Aspetto il silenzio, ricevo solo rumore

**Diario di un uomo che cercava la pace e trovò il caos**

“Mamma, ti avevo chiesto solo noi in famiglia!” – Serena, ferma davanti ai fornelli, si voltò verso la figlia stringendo un cucchiaio di legno. La voce le tremava d’irritazione, ma cercava di restare calma.

Valentina, seduta al tavolo della cucina, scrollava il telefono senza alzare gli occhi. I suoi capelli scuri erano raccolti in una coda scomposta, e il suo viso tradiva una leggera seccatura.

“Ma dai, mamma, perché tiri fuori sta storia?” – sbuffò, senza staccarsi dallo schermo. – “È il tuo compleanno! Cinquant’anni, un traguardo! Non possiamo bere solo un tè e poi ognuno per i fatti suoi. Ho già invitato tutti.”

“Chi ‘tutti’?” – Serena si bloccò, il cucchiaio che impugnava oscillò lievemente. – “Valentina, ti avevo detto: tu, Marco, i bambini. Al massimo zia Luisa. Chi altro?”

Finalmente Valentina alzò lo sguardo e roteò gli occhi.

“Tutti, mamma! Zia Luisa con zio Paolo, il loro figlio con la moglie, nonna Anna, le mie amiche con i mariti, un paio di vicini. Ah, e anche le tue colleghe della scuola. Si sono offerte quando l’hanno saputo.”

Serena sentì il sangue salirle alle tempie. Appoggiò lentamente il cucchiaio sul tavolo e si asciugò le mani sul grembiule.

“Valentina, ma sei seria? Per sei mesi ti ho chiesto un solo giorno di tranquillità! Uno! E tu mi organizzi un matrimonio?”

“Non essere melodrammatica, mamma.” – Valentina si alzò, sistemandosi i jeans. – “La gente vuole festeggiarti. Che fai, la cacci via? Rilassati, penserò io a tutto. Tu prepara solo la tua torta, quella con la crema, ok? Io mi occupo del resto.”

Serena aprì la bocca per ribattere, ma Valentina era già uscita dalla cucina, lanciando un’ultima frase:

“E non brontolare, dai. È la tua festa!”

La porta sbatté, e Serena rimase sola. Guardò la pentola col brodo bollente, la pila di piatti sporchi nel lavello, e sentì un nodo allo stomaco. Cinquant’anni. Aveva sognato una serata tranquilla: una cena intima con la figlia, il genero e i nipoti, una coperta morbida, le vecchie foto. E invece, una folla, rumore, confusione. E, come sempre, tutto il lavoro sulle sue spalle.

Serena amava la sua casa. Un bilocale in un vecchio palazzo popolare era la sua roccaforte. Qui aveva cresciuto Valentina, qui aveva superato il divorzio, qui aveva imparato a essere forte. La cucina era il suo orgoglio: tende chiare, tavolo in legno, mensola con le tazze di porcellana raccolte negli anni. Ogni anno, per il compleanno, preparava una torta speciale, con crema pasticcera e frutti di bosco. Era la sua tradizione, il suo piccolo rituale. Ma quell’anno tutto era andato storto.

Due settimane prima, Valentina aveva annunciato il “gran festeggiamento”. Serena aveva cercato di dissuaderla, ma lei era irremovibile. “Mamma, te lo meriti! Smettila di nasconderti!” – ripeteva. Serena, come sempre, aveva ceduto. Non sapeva discutere con Valentina: figlia testarda come lei, ma senza la sua pazienza. E ora, alla vigilia della festa, era di nuovo ai fornelli a cucinare per una folla che non aveva mai invitato.

A sera, l’appartamento era diventato un magazzino. Valentina aveva portato casse di vino, sacchetti di stuzzichini e un enorme mazzo di fiori che occupava metà cucina. Serena, lavorando l’impasto per la torta, cercava di non pensare a come sistemare tutto in quel piccolo spazio.

