**Diario di Adriana**
Sono sveglia alle sei e mezza, come sempre. Il cielo fuori è ancora nero, ma il mio orologio interno non sbaglia da quarant’anni. Mi alzo, infilo la vestaglia e vado in cucina per accendere il bollitore.
Sul frigorifero c’è un foglietto attaccato con una calamita a forma di coccinella. Strano, ieri sera non c’era.
Lo stacco e accendo la luce. La calligrafia è sconosciuta, incerta, come scritta da una mano poco abituata.
*Adriana, mi scusi il disturbo. Sono la sua vicina di fronte, mi chiamo Fiammetta. Mi vergogno a chiederlo, ma non ho altra scelta. Potrei prenderle un po’ di zucchero? Glielo restituirò. Appartamento 47. Grazie mille. Fiammetta De Luca.*
Aggrotto le sopracciglia. La vicina del 47? Ma lì vivono i signori Rossi, con i loro bambini. Conosco tutti i condomini a memoria, sono la portinaia da dieci anni.
Il bollitore fischia. Metto da parte il biglietto e preparo la colazione. Sento un groviglio nello stomaco. Com’è entrata Fiammetta nell’appartamento? E perché non sapevo che i Rossi se ne fossero andati?
Dopo colazione, esco nel pianerottolo e mi fermo davanti alla porta del 47. Ascolto. Silenzio. Nessuna voce di bambini, nessun rumore. Solo il brusio lontano di una televisione.
Suono il campanello con esitazione.
— Chi è? — Una voce femminile, gracchiante.
— Sono Adriana, del 48. Lei ha lasciato il biglietto per lo zucchero?
La serratura scatta, la porta si apre lasciando spazio solo alla catenella. Nella fessura appare un pezzo di volto rugoso e un occhio sospettoso.
— Lei è davvero Adriana? — chiede diffidente.
— Sì. E lei è Fiammetta De Luca?
— Sì, sì. Prego, entri.
La catenella viene slacciata. Varcata la soglia, rimango stupita: l’arredamento è completamente diverso. Niente giocattoli, carta da parati vivace o fotografie di famiglia. Solo mobili semplici, puliti, ma antiquati.
— Si accomodi, — fa indicandomi il divano. — Vuole un caffè?
— Grazie, volentieri.
La osservo meglio: Fiammetta deve avere almeno settant’anni, forse più. Capelli grigi raccolti con cura, rughe profonde, ma occhi vivaci e attenti.
— Mi scusi il disturbo, — dice mentre prepara il caffè. — Lo zucchero è finito e non oso uscire. Le gambe non reggono più.
— Non c’è problema. Ma mi dica, dove sono i Rossi? Hanno traslocato?
Fiammetta si blocca con la tazzina in mano.
— I Rossi? Non conosco nessun Rossi. Io vivo qui da tanto.
— Da quanto?
— Oh, almeno quindici anni. Forse di più.
Un leggero capogiro mi assale. Quindici anni? Impossibile. Li ho visti la scorsa settimana: la signora Rossi con la figlia più piccola nel passeggino e il figlio maggiore che correva accanto.
— Fiammetta, come ha fatto a lasciare il biglietto sul mio frigo? La porta è sempre chiusa.
Lei batte le palpebre, disorientata.
— Che biglietto?
— Quello di stamattina. Quello dello zucchero.
— Io non ho lasciato nessun biglietto. Di cosa parla?
Tiro fuori il foglietto e glielo mostro.
— Ecco. C’è scritto il suo nome.
Lo prende, lo osserva a lungo, passando un dito sulle righe.
— Non lo so, — dice infine. — Non è mio. Non l’ho scritto io.
— Ma qui c’è il suo nome: Fiammetta De Luca.
— Sì, De Luca è il mio cognome. Però il biglietto non è mio. Forse è uno scherzo?
Mi sento smarrita. Sembra sincera, ma allora chi ha scritto quella nota? E come è finita sul mio frigo?
— Sa che le dico? — dico alzandomi. — Le porto lo zucchero. Tenga pure il biglietto, magari le torna in mente qualcosa.
— Grazie mille. È molto gentile.
Torno a casa con ancora più domande. Riempio un barattolo di zucchero e lo porto alla vicina.
— Fiammetta, posso chiederle una cosa?
— Certo, dimmi.
— Si ricorda dei Rossi? Marito, moglie, due bambini. Vivevano qui.
Scuote la testa, pensierosa.
— No, non li ricordo. Anche se… Aspetta. Mi sembra che qui prima vivesse qualcun altro. Ma non sono sicura. La memoria non è più quella di un tempo.
— Ha mai parlato con altri condomini?
— Quasi con nessuno. Sono tutti giovani, lavorano, non hanno tempo per una vecchia come me. Solo zio Carlo dal primo piano ogni tanto mi controlla e mi porta la spesa.
Conosco zio Carlo. Abita qui da quando è stato costruito il palazzo, potrebbe chiarire tutto.
— Grazie per lo zucchero, — dice Fiammetta. — Glielo restituirò.
— Non c’è bisogno, tengalo pure.
Scendo al primo piano e busso alla porta di Carlo. Mi apre subito, probabilmente era a casa.
— Oh, Adriana! Entra, entra. Vuoi un caffè?
— No, grazie. Carlo, dimmi, chi abita al 47?
— Come chi? Fiammetta, no? Una brava donna, anche se malandata.
— E i Rossi dove sono?
— Quali Rossi?
— Quelli che vivevano lì prima. La famiglia con i bambini.
Mi fissa preoccupato.
— Adriana, stai bene? Non ci sono mai stati Rossi in questo palazzo. Fiammetta è al 47 da vent’anni almeno.
— Ma io li ho visti! Pochi giorni fa!
— Forse li hai confusi con qualcun altro? L’età, sai, gioca brutti scherzi. La memoria a volte tradisce.
Le gambe mi tremano. Possibile che abbia ragione? Possibile che mi sia inventata tutto?
— Carlo, ma Fiammetta com’è messa? Dicevi che sta male.
— Poveretta. Ha la demenza. Dimentica tutto. A volte non ricorda nemmeno cosa ha mangiato. Io la controllo, le faccio la spesa. È sola, non ha parenti.
— Capisco, — mormoro.
Salgo a casa mia, frastornata. In cucina, fisso il punto in cui c’era il biglietto. La calamita a forma di coccinella è ancora lì.
Passo la giornata senza riuscire a concentrarmi. I pensieri si accavallano, una nebbia mi annebbia la mente. Forse è davvero l’età che avanza? Forse sto cominciando a dimenticare?
La sera mi chiama mio figlio Matteo.
— Mamma, come va? Novità?
— Mattè, dimmi la verità, ultimamente mi comporto in modo strano?
— Strano? In che senso?
— Boh, dimentico le cose, mi confondo?
— No, mamma, sei normale. Cosa è successo?
Gli racconto del biglietto e della vicina. Lui mi ascolta con attenzione.
— Sai, mamma, magari Fiammetta non stava bene quando l’ha scritto. Hai detto che ha la demenza. Potrebbe averlo scritto e poi dimenticato.
— Ma come ha fatto a entrare in casa mia?
— Forse avevi lasciato la porta aperta? O ha chiesto a qualcuno di consegnartelo?
La spiegazione mi sembra logica. Mi tranquillizzo un po’.
Il mattino dopo, vado di nuovo da FIl giorno seguente, mentre sistemavo la spesa in cucina, notai un’altra coccinella di ceramica sul frigo, identica a quella che avevo gettato via, e capii che forse non ero io a perdere la memoria, ma il mondo intorno a me che cambiava senza spiegazioni.





