Tutto andrà bene, figlio mio…
“Federico, figlio, sono io, la mamma,” risuonò una voce flebile al telefono. Federico era sempre infastidito dal modo in cui sua madre sentiva il bisogno di specificare che era lei, come se non riconoscesse la sua voce. Quante volte le aveva spiegato che il cellulare mostrava il nome di chi chiamava?
La mamma aveva un vecchio telefono a tasti. Lui le aveva regalato un modello nuovo, più avanzato, ma lei si era rifiutata.
“Son troppo vecchia per queste novità. Regalalo piuttosto… a Rosanna. Sua figlia non le fa mai questi regali. Ne sarà felice.”
Rosanna aveva apprezzato il telefono e lo aveva imparato subito. Federico gliel’aveva dato con un secondo fine: se fosse successo qualcosa alla madre, Rosanna avrebbe potuto chiamarlo immediatamente. Aveva persino inserito il suo numero nei contatti.
“Mamma, so che sei tu,” disse Federico con un sorriso. “Tutto bene?”
“Figlio, sono all’ospedale.”
Una scossa di freddo gli attraversò la schiena.
“Cosa è successo? Il cuore? La pressione?” chiese in fretta.
“Mi operano domani. L’ernia si è infiammata. Non resisto più al dolore.”
“Perché non mi hai chiamato prima? Mamma, vengo domani, ti porto in città. Qui gli ospedali sono migliori, i chirurghi sono bravi. Ti prego, rinuncia all’operazione!”
“Non preoccuparti, Federico. Ti ricordi di Filippo Rossetti? È un ottimo dottore…”
“Mamma, ascoltami, arrivo domani mattina,” la interruppe. “Fino ad allora non farti operare!” Alzò la voce perché quella della madre era ormai un sussurro.
“Stai tranquillo. Tutto andrà bene, figlio mio. Ti voglio bene…” La chiamata si interruppe con un tono secco.
Federico guardò lo schermo: sullo sfondo nero, i numeri segnavano le dieci e dieci di sera.
Le ultime parole della madre erano sembrate ovattate, come provenienti da lontano. Mai prima d’ora aveva chiamato così tardi. Qualcosa non andava. Provò a richiamare, ma nessuno rispose. Tentò più volte, invano.
Si alzò dalla scrivania e guardò fuori dalla finestra. Pioveva da due giorni, una pioggia mista a nevischio. In condizioni normali, il viaggio fino al paesino della madre richiedeva cinque ore, ma con quel tempo ne sarebbero state sei. Doveva partire subito, per non correre ma arrivare in tempo prima dell’operazione. Chissà a che ora sarebbe iniziata. Le strade di campagna erano probabilmente impraticabili, ma non sarebbe andato fino al paesino, bensì all’ospedale del capoluogo.
Spense il computer e si preparò in fretta. Già sulla porta, si ricordò di non aver preso il caricabatterie. Tornò indietro, lo afferrò e si fermò un attimo nell’ingresso. «Se dimentichi qualcosa e torni indietro, guardati allo specchio prima di uscire di nuovo», gli aveva detto sua madre una volta. Federico osservò il suo riflesso: il viso era stanco, lo sguardo ansioso. “Mamma ha detto che tutto andrà bene, e non mi ha mai mentito,” si disse prima di uscire.
In macchina, si chiese se chiamare Rosanna. Lei e sua madre erano vicine di casa, amiche da una vita. Ma mentre lui lavorava di notte, in campagna andavano a dormire presto. Eppure, perché Rosanna non lo aveva avvisato? L’aveva avvertita proprio per questo. Il pensiero gli riaccese l’ansia. Il motore era caldo, e Federico uscì dal cortile.
Quante volte aveva provato a convincere sua madre a trasferirsi da lui? Il suo appartamento era grande, c’era spazio. Ma lei rifiutava sempre. “Figlio, sei giovane, ti darei fastidio. Io sto bene qui. Non me ne vado.”
Ah, mamma, mamma. Perché non hai chiamato prima? Sempre così attenta a non disturbare, a non essere di peso.
Ripensò alla telefonata. Solo ora capì cosa lo aveva turbato. La voce di sua madre era strana, spenta, quasi filtrata da un ostacolo. E quelle ultime parole, appena comprensibili. E quel tono colpevole. Forse pensava di averlo svegliato nel cuore della notte. Mai prima d’ora aveva chiamato a quell’ora.
L’ernia la tormentava da anni, peggiorava con il maltempo. Ma lei rimandava sempre. C’era l’orto da piantare, il raccolto da fare, Rosanna che si era ammalata e non poteva abbandonarla. Sempre una scusa pronta.
E lui? Viveva relativamente vicino, aveva la macchina, ma il tempo per andare a trovarla sembrava sempre mancare. Anche lui aveva le sue giustificazioni.
Ricordava sua madre dolce e affettuosa, ma capace di sgridarlo quando serviva, o di dargli qualche scappellotto se meritato. Non se ne offendevE mentre stringeva al petto la piccola Nadia, sentì per un attimo il profumo di mandorle amare, quello che sua madre usava sempre, e capì che in qualche modo lei era ancora lì, a vegliare su di loro.