Andate pure, io arrivo subito.

— Tanto voi andate, io arrivo dopo.
— Dove sei?
— In casa al mare. Mamma ha chiesto che la portassi.

In casa al mare. Proprio il giorno in cui tuo figlio inizia la scuola per la prima volta…

Beatrice era in cucina, con la spugna stretta in mano mentre il detersivo le scivolava tra le dita. Le tremavano, ma non per l’acqua fredda: solo per la rabia. Sul fuoco, la farina d’avena stava già bollendo troppo, in camera la TV sussurrava notizie inutili, e nella sua testa rimbalzavano domande: **«La casa al mare? Ora? Perché?»**

…Il marito era uscito presto. All’inglese. Basta una porta sbattuta e la casa era di nuovo silenziosa. Lei pensò: forse è andato in macchina per lavoro. Intanto il piccolo, Tommaso, si strofinava gli occhi e, in pigiama, barcollava verso il bagno.

Tutto normale. Tranne un dettaglio: il papà non era tornato.

— Luca, ma sei impazzito?! — gli chiese quando finalmente riuscì a chiamarlo.
— È che la mamma aveva chiesto una cosa urgente — si giustificò lui. — Voi andate avanti, io arrivo dopo.
— Ah, urgente. Proprio oggi. Alle otto del mattino. Il primo giorno di scuola — la voce di Beatrice diventò più fredda del vento che soffia sull’Amiata d’inverno.
— Dai, capisco che è un momento importante… ma lei ha insistito. Sarà una cosa veloce.

Beatrice tacque. Perché se avesse aperto bocca, la diga del suo autocontrollo sarebbe crollata. E una crisi di nervi di prima mattina non è esattamente il benvenuto per un bambino che inizia le elementari. Invece di rispondere, semplicemente chiuse la chiamata.

Che se la vedessero loro con la coscienza.

— Mamma, ma dov’è papà? — Tommaso era lì, nella camicina bianca nuova, che si abbottonava da solo.

Ci metteva un secolo, sudava, ma non si lamentava.

— La nonna aveva bisogno di andare alla casa al mare. Papà l’ha accompagnata — rispose Beatrice, senza sarcasmo né giri di parole.
— E poi viene? — chiese lui, con una speranza che faceva male.
— Non lo so, amore. Penso di no.
— Ma sapeva che oggi è il mio giorno speciale?

Nei giorni prima ne avevano parlato mille volte. Ma evidentemente, per Tommaso, non c’era spiegazione logica per una scelta così.

— Lo sapeva — sussurrò lei.

Il bambino abbassò lo sguardo, senza dire altro. Si sedette a tavola e si immerse nel telefono. Nel vaso c’era il mazzo di fiori che avrebbe portato a scuola. All’ingresso, lo zaino nuovo con le macchinine. Tutto pronto per la festa.

Mancava solo la famiglia.

Alla cerimonia, Tommaso cercò di fare il forte. Non sorrideva, non piangeva, ma stringeva la mano della mamma più del solito, mentre intorno bambini, nonni e padri con i cellulari si affollavano. Per tutti era un giorno di festa.

Anche Beatrice scattò foto, cercò di farlo ridere. Aveva un nodo in gola, ma sorrideva per due. Forse anche per tre. Ma non bastava.

Quando un ragazzo più grande sollevò in aria una bimba col fiocco e la campanella, arrivò il primo messaggio della suocera: **«Fai tante foto. Mandamele. Voglio vederle.»** Un quarto d’ora dopo, il secondo: **«Di’ a Tommaso che mi saluti. Sono con voi col cuore!»**

**«Col cuore?»** Beatrice serrò i denti. **«Col cuore»** è comodissimo. Zero fatica.

Non rispose. Non per paura di litigare. Solo perché… non aveva niente da dire a quel tipo di persona.

Dopo la cerimonia, andarono in gelateria, presero un cono e una coppetta, poi passeggiarono in piazza. Il piano originale era un viaggio al parco giochi, ma il papà era alla casa al mare. Con i piantini di pomodori, non con suo figlio. Il programma doveva cambiare.

— Mamma, posso non rispondere se chiama la nonna? — chiese Tommaso quando il telefono vibrò nello zaino.
— Certo — rispose lei con un cenno. — Neanch’io risponderei.

Non ci furono spiegazioni. Non servivano. Il bambino l’abbracciò forte, come se volesse trasmetterle tutto il dolore e la delusione in un solo gesto.

Dentro di lei, qualcosa si indurì. Per questo quando Luca chiamò, nessuna delle due prese la cornetta.

La conversazione si limitò a brevi messaggi.

— Stai facendo la piccola. Rispondi al telefono. La mamma è offesa — scrisse Luca.
— Anche tuo figlio — replicò lei.
— Tommaso è offeso?
— Sì. Perché per lui oggi era importante. E voi avete scelto i pomodori. Continuate pure.

Luca riuscì a tornare solo verso le 21. Entrò in punta di piedi, come se temesse di sveggiare qualcuno o, per meglio dire, di peggiorare un’atmosfera già tesa. Il piccolo era già a letto. Beatrice era in salotto con un libro tra le mani, ma non leggeva. Non riusciva a concentrarsi. Le serviva solo come scudo tra il silenzio e i suoi pensieri.

— Magari domani usciamo tutti in tre? — propose lui sedendosi accanto a lei. — Cinema o un caffè. Ultimamente siamo sempre divisi.

Lei alzò un sopracciglio e lo guardò. Non sorrise, non annuì. Si limitò a un sospiro stanco.

— Credi che le relazioni siano come il lavoro? Che possa spostare una scadenza? Tommaso aveva bisogno di te oggi.
— Non l’ho fatto apposta — lui si strinse la fronte, nervoso. — La mamma ha chiesto all’improvviso, non potevo dirle che no. Pensavo ci saremmo veloci.
— Sicuro. Peppo che il tuo «pensavo» non serve a tuo figlio. Ti ha aspettato. Fino all’ultimo.
— Non esagerare… — borbottò lui. — Cosa ti turba?

Beatrice rise in modo secco, ironico. Luca vedeva la situazione in modo diverso. La terra non si era fermata, nessuno era morto, e lei stava solo facendo la permalosa.

Non capiva che per lei era un vero tradimento. O forse non voleva capirlo.

— Tante cose. Prima di tutto che non sai quanto hai ferito Tommaso. Che credi che tutto si aggiusti da solo.

Un tempo era diverso. Ricordava quando, durante la gravidanza, Luca le aveva detto:

— Voglio essere parte della sua vita, non solo esserci per caso. Voglio essere un bravo padre.

Lei insegnò al bambino ad andare in bicicletta, a fare aeroplanini di carta, soldati di castagne. Correva con lui e le macchinine. Gli occhi del piccolo brillavano, e Luca lo guardava con l’espressione di chi ha trovato il proprio senso della vita.

E poi c’era la nonna, che preparava torte. Più per se stessa che per Tommaso, ma almeno c’era quello. Lo riempiva di complimenti, ma sempre con un velo d’egoismo: **«Che bel nipotino che ho! È tutto me!»**

Le cene di famiglia erano rumorose, piene di portate e decorazioni. Torte, antipasti elaborati. Ma quando gli ospiti se ne andavano, tutto crollava. Restavano solo sospiri, occhigliate e frasi come **«Potevi venire prima ad aiutare con la tavola»**.

Tommaso lo sentiva. Era piccolo, ma non stupido. Ricordava quando la nonna promise di prenderlo allE quella sera, mentre madre e figlio si stringevano sul divano guardando i cartoni, capirono che a volte la famiglia più vera è quella che scegli, non quella in cui nasci.

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