**Amore Fedele**
Il piccolo borgo di Casteldoro, arroccato tra le colline verdeggianti e i campi di grano della Toscana, respirava tranquillità. Il vento della sera accarezzava le foglie degli ulivi, mentre i lampioni diffondevano una luce fioca sulle stradine acciottolate. Chiara, stringendo tra le mani la borsetta, si avvicinava al bar dove avrebbe dovuto festeggiare il suo compleanno. Ma invece di risate e brindisi, udì un sussurro traditore che le strinse il cuore in una morsa.
“Lascia perdere questa festa,” sussurrò Federico con tono pigro, avvicinandosi all’orecchio di Silvia, la migliore amica di Chiara. “Vieni da me. Chiara non tornerà prima di notte.” La sua voce era piena di compiacimento.
“Ma certo, come no,” rispose Silvia con un’ombra di sarcasmo. “E quando torna? Dovrò forse scappare dalla finestra?”
“Finestra? Ma che dici,” Federico la strinse alla vita, la voce carica di sicurezza. “Se mi dici di sì, Chiara la mando via. Non ha posto nella mia vita.”
Chiara si bloccò, come colpita da un fulmine. Conosceva bene Silvia—mai timida davanti a un’avventura—ma Federico… Tre anni insieme. Tre anni di attese, sperando che un giorno le avrebbe messo l’anello al dito. Vivevano nel suo nuovo appartamento, comprato con un mutuo. Le bollette, i debiti, la ristrutturazione—tutto sulle sue spalle. Lei aveva creduto fosse temporaneo, che il matrimonio fosse solo questione di tempo. Ma ora il velo era caduto. Per lui era solo una comoda compagna, un ponte per attraversare le difficoltà finanziarie. Una famiglia insieme? Mai.
Sei mesi prima era morta sua madre. Allora Federico l’aveva delusa con la sua freddezza. Non era venuto al funerale, non l’aveva aiutata con gli arrangiamenti, si era limitato a dirle con indifferenza:
“Vendi qualcosa. Sai, ho il mutuo, i lavori in casa. Magari i parenti ti presteranno qualcosa. Quando avrai venduto la casa, sistemerai tutto.”
“Sistemerai”—quella parola l’aveva ferita come un coltello. Ma lei l’aveva scusato: stanchezza, un lapsus. Le piaceva il suo atteggiamento burbero e taciturno. “Un uomo che tiene tutto dentro non tradisce,” vantava con le amiche. Silvia rideva con loro, nascondendo le sue intenzioni. Ora la verità era venuta a galla, e Chiara, soffocando dal dolore, cominciò a sventolare disperatamente ai taxi che passavano. Una macchina si fermò, lei vi saltò dentro sbattendo la portiera.
“Più veloce, più veloce!” gridò all’autista, come se stesse fuggendo da un inseguitore.
Appena l’auto partì, il telefono di Chiara squillò: Federico.
“Dove sei? Sono qui da solo, come un idiota, tutti chiedono di te! Che succede?” La sua voce era un’evidente finzione.
Chiara spense il telefono e, in un impeto di rabbia, lo lanciò fuori dal finestrino. Le lacrime iniziarono a scorrere; singhiozzava come una bambina a cui avevano portato via tutto. L’auto correva, e Chiara, immersa nella disperazione, si rese conto di non aver detto alcun indirizzo.
“Dove stiamo andando?” chiese, la voce tremante.
“A casa,” rispose placido l’autista.
Chiara guardò fuori: la macchina sfrecciava su una strada di campagna, lontano dalla città.
“Casa? Dove?” Il cuore le batteva forte dalla paura.
“Vuoi che ti dica l’indirizzo?” L’autista rise, con un tono grezzo e minaccioso.
“Fermi! Subito!” gridò Chiara, la paura che le prendeva il sopravvento.
“Qui in mezzo ai campi? Che farai?” rise ancora lui.
“Chiamo la polizia!” sbottò lei, ma ricordò subito di non avere più il telefono. Aveva raccontato tutto a questo sconosciuto—il tradimento, il suo dolore. Lui sapeva che nessuno l’avrebbe cercata. L’avrebbe abbandonata nel bosco e basta. Fine.
Chiara cercò di aprire la portiera al volo, ma nel buio le dita non trovavano la maniglia. La disperazione la travolse. “Che sarà, sarà,” pensò. “Se mi uccide, almeno non soffrirò più.” Le lacrime scendevano silenziose, rassegnate.
L’auto frenò di colpo. L’autista aprì la portiera.
“Scendi.”
“No!” Chiara sentì improvvisamente il desiderio bruciante di vivere. Non si sarebbe arresa senza lottare.
“Non fare la sciocca, Chiara,” la voce dell’autista si fece più dolce. “Siamo arrivati.”
Alzò lo sguardo e rimase senza fiato. Davanti a lei c’era Matteo, un suo compagno di scuola. Quello che se n’era andato a fare carriera in una grande città.
“Matteo?” sussurrò, incredula.
“E chi ti aspettavi?” Lui sorrise, quel sorriso caldo e familiare.
“Tu… fai il tassista?” chiese lei, sconcertata.
Matteo rise.
“Ma quale tassista! Ti ho vista agitare le braccia come se volessi buttarti sotto una macchina.”
“Io…” Chiara esitò, sentendosi stupida.
“Lo so tutto,” Matteo le mise un braccio sulle spalle. “Un viaggio utile. Non sei mai stata così sincera.”
Chiara rise, le lacrime si asciugarono e il cuore si fece più leggero. Era davanti a casa sua, a Casteldoro, e il mondo sembrava smettere di crollarle addosso.
“Sono tornato per te,” sussurrò Matteo, accarezzandole le dita con la sua mano calda. “Che bello che non ti sei sposata…”