Anni fa, all’università, i miei vicini erano tre ragazzi della mia età.

Tanto tempo fa, quando ero all’università, avevo come vicini di casa tre ragazzi più o meno della mia età. Col tempo diventammo grandi amici. Un giorno, la sorella di uno di loro decise di giocare alla ouija con alcune amiche, e fu così che evocò un bambino che, per comodità, chiameremo Luca.

Secondo quanto raccontò il piccolo, stava per andare in paradiso, ma sentendosi chiamare, gli parve più divertente rimanere. Da allora, provarono più volte a convincerlo a proseguire il suo viaggio, ma lui si opponeva sempre. All’inizio sentivamo solo le storie di quelle tre ragazze e delle loro presunte avventure con Luca.

Nessun altro aveva visto o sentito nulla, quindi facevamo fatica a crederci. Però, i miei amici avevano un’abitudine strana: ogni volta che qualcuno andava a trovarli, chiedevano a Luca di non spaventarlo. Gli promettevano che, una volta andato via l’ospite, avrebbero giocato con lui. Era una sorta di rituale, ripetuto a ogni visita.

Un pomeriggio, eravamo noi quattro seduti in salotto a chiacchierare. Dovevano essere le quattro o le cinque, quando una palla cominciò a rotolare lentamente lungo il corridoio, fermandosi davanti ai piedi di uno di loro. Io la vidi, ma feci finta di niente. Pensai fosse il vento, o almeno, speravo lo fosse. Il mio amico raccolse la palla con un sorriso e la rimise delicatamente nel corridoio.

Passarono quindici o venti minuti, e la palla tornò a rotolare… di nuovo, fino ai suoi piedi. Questa volta, però, avevo tenuto d’occhio il corridoio. Volevo capire se non ci fosse qualcuno a spingerla.

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