Astuto Timmy

**Il Furbo Timo**

Alessia e sua madre litigavano ormai da giorni. Si stancavano, si allontanavano in silenzio, ognuna nel proprio angolo, ma appena una delle due riprendeva il discorso, la rabbia esplodeva di nuovo.

“Con te è impossibile parlare! Non ascolti mai nessuno. Per te conta solo la tua opinione, e nient’altro. Nemmeno papà ti ascoltavi. Ecco perché se n’è andato,” gridò Alessia. Sapeva di aver colpito basso, ma la rabbia era più forte di lei.

“Vado via lo stesso, perché senza Daniele non posso vivere. Lo amo. Volevo andarmene senza drammi, ma a quanto pare non si può. Ho vent’anni, mamma, sono adulta. Una volta a questa età le ragazze erano già zitelle. Tu sempre così perfetta… Non ti fa schifo essere così? Io non voglio finire come te…” Alessia si interruppe.

“Ma io non sono contraria. E ti ascolto benissimo. Allora perché non vi sposate, se vi amate tanto?” rispose la madre, quasi calma, spaventata dalla furia della figlia.

“Eccoci di nuovo,” gemette Alessia. “Dove? Siamo studenti. Dovremmo vivere alle tue spalle? O a quelle dei suoi genitori? Gli hanno già comprato un appartamento!”

“E con cosa vivrete?”

“Te l’ho già detto, Daniele lavora, fa siti web e piccoli programmi al computer. Lo pagano per questo. Sì, mamma. Non hai sentito che ora si lavora così? Online? I soldi per mangiare ci sono, e tra un anno finiamo gli studi e ci sposeremo.”

“Aspettate un anno, allora. O c’è fretta? Sei incinta e non me lo dici?” La madre scrutò la figlia con sospetto.

“No, mamma, non sono incinta. Basta, parlare con te è inutile.” Alessia entrò in camera sua e iniziò a svuotare l’armadio, stipando vestiti nello zaino. Ma non ci stavano tutti, e rimase indecisa, guardando la pila sul divano.

La madre entrò. “Ora ricomincerà a urlare,” pensò Alessia. Invece restò in silenzio, poi uscì. Dopo qualche minuto tornò con una valigia, quella che usava con il padre per le vacanze al mare.

“Grazie!” Alessia la abbracciò. “Non vado dall’altra parte del mondo, verrò a trovarti. Ti chiamerò ogni giorno. Se hai bisogno, dillo, io e Daniele verremo.”

La madre improvvisamente si accasciò sul divano, nascondendo il viso tra le mani.

“Tutti mi lasciano. Giusto, scappate, come se fossi un mostro. Ero utile quando ero giovane e sana, ora vi intralcio solo. Tuo padre si è trovato una più giovane, io non gli vado più bene. Quando aveva l’ulcera o il mal di schiena, ero indispensabile. Lo accudivo, gli facevo i massaggi, cucinavo tutto al vapore. Gli spremevo i succhi di patate e cavolo. Poi è guarito, ha ripreso le forze, e se n’è andato. Pazienza, quando ricadrà, tornerà da me. Ma io non perdonerò.”

“E ora te ne vai anche tu. Perché? Dovrai cucinare, fare la spesa, studiare. E se rimani incinta? Perché questa fretta?”

Alessia si sedette accanto a lei, abbracciandola. Sentiva la tensione nelle sue spalle. Per un attimo pensò di cedere, di restare.

“Potreste continuare a vedervi, come prima. Perché andartene di casa?” La madre non si calmava.

“Perché la gente vive insieme? Perché non può stare separata. Io lo amo. Verrò a trovarti, promesso. E ti chiamerò ogni giorno. Vuoi che veniamo a vivere da te?”

La madre si raddrizzò di scatto.

“Ma figurati.”

Alessia sorrise tra sé.

La madre si era sposata tardi. La nonna era severa, non la lasciava mai uscire. Solo dopo la sua morte aveva conosciuto il padre. “Saltata sull’ultimo treno,” come si dice.

Alessia aveva vent’anni, e sua madre era già in pensione. L’azienda dove lavorava aveva chiuso, e tutti gli anziani erano stati licenziati. E poi il padre aveva fatto la sua mossa. Alessia capiva tutto, ma come dividersi tra la madre e Daniele? Non sarebbero mai riusciti a convivere. Conosceva il carattere di sua madre, e tanto valeva approfittare dell’appartamento di Daniele. Era meglio così. Semplicemente, la madre aveva paura di restare sola.

“Scusami, mamma. Ti voglio bene. Ma amo anche Daniele.” Si alzò e riprese a preparare le valigie.

Quando la madre uscì, Alessia tirò fuori il telefono.

“Mi aspetti?” sussurrò. “Arrivo.”

Mise via il telefono, si caricò lo zaino in spalla e trascinò la valigia fuori dalla stanza.

La madre era in cucina, voltata verso la finestra.

“Mamma, non te la prendere. Ti chiamo domani,” disse Alessia, colpevole.

La madre non si mosse. Sembrava così persa, così sola e ferita, che Alessia ne ebbe pietà. Ma se avesse ceduto, la madre avrebbe ricominciato a supplicarla di restare. E Daniele l’aspettava già da troppo tempo, al freddo. Decise di uscire prima di pentirsi.

Un taxi sarebbe stato comodo, ma i soldi erano pochi. E così raggiunsero la fermata dell’autobus a piedi.

“Com’è andata? Ha urlato molto? Ti ha supplicato di restare?” chiese Daniele stringendole la mano.

“Normale,” borbottò lei. Non voleva parlarne.

“Ti pentE mentre l’autobus si allontanava, Alessia guardò il vecchio quartiere svanire dietro di lei, sapendo che, nonostante tutto, la sua vita con Daniele era solo all’inizio.

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