**Diario personale**
Oggi è stata una giornata intensa. Mentre i corridoi della scuola si svuotavano al suono della campanella, mi sono fermata davanti alla porta della mia classe. Fuori, il sole primaverile accarezzava le foglie fresche degli alberi, invitando tutti a una passeggiata in città. Anch’io avrei voluto lasciare tutto e godermi l’aria dolce di aprile. Con un sospiro, sono entrata.
I ragazzi della seconda B si sono alzati in piedi con un frastuono casuale.
“Buongiorno. Sedetevi, per favore,” ho detto, dirigendomi verso la cattedra.
“Chi è assente oggi?” ho chiesto, dando un’occhiata veloce alla classe.
L’alunna più brava, Anna Bellini, si è alzata per rispondere in inglese: “Rossi è malata, e manca anche Luca Marini.” Anna è sempre la prima a reagire, perché parla inglese meglio di tutti. Un mormorio è corso tra i banchi.
“Marco, cosa è successo a Luca?” ho chiesto in italiano.
Marco Riva, che abitava accanto a Luca, ha abbassato lo sguardo. Tutti sapevano com’era la situazione a casa sua. Suo padre, uscito dal carcere un anno prima, non lavorava, beveva, e picchiava la moglie senza pietà. Anche Luca subiva la sua violenza quando cercava di difendere la madre. Spesso arrivava a scuola con lividi freschi, evitando di cambiarsi in spogliatoio per nascondere i segni dei pugni e delle prese sul suo corpo. Ma tutti sapevano.
Mi sono sempre sentita vicina a Luca. Un ragazzo intelligente, più maturo della sua età. In famiglie così, i bambini crescono in fretta. A scuola era brillante, imparava tutto con facilità. Solo l’inglese gli dava qualche difficoltà, ma ci provava.
Dopo l’università, sono tornata nella mia scuola come insegnante di inglese. Non volevo lasciare mia madre sola, per questo ho rinunciato a trasferirmi a Milano o a insegnare in una scuola privata, come avevano fatto molti miei compagni di corso.
All’inizio, i ragazzi mi mettevano alla prova, ma poi si sono affezionati. Vestivo in modo severo, ma sotto quella maschera di serietà si intravedeva spesso un sorriso gentile. Le ragazze imitavano il mio modo di fare, mentre i maschi nascondevano le loro cotte dietro a battute sgarbate.
“Professoressa, ieri suo padre ha bevuto di nuovo e ha picchiato la madre di Luca. Tutto il palazzo ha sentito le urla. Di notte è arrivata l’ambulanza a portarla via. Luca ha chiamato quando suo padre si è addormentato. Poi hanno chiamato la polizia, e hanno portato via anche lui, in attesa di trovare un parente.”
“Cosa?!” ho esclamato, mentre la classe taceva in attesa di una mia reazione. Cosa potevo dire?
“Dopo le lezioni andrò in questura a informarmi.”
Un sospiro di sollievo ha attraversato la stanza.
Davanti a me vedevo ancora il volto di Luca, tredici anni, gli occhi pieni di paura e di una rabbia silenziosa. Quante volte gli avevo chiesto se aveva bisogno di aiuto, scuotendo la testa terrorizzato. A lezione, a volte mi sorprendeva a fissarlo, e arrossivo, perdendo il filo del discorso.
“Bene, iniziamo la lezione,” ho detto con una voce forzatamente allegra.
All’intervallo sono andata dal preside.
“Giuseppe, riguardo a Luca Marini…”
“Lo so, me l’hanno già comunicato dalla questura. Stanno cercando i parenti. Se non ne trovano, lo manderanno in un istituto. Suo padre rischia il carcere, e sua madre… Se sopravvive. Sai com’è, anche l’istituto non è proprio un paradiso.”
“Voglio andare a trovarlo, sostenerlo.”
“Come insegnante responsabile della classe, hai il diritto di farlo. Ma non ti consiglio di impelagarti troppo in questa faccenda. Ho visto tante storie così.”