“Mamma, dove sei?” – gridò Valentina, entrando in cucina con due amiche. – “Oddio, che profumo! La torta?”

“Sì.” – brontolò Serena senza voltarsi. – “Non toccatela, non è ancora pronta.”

Le amiche – Elena e Caterina – ridacchiarono, sedendosi al tavolo. Elena, col rossetto rosso acceso, allungò la mano verso la crema.

“Serena, posso assaggiare? Adoro la tua crema!”

“Meglio di no.” – Serena si voltò cercando di sorridere. – “Non è ancora pronta.”

“Dai, su.” – Elena infilò un cucchiaio e lo leccò. – “Mio Dio, che buona! Valentina, tua madre è un genio!”

Serena strinse le labbra ma tacque. Valentina, ignara, chiacchierava mentre le amiche mangiavano la crema direttamente dalla ciotola. Quando se ne andarono, Serena guardò la ciotola vuota e sentì le lacrime bruciarle gli occhi. Respirò profondamente e ricominciò da capo.

La mattina del compleanno iniziò col caos. Serena si era svegliata alle sei per finire la torta e preparare le portate. Alle nove, l’appartamento era un brusio: Valentina correva con le decorazioni, attaccando palloncini e festoni, mentre Marco cercava di montare un tavolo pieghevole in salotto.

“Serena, dove hai la tovaglia?” – gridò Marco rovistando nell’armadio.

“In camera, nel cassetto.” – rispose lei tagliando i cetrioli. – “Ma attento, è quella antica di mia madre.”

“Sì, capito.” – borbottò lui, e un minuto dopo si sentì uno strappo. Serena corse e si fermò di colpo: Marco teneva in mano la tovaglia, lacerata a metà.

“Scusa, Serena.” – sorrise colpevole. – “Si è impigliata in un chiodo.”

Serena strinse i pugni, ma annuì.

“Non importa. Prendine un’altra.”

Tornò in cucina, sentendo ribollire la rabbia. Non era una semplice tovaglia: l’aveva ricamata sua madre, era un ricordo. Ma ingoiò il disappunto. Quel giorno era il suo, e non voleva litigi.

A mezzogiorno arrivarono gli ospiti. Zia Luisa e zio Paolo portarono un’enorme torta che rubò subito la scena a quella di Serena. Nonna Anna brontolò chiedendo uno sgabello con un cuscino. Le ex colleghe della scuola – tre donne chiassose – iniziarono a ricordare i vecchi tempi, senza lasciarle spazio. I bambini – nipoti e cuginetti – correvano ovunque, rovesciando tutto.

“Serena, dov’è il bollitore?” – gridò zia Luisa entrando in cucina. – “E i panzerotti? Ho fame!”

“Panzerotti in forno.” – rispose Serena asciugandosi la fronte. – “Bollitore sui fornelli.”

“Questa è la tua torta?” – zia Luisa indicò quella con la crema e i frutti. – “Carina, ma la nostra è meglio. L’abbiamo ordinata in pasticceria, con la pasta di zucchero!”

Serena strinse i denti ma sorrise.

“È bellissima anche la vostra. A breve servo tutto.”

La cucina diventò un viavai. Gli ospiti entravano, prendevano piatti, chiedevano posate, pretendevano bis. Serena correva tra i fornelli e la sala, mentre Valentina intratteneva tutti, accettando complimenti per la “festa fantastica”. Serena la sentì dire: “Sì, ho organizzato io! Mamma deve riposarsi!” – e sentì il cuore stringersi.

Alle tre, la casa era un alveare. Bambini urlanti, adulti che ridevano, musica a tutto volume. Serena, al lavello, lavava i piatti per far posto ai nuoviFinalmente, quando l’ultimo ospite se ne andò e il silenzio tornò a riempire quelle mura così piene di vita, Serena si sedette sul divano, chiuse gli occhi e capì che a volte dire “basta” è l’unico modo per ritrovare se stessi.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

seven − six =

Aspetto il silenzio, ricevo solo rumore