**Aspettami, professoressa Letizia!**
Suonò la campanella e i corridoi della scuola si svuotarono poco a poco. I professori si dirigevano verso le aule, incalzando gli studenti in ritardo.
Fuori, tra le finestre, stormivano le giovani foglie e il sole invitava a uscire. Letizia Romano si fermò davanti alla porta della sua classe. Anche lei, come i suoi alunni, avrebbe voluto lasciare tutto e godersi la primavera in città. Sospirò ed entrò. I ragazzi della seconda B si alzarono rumorosamente in piedi.
“Buongiorno. Sedetevi, per favore,” disse, dirigendosi verso la cattedra.
“Chi è assente oggi?” domandò, lanciando uno sguardo veloce alla classe.
La prima della classe, Anita Bianchi, si alzò e rispose in italiano che mancavano Riva e che Luca Manzoni era malato. Era sempre la più rapida, perché parlava inglese meglio di tutti. Un mormorio attraversò l’aula.
“Marco, cosa è successo a Luca?” chiese Letizia in italiano.
Marco Ferrara era il vicino di casa di Luca.
Tutti nella scuola sapevano che il padre di Luca era uscito dal carcere un anno prima, che non lavorava, beveva e picchiava la moglie senza pietà. Anche Luca ne subiva le conseguenze quando si frapponeva per difendere la madre. Spesso arrivava a scuola con lividi. Prima di educazione fisica, entrava nello spogliatoio per ultimo, così che i compagni non vedessero i segni sul suo corpo. Ma tutti sapevano. Marco lo raccontava.
Letizia provava simpatia e pena per Luca. Era un ragazzo intelligente, maturo per la sua età. Nei contesti difficili i bambini crescono in fretta. A scuola andava bene, imparava velocemente. Solo l’inglese era un ostacolo, ma ci provava.
Dopo l’università, Letizia era tornata nella sua scuola come professoressa d’inglese. Non voleva lasciare sola sua madre, per questo non si era trasferita a Roma né aveva cercato lavoro in una scuola privata, come molti dei suoi ex compagni.
Gli studenti più grandi avevano un’insegnante più esperta. A lei erano toccati i ragazzi delle medie. All’inizio le facevano i dispetti, poi si erano affezionati alla giovane professoressa. Vestiva con sobrietà, ma sotto l’apparente serietà affioravano spesso un sorriso gentile e uno sguardo pieno di allegria.
Le ragazze imitavano i suoi modi, mentre i maschi nascondevano la cotta dietro un’aria sgarbata. Quell’anno Letizia era diventata la coordinatrice della seconda B.
“Professoressa, ieri suo padre si è ubriacato di nuovo, ha picchiato la madre di Luca. Si sentivano le urla in tutto il palazzo. Di notte l’ambulanza l’ha portata in ospedale. Luca ha chiamato quando il padre si è addormentato. Hanno chiamato anche la polizia. Hanno portato via il padre e anche Luca, finché non trovano un parente.”
“Cosa?!” esclamò Letizia, guardando nuovamente la classe. Gli studenti, in silenzio, aspettavano una spiegazione. Cosa dire?
“Bene, dopo le lezioni andrò in commissariato a informarmi.”
Un sospiro di sollievo corse tra i banchi.
Dinanzi agli occhi di Letizia apparve il viso di Luca, tredicenne. Quante volte gli aveva chiesto se aveva bisogno di aiuto, ma lui scuoteva la testa impaurito. A volte, durante le lezioni, incrociava il suo sguardo intenso, che la faceva arrossire e perdere il filo.
La classe era in attesa.
“Bene, cominciamo,” disse, fingendo un tono allegro.
Durante l’intervallo, Letizia entrò nell’ufficio del preside.
“Dottor Marini, il caso di Manzoni…”
“Lo so, Letizia. Mi hanno già chiamato dalla polizia. Stanno cercando un parente. Se non lo trovano, lo porteranno in un istituto. Al padre rischia il carcere, e la madre… se sopravvive. Sai com’è, anche l’istituto non è un paradiso. Chissà se è meglio un padre violento o ragazzi cresciuti senza affetto.”
