Amore Unico

GIOVANNI L’UNICORISTA

Giovanni ogni weekend se ne stava a smanettare con la sua moto in garage, accanto a casa. Lo circondavano ragazzini, accoccolati come passerotti attorno al “cavallo di ferro”, mentre lui puliva il motore, stringeva qualche bullone o lucidava i pezzi cromati con un panno.

“Wow, che razza di schizzato sarà!” ripetevano i ragazzini estasiati. “Gio, ci fai fare un giro?”

“Eh no, siete troppo piccoli. La moto non è uno scooterino, è roba seria…”

Gli sguardi delusi dei ragazzini lo intenerivano.

“Va bene, ma solo un paio di giri nel cortile, eh!”

I “passerotti” esultavano, poi scappavano al campo di calcio con il pallone in mano. Giovanni tornava a casa e sua madre, Lucia, brontolava:

“Ma quando ti decidi a trovarti una ragazza? Guarda i Russo, il secondo figlio si è già sposato, e sono tutti più giovani di te! A cosa pensi? Mica sei un ragazzino per passar le giornate a smontare ferraglia…”

“Ferraglia” era il termine con cui Lucia definiva anche la vecchia Fiat del nonno, regalata a Giovanni quando era tornato dal servizio militare. Lui l’aveva rimessa a nuovo, ridipinta e ora splendeva come appena uscita dal concessionario.

“La mia ‘Topolino’ è rinata, nonno sarà felice. Potrei venderla a peso d’oro… ma ormai mi ci sono affezionato,” spiegava.

“Bello tutto, ma sono sei anni che sei tornato e ancora niente fidanzata! Ho paura che finirai a sposare un cacciavite,” sospirava Lucia.

“E dove la trovo una ragazza? Io non ballo, al cinema è buio, non si vede un’acca…”

“Già, e di cosa parleresti con una ragazza perbene? Colpa mia, lo ammetto. Non hai mai letto un libro, non c’è teatro in città, e al museo non ti ci trascini manco con la fune. Hai solo motori e pezzi di ricambio in testa!”

“Ma è il mio lavoro, mamma. Sono un meccanico, le mie mani valgono oro!”

“Ehm, oro… più che altro olio di motore! I miei asciugamani sono tutti macchiati, ormai ti ho comprato quelli scuri. E poi, quale ragazza vorrà parlare di carburatori?”

“Quella giusta,” rispondeva Giovanni, guardandosi le mani sporche.

“Per cominciare, potresti andare al museo, così ti fai un po’ di cultura.”

“Da solo? Mai nella vita.”

“E perché solo? È estate, tuo nipote Matteo è in vacanza. Portalo con te, prendete un gelato, sarà una gita culturale!”

“Ah, quindi è un’operazione ‘cercasi fidanzata’?” rideva Giovanni.

Passarono alcuni giorni, e a cena Lucia annunciò:

“Domani è sabato. Matteo viene da noi.”

“E quindi?”

“Gli ho promesso che andrete al museo. È tutto contento, si è pure vestito elegante!”

“Oh, già… il museo. Va bene, andiamo.”

Il giorno dopo, il sole splendeva. Prima di affrontare l’impegno culturale, Giovanni e Matteo si concessero un gelato. Poi, puntuali, arrivarono al museo.

“Affrettatevi,” disse la bigliettaia, “la visita guidata è appena iniziata!”

Matteo si infilò tra la folla per sentire meglio, mentre Giovanni restava in disparte, quasi imbarazzato. Ma non perse una parola della guida, una ragazza minuta come una statuina, vestita di bianco, con occhi azzurri come il cielo e collane di perle trasparenti. Le sue mani sembravano quelle di un uccellino magico appollaiato su un ramo.

Giovanni ne fu incantato. Quando la visita finì, la ragazza scomparve nei corridoi del museo. Usciti, il caldo li investì.

“Che fresco c’era dentro,” disse Matteo. “Peccato, volevo farle delle domande…”

“Tranquillo, torneremo,” promise Giovanni, già controllando gli orari. “Domani stesso!”

