«Appena andato in pensione, è iniziato il calvario»: come l’età che avanza rivela la solitudine accumulata negli anni.

«Appena ho preso la pensione, sono iniziati i guai»: come l’età rivela la solitudine accumulata negli anni.
Ho sessantanni. E per la prima volta sento di non contare più: né per i miei figli, né per i nipoti, né per lex marito, e neppure per il mondo.

Fisicamente sono qui. Cammino per strada, vado in farmacia, compro il pane, spazzo il terrazzino sotto casa. Ma dentro ho un vuoto che ogni giorno si allarga, ora che non devo più correre in ufficio. Ora che nessuno mi chiede: «Mamma, come stai?»

Vivo sola. Da anni. I miei figli sono grandi, hanno le loro famiglie e vivono lontano: mio figlio a Milano, mia figlia a Firenze. I nipoti crescono e io quasi non li conosco. Non li vedo andare a scuola, non gli faccio maglioni, non gli leggo fiabe. Non mi hanno mai invitata. Neanche una volta.

Un giorno ho chiesto a mia figlia:
Perché non vuoi che venga? Potrei aiutarti con i bambini
Lei ha risposto, tranquilla ma distante:
Mamma, lo sai mio marito non ti sopporta. Ti intrometti e hai i tuoi modi

È stato un pugno al cuore. Mi sono sentita umiliata, arrabbiata, ferita. Non volevo impormi, solo stare vicina. Ma il messaggio era chiaro: «Non sei benvenuta». Né dai figli, né dai nipoti. È come se fossi sparita. Persino lex marito, che abita nel paese accanto, non ha mai tempo. A Natale, un messaggio freddo, come un obbligo.

Quando sono andata in pensione, ho pensato: finalmente tempo per me. Inizierò a cucire, farò passeggiate, seguirò quel corso di pittura che sognavo. Invece dellallegria, è arrivata lansia.

Prima sono venuti strani sintomi: cuore in gola, giramenti di testa, paura di morire. Ho visto medici. Analisi, elettrocardiogramma, risonanze tutto normale. Finché un dottore non mi ha detto:
Signora, è emotivo. Ha bisogno di parlare, di stare con gente. È troppo sola.

Ed è stato peggio di qualsiasi malattia. Perché non esiste una pillola per la solitudine.

A volte vado al supermercato solo per sentire la cassiera. Altre volte mi siedo su una panchina con un libro, fingo di leggere, sperando che qualcuno mi parli. Ma tutti hanno fretta. Tutti hanno una meta. E io esisto e basta. Respiro. Ricordo.

Cosa ho sbagliato? Perché la mia famiglia si è allontanata? Li ho cresciuti da sola. Loro padre se nè andato presto. Lavoravo giorno e notte, cucinavo, stiravo, li curavo. Non bevevo, non uscivo. Ho dato tutto.

E ora sono di troppo.

Ero troppo dura? Troppo rigida? Volevo solo il meglio per loro. Che diventassero persone perbene. Li tenevo lontani dai cattivi. E alla fine sono rimasta sola.

Non cerco pietà. Voglio capire: sono stata una madre così sbagliata? O è solo il ritmo di oggimutui, corsi, corsedove non cè spazio per una donna anziana?

Qualcuno mi dice:
Trova un compagno. Iscriviti a un sito di incontri.
Ma non posso. Non mi fido. Dopo anni sola, non ho più la forza di aprirmi, di innamorarmi, di far entrare un estraneo. E la salute non è più quella.

Non posso neanche lavorare. Almeno lì cera il gruppo: chiacchiere, risate. Ora solo silenzio. Un silenzio così pesante che a volte accendo la TV solo per sentire voci.

A volte penso: se sparissi, qualcuno se ne accorgerebbe? Né i figli, né lex, né la vicina del terzo. E quel pensiero mi annebbia di paura.

Poi respiro. Mi alzo, faccio un tè e mi dico: forse domani andrà meglio. Forse qualcuno si ricorderà. Forse una chiamata. Una lettera. Forse conto ancora qualcosa.

Finché cè speranza, resterò viva.

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