Aspettami
Domenico scese dal treno e respirò a fondo. L’aria della sua città natale era diversa da quella di qualsiasi altro posto al mondo. Eppure ne aveva visti tanti, di paesi e città, ma il cuore lo riportava sempre lì.
Camminò per strade che conosceva da sempre, notando ogni minimo cambiamento. Eccolo, il suo cortile, racchiuso tra quattro palazzi di mattoni a cinque piani: due lunghi, con cinque ingressi, e due più corti, con due portoni. Il cortile era spazioso, diviso in due parti: un’area giochi con uno scivolo colorato, una sabbiera e qualche semplice sbarra per esercizi. Una volta c’erano anche le altalene e una semisfera di ferro che chiamavano “la ragnatela”. Una caduta da lì gli aveva lasciato una cicatrice sopra il sopracciglio.
L’altra metà del cortile era occupata da un campo da calcio recintato, con porte e un canestro. D’inverno lo allagavano per farci il patinoio. Di mattina presto il cortile era deserto. Se ci fosse stato un pallone, Domenico avrebbe sicuramente tirato in porta, come faceva da ragazzo.
Eh, bei tempi. Marco se n’era andato chissà dove in Lombardia, si era sposato, due figli. E Luca era già alla sua seconda condanna in carcere. La vita li aveva sparpagliati in direzioni diverse.
Dall’ingresso uscì un uomo con un cane, e Domenico gli gridò di non chiudere il portone. La lampadina fioca serviva a poco. Dovette restare immobile qualche istante per abituarsi alla penombra. Per quanto provassero a mettere lampadine più forti, qualcuno le sostituiva sempre con quelle deboli, che davano appena luce. Era sempre stato così. Strano che nessuno si fosse mai rotto una gamba su quelle scale strette e buie.
Salì al secondo piano e si fermò davanti alla porta di ferro a destra. Una volta lì viveva Valentina. Non Vale, non Valentina, ma Valentina. Così voleva essere chiamata. Il suo primo amore, disperato e non corrisposto.
Da ragazzo, spesso suonava il campanello e poi scappava su, al terzo piano, dove viveva lui. E lì aspettava che Valentina aprisse la porta. Gli venne in mente di rifarlo, ma non era più così agile a correre per le scale. E poi, non era più un ragazzino. Inoltre, non era nemmeno sicuro che vivesse ancora lì.
Sorrise fra sé e sé e salì al terzo piano. Eccola, la porta di casa sua. Ad aprirgli era sempre la mamma, anche quando il papà era vivo. Era morto due anni prima. Domenico era in viaggio, non aveva potuto venire al funerale.
Premette il campanello. Poco dopo, la serratura scattò e la porta si aprì di un palmo. Vedendo il figlio, la mamma la spalancò subito e gli si fece incontro.
“Figlio mio!” Si abbracciarono proprio lì, sulla soglia. La mamma si scostò. “Fammiti vedere.” Poi lo strinse di nuovo.
Quando il marito era vivo, si tingeva i capelli, se li pettinava con cura. Adesso, sulla riga, si vedevano ampie ciocche bianche.
“Mi sei apparso in sogno ieri notte. Avevo il presentimento che saresti venuto. Per quanto? Oh, ma che stiamo qui sulla porta… Entra!” La mamma chiuse la porta e lo abbracciò ancora.
Passarono i primi istanti di gioia. Domenico si tolse le scarpe, prese le sue pantofole dallo scaffale. Erano sempre lì, ad aspettarlo. Le ciabatte del padre, invece, la mamma le aveva messe via.
“Questo è per te, mamma.” Le porse un sacchetto con dei regali.
“Tu sei il regalo più bello,” disse lei, anche se poi sbirciò nel sacchetto. “Faccio bollire l’acqua. O vuoi mangiare qualcosa?” Si mise a preparare la tavola, affaccendata.
“Che testa! Ho dimenticato il pane. Vado e torno subito…” Si fermò in mezzo alla cucina, battendo le palpebre, smarrita. “Ma i negozi sono ancora chiusi.”
“Non importa. Ci vado io più tardi. Siediti,” disse Domenico, calmandola.
La cucina gli sembrò minuscola. La cabina sulla nave era più grande. E come faceva la mamma a tenere tutto in ordine?
“Come stai?” Le accarezzò la mano indurita dal lavoro.
“Piano piano. E tu? Non ti sei ancora sposato?” I suoi occhi si fecero tristi.
“Non tutte le donne sono disposte ad aspettare un marinaio per sei mesi.”
Dopo colazione, la mamma si mise a preparare la sua minestra preferita, e Domenico andò a comprare il pane. Scendendo le scale, si fermò un attimo davanti alla porta di Valentina.
Solo qualche giorno dopo osò suonare. La serratura scattò, e la porta si aprì di un palmo. Domenico la vide. Il cuore gli sussultò nel petto, come se volesse saltarle incontro. Era quasi uguale, un po’ più formosa, ma le donava.
“Chi cerca?” chiese Valentina, scorrendolo con lo sguardo.
“Scusi,” fece Domenico, indietreggiando verso la scala.
“Domenico? Sei tu, Domenico?” la sua voce lo fermò.
“Mi ha riconosciuto!” Il cuore gli balzò di gioia.
***
“Hai fatto gol a vuoto! Per colpa tua abbiamo perso,” urlò Marco, facendosi rosso in faccia, il naso che colava.
“E allora? Ci rifaremo la prossima volta,” cercò di calmarlo Domenico, sentendosi in colpa.
“Sì, come no,” borbottò Marco, allontanandosi. “Se non sei capace, non giocare.”
“Io non sono capace? Sei tu che hai lasciato passare Leo!” – “Aspetta!” Domenico lo raggiunse, afferrandolo per un braccio.
“Lasciami!” Marco si liberò e lo spinse.
“Lasciami tu,” ribatté Domenico, spingendolo a sua volta.
Per qualche secondo continuarono così, poi si azzuffarono, rotolando sull’erba.
“Basta così!” Una voce acuta li interruppe.
I ragazzi smisero di litigare e alzarono lo sguardo verso una ragazza bellissima. Ancora ansimanti, si rialzarono. Marco si scrollò di dosso la polvere e se ne andò. Domenico rimase a guardare la ragazza, poi si mise a seguirla. Davanti al portone, lei si voltò.
“Perché mi segui?”
“Non ti seguo, vado a casa anch’io.”
“Quindi abitiamo nello stesso palazzo? Che aspetto hai… Ti sei strappato la maglietta.”
“Dove?” Domenico sollevò un lembo sul fianco.
“Dai, vieni su, te la cucio.”
Salirono al secondo piano, lei aprì la porta.
“Qui non c’era una signora anziana? Sei sua nipote?” chiese Domenico.
“Nipote un corno. È morta. Ora ci vivo io. Togliti le scarpe e la maglia,” ordinò.
Domenico obbedì, rimanendo solo nei jeans. Per fortuna erano integri.
Lei lo osservò con interesse.
“Quanti anni hai, calciatore?”
“Quattordici,” rispose lui con voce roca.
“Per la tua età, sei ben messo. Diventerai un bell’uomo.”
Domenico arrossì per il complimento.
“Che fai, stai lì? Vai in bagno.” Accese la luce. Lui si lavò le mani, osservando la vestaglia rosa appesa alla porta. Poi si asciugò e accarezzò la seta.
Lei era seduta sulla poltrona, cucE quando la nave di Domenico salpò verso l’orizzonte, Valentina rimase sulla riva a guardare, con la promessa di aspettarlo finché il mare non glielo avrebbe restituito.