinquantotto anni, dottoressa. Nella vita ho visto tanto, capisco tanto. Soprattutto il cuore di una donna.”

Strinsi le mani, sentendo arrivare il discorso che temevo.

“Maria Teresa, cosa vuole dire?”

“Vedo come guarda mio marito. E come lui guarda lei.”

Silenzio. Avrei voluto negare, ma le parole non uscivano.

“Non so di cosa parla.”

“Lo sa. E sa una cosa? Non mi arrabbio. Luca è un uomo buono, piacerebbe a chiunque.”

“Tra noi c’è solo un rapporto professionale.”

“Lo so. E non ci sarà altro. Perché lei è una donna perbene, e lui un uomo perbene. Ma i sentimenti ci sono, vero?”

Abbassai lo sguardo. Negare era inutile.

“Ci sono,” ammisi piano.

“Vede? Ora mi ascolti bene,” si sollevò sul letto. “Io sto morendo.”

“Ma che dice! Le sue condizioni sono stabili…”

“Dottoressa, lo sento. Questo ictus non sarà l’ultimo. Ce ne saranno altri, e prima o poi uno mi ucciderà. Fra un mese, un anno. Ma morirò.”

Volevo protestare, ma qualcosa nei suoi occhi mi fermò.

“Perché lo pensa?”

“Perché sono stanca. Trent’anni come moglie, madre, casalinga. Ho cresciuto i figli, lavorato, badato ai genitori. Ora sono solo un peso.”

“Non è vero! Luca la ama.”

“Mi ama. Ma lo vedo stanco, invecchiato in questi mesi. Si prende cura di me e dimentica di mangiare, dormire.”

Mi prese una mano.

“SilPoi uscì dalla stanza, lasciandomi sola con il peso di quel segreto e la consapevolezza che, forse, la vera grandezza dell’amore sta proprio nel saper aspettare, anche quando non si sa se arriverà mai il momento giusto.

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