«Anziana dona casa al figlio minore: il maggiore trama vendetta con terribili accuse»

Ieri mattina, la mamma mi ha chiamato con una voce piena di preoccupazione:
«Figlia mia, per favore, vai a trovare la nostra vicina, la zia Luisa. È molto turbata e ha chiesto un consiglio legale. Non ha voluto spiegare altro, ma ha detto che tu sei intelligente e puoi aiutarla…»

Conoscevo Luisa Bianchi da quando ero bambina. Avevamo vissuto nello stesso palazzo per anni, e anche dopo il mio matrimonio e il trasloco, ogni volta che tornavo a trovare la mamma, la salutavo sempre nel cortile. Ha novant’anni, ma fino a poco tempo fa era ancora vivace, sorrideva a tutti, portava dolci fatti in casa e chiacchierava con le altre signore. Ultimamente, però, si lamentava spesso del cuore e della pressione alta. Il figlio minore, Matteo, viveva con lei e l’aiutava in tutto. Il maggiore, Riccardo, abitava dall’altra parte di Roma e la visitava sempre meno.

Riccardo aveva studiato all’accademia militare, poi si era sposato, aveva una casa, una macchina, una villa al mare. Benestante, indipendente, ma distante. Con la madre, i rapporti erano sempre stati tesi: a volte tacendo, altre offendendosi, altre ancora dando ordini. Matteo, invece, era rimasto accanto a lei. Con il tempo, era diventato il suo unico sostegno. E proprio a lui, quella primavera, Luisa aveva deciso di donare l’appartamento.

Il figlio maggiore lo scoprì e… non protestò. Disse:
«Non mi serve, ho già tutto. Almeno Matteo avrà qualcosa.»
Sembrava una soluzione giusta. Ma la pace durò poco.

Quando entrai da Luisa quella sera, il suo viso tradisceva le lacrime appena versate. Si sedette, si asciugò gli occhi e, con la voce rotta, mi chiese:
«Figlia mia… dove si può fare quell’esame… come si chiama… quello del DNA?»

Rimasi senza parole.
«Zia Luisa, perché vuole farlo?»

E allora mi raccontò tutto. Qualche giorno prima, Riccardo era comparso alla sua porta. Con il volto cupo, le aveva detto:
«Non sono figlio di tuo marito. I nostri gruppi sanguigni non coincidono. Ora tutto ha senso. Per questo hai dato la casa a Matteo e non a me. Io sono un estraneo. Lui è il tuo vero figlio.»

Dopo quelle parole, sbatté la porta e se ne andò. Senza lasciarle spazio per replicare. Ora non rispondeva più alle sue chiamate.

Luisa sussurrò:
«Mio marito aveva il gruppo sanguigno positivo, questo lo ricordo… il mio invece non lo so. C’era scritto sul vecchio passaporto, ma l’ho cambiato anni fa. E quello di Riccardo… non l’ho mai saputo. Quando nacque, ero stanca, e poi non c’era nessuno a cui chiedere…»

Le avevano suggerito il test del DNA. Ma le spiegai che non era così semplice: suo marito era morto più di vent’anni prima. Serviva del materiale biologico — sangue, capelli, saliva — o un’esumazione, che richiedeva un’autorizzazione del tribunale e costava una fortuna.

Luisa scoppiò di nuovo in pianto:
«Quindi non posso dimostrargli che è figlio di mio marito?»

Non riuscii a trattenermi. La mia voce tremò, quasi mi misi a piangere anch’io:
«Zia Luisa! Non deve dimostrare niente a nessuno! Lui non ha detto nemmeno il suo gruppo sanguigno. Si è solo offeso. Ha trovato una scusa per ferirla. È un uomo adulto, ma si comporta come un bambino viziato. Lei ha fatto ciò che è giusto — ha dato la casa a chi è rimasto con lei. Lui ha solo voluto colpirla nel modo più crudele.»

Respirai profondamente e continuai:
«Se vuole, vada con Matteo in ospedale, si faccia controllare il gruppo. Forse nella clinica dove partorì ci sono ancora archivi. E i documenti di suo marito potrebbero esserci da qualche parte. Ma anche se non ci fossero, Riccardo dovrebbe venire da lei e chiedere scusa come un uomo. Non lanciare accuse che feriscono più di un coltello.»

Lei annuì, un po’ più calma.
«Hai ragione… ma lui non risponde al telefono.»

Le chiesi il numero di Riccardo. Uscita dal palazzo, lo chiamai. Rispose.
«Buongiorno, sono una vicina di sua madre.»
«Cosa vuole?»
«Vorrei parlarle di Luisa Bianchi…»
«Mi dica.»
«Lei è molto turbata…»

E a quel punto riattaccò. Secco.

Rimasi con il telefono in mano, il cuore che batteva forte. Pensai a quanto sia fragile il legame più sacro, quando al posto dell’amore resta solo il risentimento. E a quanto sia terribile quando un figlio accusa sua madre di qualcosa che non ha mai fatto.

Luisa non ha tradito nessuno. Ha solo donato l’unica casa a chi non l’ha mai abbandonata. Il figlio maggiore se n’è andato da solo. E ora si vendica — senza parole, con freddezza. Eppure, per lei, lui era sempre stato suo figlio. Fino a ieri.

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