“Ma sei pazza? Dove devo mettere tutte queste valigie?!” urlava Giuseppina nel telefono, agitando la mano libera. “Ho un monolocale, capisci? Un monolocale! E voi in quanti siete? Quattro?!”
“Mamma, non gridare così!” rispose la voce di sua figlia, Caterina. “Siamo solo in tre, Luca è rimasto a Bari per gli esami. Io, Marco e la piccola Sofia staremo solo una settimana, giusto il tempo di trovare un affitto.”
“Una settimana?!” Giuseppina quasi lasciò cadere il telefono. “Caterina, tesoro, hai presente le dimensioni di casa mia? Qui il gatto Ciccio non trova spazio! E poi avete una bambina, dove dormirà? Sul mio divano?”
“Mamma, metteremo qualcosa per terra, non preoccuparti. L’importante è avere un tetto sulla testa. Sofia è piccola, non occupa tanto.”
Giuseppina guardò con sguardo critico il suo minuscolo appartamento. Il divano letto su cui dormiva, la poltrona antica lasciatale dalla suocera, la cucina stretta con il frigo che funzionava a momenti. Sul davanzale, i vasi di gerani erano l’unico raggio di sole in quello spazio angusto.
“Caterina, e se provaste in un albergo? Sono in pensione, non ho un euro…”
“Mamma, ma che dici! Con i soldi che abbiamo tirato fuori per i biglietti… Sentimi, siamo già sul treno, arriviamo domani mattina. Fai un po’ di spazio, va bene?”
Silenzio. Caterina aveva riattaccato.
Giuseppina si lasciò cadere sulla poltrona, fissando il telefono. Caterina e la famiglia venivano da Bari a Milano, decidendo di cambiare vita. Marco, il genero, diceva di aver trovato un buon lavoro in città, ma per ora avrebbero vissuto da lei. Nel suo monolocale di periferia, dove a stento ci stava da sola.
Ciccio, il gatto rosso con il petto bianco, le si strofinò contro le gambe, facendo le fusa.
“Beh, Ciccio,” lo accarezzò Giuseppina, “preparati agli ospiti. D’ora in poi saremo come sardine in scatola.”
Si alzò, osservando l’appartamento con occhio critico. L’armadio occupava metà stanza, stipato di cose accumulate in anni di vita. Foto, libri riletti decine di volte, soprammobili regalati da Caterina.
“Dovrò fare spazio,” sospirò.
La vicina del piano, l’invadente signora Rosina, uscì con la spazzatura proprio mentre Giuseppina spostava scatole.
“Giuseppina, che fai a quest’ora? Pulizie di primavera?” chiese, con quell’aria curiosa che la caratterizzava.
“No, Caterina arriva con la famiglia. Staranno qui per un po’,” rispose seccamente.
“Ma che bello! In visita?”
“No, per restare. Fino a quando non trovano casa.”
Rosina fece una smorfia eloquente. “Ma qui non c’è spazio… I giovani oggi non capiscono. Credono che i genitori debbano risolvere tutto.”
“Rosina, ho da fare,” la interruppe Giuseppina. Non aveva voglia di sermonaggi.
Quella sera, in cucina, sorseggiando un tè, rifletté. Caterina, la sua unica figlia, si era risposata con Marco, e ora avevano Sofia. La nipotina aveva quattro anni, e Giuseppina l’aveva vista solo un paio di volte, quando era andata a Bari. I treni costavano, la pensione era misera.
Marco lavorava in fabbrica, ma con i tagli avevano deciso di trasferirsi a Milano, dove le opportunità erano maggiori.
Ciccio saltò sulle sue ginocchia, raggomitolandosi. Giuseppina lo accarezzava, pensando al domani.
“Dove li mettiamo, Ciccio?” sussurrò. “E soprattutto, con cosa li sfamiamo? La pensione è già tirata per una, figuriamoci per cinque.”
