Assomiglia al tuo figlio scomparso,” sussurrò la mia fidanzata. E quello che accadde dopo lasciò senza parole tutta la strada.

**Diario Personale**

“Sembra tuo figlio scomparso,” sussurrò la mia fidanzata. E ciò che accadde dopo lasciò senza parole tutta la strada.

Marco Caldi non era abituato a camminare. Era il tipo duomo che arrivava in macchina con autista, circondato da assistenti, e la città sembrava muoversi intorno a lui come se fosse già lì. Ma quel giorno era diverso. La mia fidanzata, Vittoria Rossi, aveva insistito perché percorressimo a piedi gli ultimi chilometri verso casa sua: “La luce destate è troppo bella per sprecarla,” aveva detto.

Stava camminando a metà strada quando Vittoria si bloccò allimprovviso. La sua mano si strinse attorno al mio braccio, le unghie affondarono nella mia pelle.

“Marco,” bisbigliò, “non voltarti subito ma cè un ragazzino seduto dallaltra parte della strada.”

Segui il suo sguardo.

Il ragazzino era scalzo, accovacciato sul bordo del marciapiede di pietra, le ginocchia strette al petto. Aveva un viso sottile, capelli chiari e una fossetta sulla guancia sinistra, un dettaglio che Marco aveva inciso nella memoria come una cicatrice. Ma i suoi occhi quelli fecero dimenticare a Marco come respirare. Blu profondi, come il mare. Proprio come quelli di sua moglie, ormai scomparsa.

Proprio come quelli che non vedeva da dodici anni.
Da quando suo figlio di cinque anni era svanito in un parco affollato.

La voce di Vittoria era appena percettibile. “Sembra”

“Mio figlio,” completò Marco, le parole amare come ruggine.

La polizia aveva smesso di chiamare anni prima. Le ricerche si erano esaurite. I manifesti con la foto del piccolo erano stati sostituiti da altri volti. Ma Marco non aveva mai smesso di aspettare. La stanza del bambino era rimasta intatta: il letto disfatto, le macchinine allineate sullo scaffale, come se suo figlio potesse rientrare da un momento allaltro.

E adesso eccolo lì. O era solo unillusione?

Vittoria si avvicinò per prima, accovacciandosi davanti al ragazzino. “Tesoro, stai bene?”

Lui alzò appena lo sguardo. “Sì,” mormorò, la voce roca come se non avesse parlato per giorni.

“Come ti chiami?” chiese Marco, la gola stretta.

Il ragazzino rispose. “Daniele.”

Il cuore di Marco batté forte. Suo figlio si chiamava Daniele.

Prima che potesse dire altro, lo sguardo di Daniele si spostò sulla strada. Un uomo alto, con una giacca di pelle logora, era uscito dal vicolo, il volto contratto.

“Tu!” ringhiò. “Torna al lavoro!”

Daniele balzò in piedi e scappò. Luomo lo inseguì. E Marco, senza pensarci, corse dietro a entrambi.

Il ragazzo era veloce, si infilava tra i passanti, svoltando in stradine laterali. Le gambe di Marco bruciavano, ma il dolore al petto era ancora più forte. Aveva già perso suo figlio una volta. Non poteva, non voleva, perderlo di nuovo.

Daniele sparì attraverso la porta laterale di un magazzino. Quando Marco arrivò, la pesante porta di metallo si chiuse con un tonfo. Dentro, echeggiavano voci soffocate.

“Se parli di nuovo con degli sconosciuti, te ne pentirai,” ringhiò luomo.

“Ma io” la voce del ragazzo si spezzò. Un rumore sordo risu

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Assomiglia al tuo figlio scomparso,” sussurrò la mia fidanzata. E quello che accadde dopo lasciò senza parole tutta la strada.