Aspettami ancora

Si appoggiò alla parete ruvida e fresca, chiuse gli occhi. Sembrava che non si sarebbe mosso da lì. Ma dopo qualche minuto si costrinse a staccarsi e raggiungere la sala medici.

Dopo un paio d’ore uscì dai cancelli dell’ospedale. Due tazzine di caffè forte lo avevano ripreso dalla stanchezza. Davanti ai cancelli si allungava un vialetto alberato che sfociava su una strada trafficata. I raggi del sole filtravano tra le foglie, disegnando sul cemento motivi tremolanti. Non ricordava di aver mai percorso quel vialetto a piedi—sempre arrivava in macchina. Ma ora, improvvisamente, gli venne voglia di camminare su quelle macchie di luce, strizzando gli occhi contro il sole. Tanto a casa nessuno lo aspettava.

Vittorio avanzava lentamente, godendosi il sole e il ricordo delle tempeste di pioppi estivi. L’estate aveva superato il suo culmine, e in prospettiva c’era la vacanza. Quel giorno aveva vinto, strappato un paziente alle grinfie della morte.

Su una panchina sedeva una ragazza giovane, vestita di bianco, china su un libro. Ciocche di capelli rossi le nascondevano il viso. All’improvviso, Vittorio sentì un desiderio irrefrenabile di vederle il volto. Si avvicinò e si fermò davanti a lei.

La ragazza voltò pagina e continuò a leggere, senza notarlo.

“È interessante?” chiese Vittorio.

Lei continuò a leggere ancora un po’, poi chiuse il libro, tenendo il segno con un dito perché lui vedesse la copertina.

*Mio caro uomo*, lesse Vittorio a testa in giù.

La ragazza alzò lo sguardo. Il viso era cosparso di lentiggini, ma questo non la rovinava affatto, anzi, le dava un’aria vivace e affascinante. Occhi neri espressivi, labbra carnose. Fresca e dolce. *D’oro*, pensò, osservando i capelli che luccicavano al sole.

“Ti interessa la medicina, o ti piace solo l’autore?” chiese Vittorio.

“Ho presentato domanda per medicina.”

“Allora siamo quasi colleghi.” Sorrise approvando e si sedette accanto a lei.

“Sei un medico?” Gli occhi neri si illuminarono.

“Un chirurgo.”

“Tu?” domandò lei, sorpresa.

“Perché ti stupisce? Non ci somiglio? O pensavi che tutti i chirurghi fossero canuti e taciturni?”

Le labbra carnose della ragazza si divisero in un sorriso.

“Che tipo di chirurgo?”

“Lodevole che conosci le sfumature della professione. Vorrei poterti dire che faccio il plastico—suona più prestigioso e romantico. Ma no, sono un chirurgo generico. Qualcuno pur deve togliere appendici e calcoli alla cistifellea.”

La ragazza rise. Aveva una risata melodiosa e piacevole.

Per qualche motivo, sentì il bisogno di mettersi in mostra davanti a lei, di apparire esperto e navigato. Iniziò a raccontarle che il lavoro quotidiano era privo della romanticheria dei libri. La responsabilità era enorme. Nelle mani di un chirurgo c’era una vita, e il tavolo operatorio era un campo di battaglia, con la sua tattica e strategia. Accennò anche al caso di quel giorno, abbellendo il racconto con riflessioni sulla moglie e i figli del paziente, che avevano atteso fuori dalla sala operatoria, in ansia.

All’inizio la ragazza lo guardò con diffidenza, poi con ammirazione. Sotto quello sguardo, si sentì quasi un eroe, un arbitro del destino dei pazienti. Sapeva di esagerare, ma non poteva farne a meno. Voleva troppo piacerle.

“Hai salvato una vita e ne parli con tanta disinvoltura?” chiese seria.

“Succede ogni giorno. Ogni intervento è un rischio. Un caso apparentemente semplice può finire in tragedia.” Poi, a sua volta: “Tu, che tipo di medico vorresti diventare?”

“Non ho ancora deciso. Prima devo essere ammessa.” Diede un’occhiata all’orologio e balzò in piedi.

“Oddio, sono in ritardo.” Negli occhi le brillò il panico.

“Ho la macchina qui vicino.” Anche Vittorio si alzò. “Vieni, ti porto dove devi andare.”

Durante il tragitto, la ragazza gli raccontò che viveva con la zia Antonia, sorella della madre. Avevano un cane, un vecchio spaniel di nome Amaro. Lo aveva battezzato così il marito della zia, quando era ancora vivo. La zia soffriva di dolori alle gambe, quindi toccava a lei, Ginevra, portarlo a spasso. Amaro era anziano, non poteva trattenersi, e se non lo si faceva uscire in tempo, sarebbe stato un disastro. A lei sarebbe toccato pulire.

“È severa?” chiese Vittorio.

“Zia Antonia? No, assolutamente. È dolce. Mi ha preso con sé anche se ha problemi alle gambe e la pressione alta.”

“Da dove sei venuta per l’università?”

“Vivo qui da sempre. Quando ero in quinta elementare, mia madre è morta. Da giorni le doleva la pancia, ma non andava in ospedale. Tornai da scuola e la trovai svenuta per terra. Chiamai l’ambulanza. Le era scoppiata l’appendicite, era iniziata una peritonite. Mio padre, dopo la sua morte, si diede all’alcol. Per caso o no, finì sotto le ruote di un autobus. Così vivo con zia Antonia.”

Ginevra scese dalla macchina e corse al portone. Sulla soglia si voltò. Vittorio le fece un cenno d’addio, e un attimo dopo scomparve dietro la porta.

Rimasto solo in macchina, smise subito di sentirsi un eroe, tornando un chirurgo stanco e solo. Le dispiaceva per lei. Una brava ragazza, determinata. Così giovane, e già tante prove nella vita.

Un mese dopo, di ritorno dalle vacanze, Vittorio camminava per il corridoio del reparto. Una giovane inserviente lavava il pavimento. Una ciocca di capelli rossi le sfuggiva dal copricapo. Qualcosa in lei gli parve familiare. Una paziente? La figlia di qualcuno?

La ragazza alzò lo sguardo.

“Tu? Ciao.” Nei suoi occhi neri brillarono gioia e ammirazione. Vittorio la riconobbe, anche se il nome gli sfuggiva.

“Ciao. Volevi iscriverti all’università, non lavorare, no?” le chiese, passando subito al “tu” senza sapere perché. “O c’è un parente ricoverato?” Si ricordò che le mancava qualcuno dei genitori.

“Mi sono iscritta. Ho deciso di lavorare prima dell’inizio delle lezioni,” rispose semplice.

“Brava. La medicina va conosciuta dall’interno. Magari cambi idea su diventare medico. E che tipo? Mica chirurgo?”

“Vedremo.” Scrollò le spalle, e a Vittorio tornò in mente il nome: Ginevra.

“Contento di rivederti.” Riprese a camminare, sicuro che lei lo seguisse con lo sguardo.

Il suo passo si feve più elastico, quasi spavaldo.

Ogni volta che attraversava il reparto, sperava di incrociare la ragazza rossa. E quando la vedeva, si fermava sempre a scambiare due parole.

Una volta la trovò vicino alla sala medici. Capì subito che lo stava aspettando.

“Oggi è il mio ultimo giorno. Tra poco iniziano le lezioni,” disse, arrossendo. Le lentiggini si scurirono, diventando più evidenti.

“Non”Sai che dovrò lasciarti, vero?” sussurrò Ginevra, mentre il sole del tramonto accendeva i suoi capelli di riflessi dorati, e Vittorio capì che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

six − six =

Aspettami ancora