“Vorrei andare in commissariato, vederlo e capire come stanno le cose.”
“Come coordinatrice, ne hai il diritto. Prova. Ma ti sconsiglio di immischiarti in certe vicende. Nella mia carriera ne ho viste tante.” Abbassò gli occhi, segnando la fine della conversazione.
Le permisero di incontrare Luca. Si videro in una stanza con pareti verde sbiadito e mobili scomodi.
“Come sta mia madre?” chiese subito Luca.
Letizia si sentì in colpa. Non aveva pensato a informarsi sulle sue condizioni.
“È in terapia intensiva. Non la fanno visitare. Non preoccuparti, andrà tutto bene,” disse, cercando di essere convincente.
“Lo condanneranno? Spero di sì,” disse Luca con uno sguardo furioso. Letizia notò che si tirava giù la manica della felpa per nascondere i segni delle dita del padre.
“Hai parenti? Zii, nonni?” chiese con premura.
“Non lo so. Anche se ci fossero, non vogliono me. Grazie per essere venuta, professoressa,” disse, con uno sguardo che la fece rabbrividire. “Posso scriverti?”
“Sì, certo,” rispose, esitando un attimo. “Non so se avrai accesso a internet o a un computer… Ho scritto il mio indirizzo e il numero. Tieni.” Gli infilò un foglietto piegato nella mano.
“Grazie. Sei gentile. Mi piaci. Molto. So che sono piccolo per te. Ma crescerò e tornerò. Aspettami,” disse, fissandola con un misto di disperazione e speranza.
Letizia sorrise per la goffaggine di quel confessioni infantile, ma anche il cuore le si strinse. Avrebbe voluto abbracciarlo, accarezzargli quei capelli ribelli, tranquillizzarlo. Ma si trattenne. Avrebbe potuto fraintendere quel gesto materno.
Una poliziotta entrò nella stanza.
“Scusate, è arrivato il pranzo…”
Letizia capì che era il momento di andarsene.
“Fatti forza. Se hai bisogno, chiamami o scrivimi. Farò il possibile per aiutarti,” disse, già sulla porta.
“Professoressa Letizia!” La voce di Luca tremò. “Aspettami.”
Lei annuì e uscì.
Le lacrime le salivano agli occhi. “Come un criminale. Cosa ne sarà di lui? Come posso aiutarlo?”
Due giorni dopo, il preside la fermò nel corridoio.
“Letizia, vieni nel mio ufficio.”
Dal fatto che l’aveva chiamata per nome, capì che era successo qualcosa di brutto.
“La madre di Luca Manzoni è morta. L’hanno già sepolta. Lo psicologo non gli ha permesso di vederla. Ma c’è una buona notizia. È arrivata la nonna, la madre di suo padre. Ha accettato di prendersi Luca. Lo porterà a Pisa. Abbiamo già consegnato tutti i documenti.”
“Quindi tutto è risolto meglio di quanto pensassimo. Dio volendo, Luca starà bene.” Fece una pausa. “So che sei giovane, bella, i ragazzi ti adorano.” Sottolineò l’ultima parola. “Capisci cosa intendo?”
“No, non capisco,” rispose con sfida, ma pensò che qualcuno avesse spettegolato.
“Gli studenti si innamorano spesso dei professori, specie quando la differenza d’età non è grande. Luca è cresciuto senza affetto, per questo si è affezionato a te.”
“Non si preoccupi, dottor Marini, capisco.”
“Bene. Puoi andareErano passati ancora dieci anni quando, una domenica di sole, mentre camminava lungo l’Arno con sua figlia ormai cresciuta, Letizia incrociò lo sguardo felice di Luca che spingeva un passeggino, stringendo la mano a una donna sorridente, e capì che il tempo aveva custodito ogni promessa.