Aspettando la Felicità

Ecco la storia adattata alla cultura italiana con nomi, luoghi e riferimenti appropriati.

Dicono che l’attesa della felicità sia più bella della felicità stessa. Perché mentre la aspetti, speri, la immagini, sei già felice. Ma il momento in cui la possiedi è brevissimo. Non fai in tempo a godertela, che già non è più felicità, diventa routine. E ricominci ad aspettare…

Marco Rossi aveva tutto: un appartamento a Milano, una macchina, un lavoro dignitoso con uno stipendio più che buono, una moglie – tra l’altro bellissima. Si conoscevano dal liceo. Il primo amore era diventato una famiglia, nonostante tutto.

E poi c’era la figlia, la piccola Ginevra, di quattro anni. La moglie, Sofia, non lavorava e stava a casa con la bambina. Ginevra, il suo sole, la sua gioia, Marco la adorava.

Che altro serviva? Vivi e goditi la vita. Ma l’uomo è fatto così: quando ha tutto, ne vuole ancora di più.

Con Sofia ormai si capivano al volo, con uno sguardo, persino col silenzio. La passione si era calmata, il loro rapporto era stabile, prevedibile.

La mattina, Marco beveva una tazza di caffè forte, che lo aspettava sul tavolo dopo la doccia, indossava una camicia stirata, profumata di bucato fresco, baciava Sofia sulla guancia in segno di gratitudine e partiva in Audi per l’ufficio.

La sera lo aspettava una cena buonissima. Nel weekend andavano in cascina dai suoceri a fare grigliate, d’inverno sciavano in montagna. No, Marco ringraziava il destino. Non a molti la vita sorrideva così, come a lui.
Eppure…

Un giorno, in ufficio arrivò una nuova impiegata, giovane, fresca, con occhi neri, un po’ obliqui e timidi, come quelli di una cerbiatta. Si chiamava Ludovica. Ludovica Moretti. Ludo. Non un nome, una poesia. Forse erano i suoi occhi da cerbiatta, forse la musica del suo nome, forse il desiderio di qualcosa di nuovo e inspiegabile – fatto sta che Marco ne rimase folgorato. All’improvviso capì: lei era ciò che aspettava. Il suo cuore la riconobbe e tremò di gioia.

La incrociava spesso nei corridoi, alla macchinetta del caffè, al bar all’ora di pranzo. Si rese conto che non erano coincidenze: anche Ludo cercava quegli incontri. E Marco decise di assecondarla.

Una mattina, parcheggiò davanti all’ufficio ma non scese subito. Aspettò, finché non la vide arrivare con quel passo leggero. Si fece trovare all’ingresso, le aprì la porta con un sorriso.

In ascensore la osservava di nascosto. A volte intercettava i suoi sguardi fugaci, carichi di interesse. Ma non riuscivano mai a parlare: l’ufficio era affollato, l’ascensore sempre pieno.

Finché un giorno rimasero soli. Marco le chiese se le piacesse il lavoro, parlò del tempo, dei piani per il weekend. Lei rispondeva sorridendo, con uno sguardo un po’ ironico.

Passò l’autunno, arrivò l’inverno. A fine anno ci fu il party aziendale. Marco ci teneva: a casa poteva tornare tardi senza scuse. Nessun sospetto, nessuna lite.

Tutta la serata non perse d’occhio Ludo. Appena iniziò la musica, la invitò a ballare, battendo sul tempo gli altri. Quando la strinse a sé, il suo cuore accelerò, un brivido gli corse lungo la schiena – come quella volta al ballo di fine anno, quando aveva ballato con Sofia, la sua futura moglie. Ludo lo fissò con quei suoi occhi neri, e il suo sguardo gli promise tutto, subito.

Scaldati dal vino e dal ballo, uscirono in corridoio a prendere aria. Marco propose di scappare. E Ludo accettò senza esitazione. Si infilarono i cappotti e uscirono ridendo, voltandosi indietro.

Il guardiano li guardò con invia. Lui non era stato invitato, era rimasto inchiodato al suo posto, nella stanzetta del controllo. Nessuno si era ricordato di portargli un bicchiere di spumante o una scatola di cioccolatini. Non avrebbe bevuto in servizio, ma sarebbe stato orgoglioso di portarli a casa, mostrare alla moglie quanto lo rispettavano. Sospirò e tornò al cruciverba.

Marco e Ludo camminavano per la città, chiacchierando di tutto. Lui evitava l’argomento famiglia, lei fingeva di non sapere nulla.

Con Ludo era così facile, così allegro. “Che fortuna…” pensava Marco, mentre camminavano sulla neve battuta.

Stanco, iniziò a pentirsi di aver lasciato l’auto in ufficio. Ma Ludo non diceva mai: “Eccoci, questa è casa mia”.

“Dimmi la verità, Ludo… abiti fuori città?” le chiese infine.

“Vivo in periferia, in un quartiere nuovo”, rise lei. “Anch’io sono stanca. Chiamiamo un taxi?”

Fuori dal suo palazzo, Marco indugiava, riluttante a lasciarla. L’alcool era svanito, e la coscienza gli sussurrava che sarebbe rientrato giusto in tempo per leggere la favola della buonanotte a Ginevra. Ma poi Ludo, astuta, lo invitò a salire per un caffè. “È presto per tornare, riposati un attimo”. E Marco lasciò andare il taxi, persuadendosi che in quindici minuti sarebbe ripartito.

Il caffè non arrivò mai. Appena varcata la porta del tredicesimo piano, si abbandonarono l’uno all’altra, e si risvegliarono due ore dopo, sul letto di Ludo.

Quando Marco si alzò e andò alla finestra, fu accolto dal buio totale: nessuna luna, nessuna stella, nessuna luce nei palazzi. Nulla. Un silenzio assoluto, da mozzare il fiato. Anche Ludo si avvicinò. Per un attimo gli parve di fluttuare sopra la città, soli nell’universo. Un’immensa felicità lo inondò. Era questo che cercava da tempo.

Ma doveva andare. Meglio non rischiare sospetti già la prima volta. Si lavò, si vestì, salutò Ludo promettendole che si sarebbero rivisti presto, che non poteva più vivere senza di lei. Chiamò un taxi e tornò in ufficio. Il party era finito da ore, nessuna luce alle finestre. Prese l’auto e rientrò a casa.

Entrò nell’appartamento all’una e mezza. La luce del lampione illuminava la stanza. Sofia aveva gli occhi chiusi, ma lui sapeva che fingeva. E fingeva anche lui, facendo finta di crederle. Si infilò a letto in silenzio.

Pensò che non avrebbe dormito, ma si addormentò subito. Lui e Sofia non litigavano mai, non alzavano la voce. Le pareti erano sottili, meglio che i vicini non sentissero. Per questo parlavano sempre con calma. A volte Marco pensava che, anche se le avesse confessato tutto, lei non avrebbe urlato.

Quando i colleghi venivano a cena, tutti invidiavano Marco. “Che donna straordinaria”, dicevano. Altri mariti tornavano a lavoro distrutti dopo le liti. Sofia non lo umiliava mai, non lo controllava. Non beveva troppo, comunque. A tutti sembravano la coppia perfetta. E prima di Ludo, anche lui la pensava così.

La mattina si svegliò felice, ringiovanito. Fischiettava sotto la doccia. Sofia, come sempre, gli preparò il caffè, gliE quando Sofia gli porse la guancia per il solito bacio, Marco capì che non avrebbe mai più tradito il loro amore.

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