Il borgo di Montenero, nascosto tra le infinite colline e i boschi di ulivi della campagna abruzzese, respirò un silenzio profondo. La brezza serale sussurrava tra le foglie, mentre i lampioni illuminavano debolmente le stradine strette. Giulia stringeva la borsetta tra le mani mentre si avvicinava alla piccola trattoria, dove avrebbe dovuto festeggiare il suo compleanno. Invece di voci festose, udì un sussurro traditore che le strinse il cuore in una morsa.
“Lascia perdere questa festa,” diceva distrattamente Marco, avvicinandosi all’orecchio di Silvia, la migliore amica di Giulia. “Vieni da me. Tanto Giulia non tornerà prima di mezzanotte.” La sua voce grondava di sicurezza.
“Eh, certo,” rispose Silvia con una risatina ironica. “E quando tornerà? Dovrò buttarmi dalla finestra?”
“Perché dalla finestra?” Marco le cinse la vita, il tono carico di arroganza. “Se dici di sì, manderò via Giulia. Non ha posto nella mia vita.”
Giulia si immobilizzò, come colpita da un fulmine. Conosceva Silvia—non si era mai fatta problemi con le scappatelle. Ma Marco… Tre anni insieme. Tre anni ad aspettare che le infilasse un anello al dito. Vivevano nel suo nuovo appartamento, comprato con un mutuo. I lavori di ristrutturazione, le bollette, i debiti—tutto ricadeva sulle sue spalle. Lei lo considerava un periodo transitorio, credeva che il matrimonio fosse solo una formalità. Ma ora il velo le era caduto dagli occhi. Per lui non era che un trampolino, un ponte per attraversare abissi finanziari. Non ci sarebbe mai stata una famiglia. Mai.
Sei mesi prima era morta sua madre. Marco l’aveva sconvolta con la sua freddezza. Non era andato al funerale, non l’aveva aiutata con i preparativi, si era limitato a dire con indifferenza:
“Vendi qualcosa. Sai, ho il mutuo, la ristrutturazione. Magari i parenti ti presteranno qualcosa. Quando vendi la casa, saldi tutto.”
“Saldare tutto”—quelle parole l’avevano ferita come un coltello. Ma Giulia si era giustificata: stanchezza, una frase detta senza pensare. Le piaceva il suo carattere taciturno, quel suo essere cupo. “Un uomo che tiene tutto dentro non tradisce,” vantava con le amiche. Silvia rideva insieme a loro, nascondendo i suoi piani. Ora la verità era venuta a galla, e Giulia, soffocando dal dolore, iniziò a fermare freneticamente i taxi di passaggio. Una macchina si fermò, vi saltò dentro sbattendo la portiera.
“Veloce, più veloce!” gridò all’autista, come se stesse fuggendo da un inseguitore.
Prima che l’auto ripartisse, il telefono squillò. Era Marco.
“Dove sei? Sono qui da solo, come un idiota, tutti chiedono di te! Che succede?” La sua voce era piena di falsità.
Giulia spense il telefono e, in un impeto di rabbia, lo lanciò fuori dal finestrino. Le lacrime iniziarono a scorrere senza controllo, singhiozzando come una bambina a cui è stato portato via tutto. L’auto sfrecciava, mentre lei, annebbiata dalla disperazione, realizzò di non aver detto l’indirizzo.
“Dove stiamo andando?” chiese, la voce tremante.
“A casa,” rispose l’autista con calma.
Giulia si guardò intorno: la macchina correva lungo una strada di campagna buia, lontana dalla città.
“A casa? Dove?” Il suo cuore batteva all’impazzata per la paura.
“Vuoi che ti dica l’indirizzo?” La voce dell’autista aveva una nota di beffa, greve e minacciosa.
“Fermi! Subito!” urlò Giulia, la nausea che le saliva in gola.
“Qui in mezzo ai campi?” Rise l’autista. “E tu che faresti?”
“Chiamo la polizia!” esclamò, solo per ricordare all’istante che il telefono non c’era più. Aveva confidato tutto a quel perfetto sconosciuto: il tradimento, il dolore. Lui sapeva che nessuno l’avrebbe cercata. L’avrebbe lasciata nel bosco—e tutto sarebbe finito lì.
Tentò di aprire la portiera in movimento, ma le dita non trovavano la maniglia al buio. La disperazione la travolse. “Che sia quel che sia,” pensò. “Se mi uccide, almeno finirà questo dolore.” Le lacrime cadevano silenziose, rassegnate.
L’auto frenò di colpo. L’autista aprì la portiera senza una parola.
“Scendi.”
“Non scendo!” Giulia sentì improvvisamente una voglia bruciante di vivere. Non si sarebbe arresa senza lottare.
“Non fare la stupida, Giulia,” la voce dell’autista si fece più dolce. “Siamo arrivati.”
Alzò lo sguardo e rimase senza fiato. Davanti a lei c’era Andrea, un suo compagno di scuola. Quello che dopo il liceo era partito, aveva fatto carriera in una grande città.
“Andrea?” sussurrò, incredula.
“Chi ti aspettavi?” Sorrise, e quel sorriso le ricordò la gentilezza di un tempo.
“Ma tu… fai il tassista?” chiese, ancora diffidente.
Andrea scoppiò a ridere.
“Quale tassista? Ti ho visto agitare le braccia come se volessi buttarti sotto una macchina.”
“Io…” Giulia si sentì ridicola.
“So tutto,” Andrea le mise una mano sulla spalla. “Un viaggio utile. Non sei mai stata così sincera.”
Giulia rise, le lacrime si asciugarono, e il cuore le sembrò più leggero. Era davanti alla sua casa a Montenero, e il mondo, finalmente, smise di crollarle addosso.
“Sono tornato per te,” disse piano Andrea, intrecciando le sue dita con quelle di lei, calde e sicure. “Che bello che non ti sei sposata.”