Il mattino dopo, venne svegliata dal campanello. Erano le sei e mezza. Si infilò la vestaglia e corse ad aprire.
Sulla soglia c’era Caterina con una valigia enorme, Marco con due borse, e in mezzo, una bambina bionda e ricciuta che si strofinava gli occhietti assonnati.
“Mamma!” Caterina le si buttò tra le braccia. “Quanto mi sei mancata!”
“Caterina, tesoro,” la strinse Giuseppina, sentendola più magra. “Entrate, entrate, non state lì in piedi.”
“Buongiorno, Giuseppina,” disse Marco, posando le borse. “Grazie per averci ospitati.”
“Ma figurati, siete famiglia.”
Sofia si nascose dietro la gamba del padre, guardando con curiosità quella nonna che non conosceva bene.
“Dai, Sofia, non fare la timida! Questa è la nonna Giuseppina,” disse Caterina, accovacciandosi accanto a lei. “Ti ricordi le foto?”
“Ciao, stellina,” si chinò Giuseppina. “Ma che bella che sei! Uguale alla mamma da piccola.”
Sofia sorrise appena, ma restò attaccata al padre.
“Avrete fame, no?” si affrettò Giuseppina. “Venite, vi faccio subito colazione.”
Entrarono nel monolocale, e Giuseppina vide lo sguardo che Caterina e Marco si scambiarono. Sì, lo spazio era poco. Davvero poco.
“Mamma, dove mettiamo le cose?” chiese cauta Caterina.
“Ho liberato un po’ ieri,” si agitò Giuseppina. “L’armadio è mezzo vuoto, le valigie si infilano sotto il letto.”
“Sotto il letto…” ripeté Marco, guardando il divano. “E dove dormiamo noi?”
“Be’, il divano si apre, è grande. Voi due ci state. E Sofia…” esitò. “Sofia è piccola, può dormire sulla poltrona.”
Ciccio, sentendo le voci, uscì dalla cucina e si fermò in mezzo alla stanza, studiando i nuovi arrivati.
“Oooh, il micio!” esclamò Sofia, tendendo le manine.
“Sofia, non toccarlo, potrebbe graffiare!” la rimproverò Caterina.
“Ma no, è buono,” difese il gatto Giuseppina. “Ciccio, questa è Sofia.”
Il gatto annusò la manina della bimba, poi si lasciò accarezzare con aria regale.
“Mamma, ma lui usa la lettiera?” chiese Caterina. “Sofia potrebbe essere allergica.”
“Certo che la usa. È educatissimo,” rispose Giuseppina, sentendo un nodo alla gola. “Perché, dà fastidio?”
“No, solo per sicurezza.”
A colazione, la conversazione non decollò. Giuseppina mise in tavola quel che aveva: salame avanzato, pane, burro, marmellata. E un tè ben carico.
“Mamma, hai del latte?” chiese Caterina. “Sofia senza non mangia.”
“No, è finito. Vado a comprarlo.”
“Ci vado io,” disse Marco. “Dov’è il negozio più vicino?”
“Giri l’angolo, ma apre alle otto.”
“Mamma, hai internet?” estrasse il telefonino Caterina.
“Che internet?”
“Wi-Fi, per collegarmi.”
“Ma io non ho internet! A cosa mi serve?”
Caterina guardò Marco, preoccupata.
“Marco, come facciamo con i curriculum? Per il lavoro?”
“Andremo in un internet point. O in biblioteca, è gratis.”
“Nonna, posso guardare la TV?” chiese Sofia, indicando il vecchio televisore.
“Certo, amore,” accese Giuseppina, sintonizzandosi tra le linee dell’antenna. “Ecco, dovrebbero esserci i cartoni.”
Marco uscì per il latteGiuseppina sorrise guardando Sofia che rideva davanti alla TV, e per un attimo, nel trambusto di quella nuova vita stretta in un monolocale, sentì che tutto, forse, sarebbe andato bene.