“Davvero?”

“Certo, prima che mi dimentichi le domande!”

A casa, Lucia alzò un sopracciglio vedendoli pronti per un altro giro al museo, ma non disse nulla. Il giorno dopo, Giovanni chiese alla bigliettaia:

“La guida di ieri, come si chiama?”

“Eh, ne abbiamo diverse…”

Dopo una descrizione confusa, la bigliettaia capì.

“Ah, sì! Beatrice. Oggi non c’è, sta guidando un gruppo in giro per la città. Tornate un’altra volta.”

Giovanni rimase deluso. Matteo lo strattonò:

“Allora, non entriamo?”

“Bella domanda…” rispose seccato.

Per non sprecare la giornata, lo portò di nuovo a mangiare un gelato, mentre nella mente gli danzavano gli occhi azzurri di Beatrice. Almeno, ora sapeva il suo nome.

“Allora, sabato prossimo si torna al museo?” chiese Matteo, malizioso.

“Sì, dobbiamo chiarire i nostri dubbi culturali,” rispose Giovanni, serio. “Preparati bene, non facciamo brutta figura!”

Matteo annuì, leccando il cono. Poi passarono al parco giochi, sulle giostre.

Finalmente arrivò il weekend. Entrarono al museo appena aperto. Silenzio, solo il cigolio del parchetto sotto i loro passi. Poi apparve Beatrice, in un sobrio tailleur grigio, ma con le stesse collane luminose.

Salutò, e Matteo si preparò a fare le sue domande, ma lei lo anticipò:

“Giovanni?”

“…Sì? Ma come mi conosci?”

“Frequentavamo la stessa scuola. Tu eri quello che sistemava i fili della radio scolastica. Io arrivai solo in quarta liceo, ma ti ricordavo bene. Io presentavo i programmi, tu… beh, facevi funzionare tutto. Non ti ricordi?”

“Scusa, no. Non sono bravo con i visi, ma l’altra volta mi sembrava di conoscerti da una vita…”

Chiacchierarono a lungo. Beatrice aveva studiato storia dell’arte e lavorava lì da due anni. Giovanni le offrì aiuto per qualsiasi riparazione, e si scambiarono i numeri di telefono.

Usciti, Matteo lo guardò:

“Ho preparato tutte quelle domande, e poi hai parlato solo di scuola!”

“Pazienza, piccolo mio. Da ora in poi verremo spesso qui. Cultura, sai?”

“Be’, io passo. Adesso tocca a te!”

“Come vuoi. Però oggi ti porto a casa in macchina, che dici?”

“Grande!” esclamò Matteo, abbracciandolo.

La notizia che Giovanni usciva quasi ogni sera con la sua “Topolino” riempì di gioia la famiglia.

“Lo sapevo che la mia macchina sarebbe servita a qualcosa di buono,” disse il nonno. “E che quel ragazzo è un tipo serio, non corre dietro a ogni gonna.”

“Secondo me è un unicorista,” sospirò Lucia. “Spero solo che Beatrice lo capisca…”

“Non farti paranoie, figlia mia. Hanno la stessa scuola, ricordi in comune… e poi, l’amore unisce anche i più diversi.”

Beatrice e Giovanni stettero insieme per sei mesi. Lucia stirava camicie bianchissime prima degli appuntamenti e controllava che si lavasse le mani.

“Mamma, ma sei peggio di quando avevo cinque anni!” brontolava Giovanni, ma sorrideva. Prima di ogni uscita, era sempre di ottimo umore.

“Vecchie abitudini,” diceva Lucia, accarezzandolo. “Presto ti passerò a tua moglie, ma ricordati: in una coppia ci vuoleE così, la vigilia di Capodanno, Giovanni e Beatrice si sposarono, sfrecciando verso il municipio sulla Topolino addobbata di fiori e nastri, mentre Matteo, orgoglioso come un paggetto, reggeva il velo della sposa e il nonno sussurrava commosso: “Vedi, piccolo? Anche tu un giorno troverai la tua Beatrice… ma prima, lavati le mani!”

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