Mi ha concesso di vederlo. La stanza dove ci hanno fatto incontrare aveva pareti verdi acide e mobili scomodi.
“Come sta mia madre?” ha chiesto subito Luca.
Mi sono bloccata. Non avevo pensato di informarmi su di lei.
“È in terapia intensiva. Ma starà meglio, non preoccuparti.” Ho cercato di sembrare convincente.
“Lo metteranno in galera? Spero di sì.” I suoi occhi erano pieni di odio. Notai come si tirasse giù la manica della felpa per nascondere i segni delle dita sul polso.
“Hai parenti? Zii, nonni?”
“Non so. E anche se ci fossero, non vogliono averci a che fare. Grazie per essere venuta, professoressa.” Il suo sguardo mi fece rabbrividire. “Posso scriverti?”
“Certo.” Ho esitato un attimo. “Ma non so se avrai accesso a un computer lì… Ecco il mio indirizzo e il mio numero.” Gli ho messo in mano un foglietto piegato.
“Grazie. Sei buona. Mi piaci. Molto. So che sono piccolo per te, ma crescerò e tornerò. Aspettami.”
Mi è venuto da ridere per quella confessione goffa, eppure mi ha spezzato il cuore. Avrei voluto abbracciarlo, accarezzargli quei capelli ribelli, dirgli che tutto sarebbe andato bene. Ma mi sono trattenuta. Avrebbe potuto fraintendere quel gesto materno.
Una poliziotta è entrata.
“Scusate, è arrivato il pranzo…”
Era ora di andare.
“Coraggio. Chiamami o scrivimi, se hai bisogno.” Ero già sulla porta quando la sua voce mi ha fermato.
“Professoressa!” Era roca, piena di disperazione. “Aspettami.”
Ho annuito e sono uscita.
Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime. “Che gli succederà? Come posso aiutarlo?”
Due giorni dopo, il preside mi ha fermata nel corridoio.
“Entra un attimo.”
Dal modo in cui mi aveva chiamata per nome, ho capito che era successo qualcosa di brutto.
“La madre di Luca è morta. L’hanno già sepolta. Lo psicologo non ha permesso a Luca di vederla. L’hanno messa in una bara chiusa. Ma c’è una buona notizia: è arrivata la nonna, la madre del padre. Lo porterà con sé, a Firenze. Gli abbiamo già dato tutti i documenti.”
“Quindi è andata meglio del previsto.”
“Sì. Dio volendo, andrà tutto bene.” Ha fatto una pausa. “Sai, sei giovane, bella, i ragazzi ti adorano.” Ha sottolineato l’ultima parola. “Capisci cosa intendo?”
“No, non capisco,” ho risposto con sfida. Sapevo di cosa parlava. Qualcuno aveva spettegolato sugli sguardi che Luca mi rivolgeva.
“I ragazzi si innamorano spesso degli insegnanti, specie quando la differenza d’età non è enorme. Luca era affamato di affetto, ecco perché si è attaccato a te.”
“Non si preoccupi, ho capito,” ho risposto seccamente.
“Bene. Puoi andare.”
Sono uscita arrossendo come una scolara rimproverata. Luca era un ragazzo intelligente, sfortunato con i genitori. Eppure, era capace di sentimenti puri. Con il tempo, quella cotta sarebbe svanita, e io l’avrei dimenticato.
Il giorno dopo ho detto alla classe che Luca si era trasferito a Firenze con la nonna, che tutto sarebbe andato bene. Aveva promesso di scrivere, e io avrei tenuto tutti aggiornati.
La prima lettera è arrivata dopo tre settimane, breve, scritta con una calligrafiaE mentre rileggevo quelle parole, capii che a volte l’amore arriva quando meno te l’aspetti, e non importa quanto tempo passi o quanti ostacoli ci siano, perché quando è vero, trova sempre la sua strada.