Attiva la ragazza: Scopri il potere femminile nella cultura italiana

Ehi, allora, senti questa

«Ma non ci hai mai pensato, Giulia, che quando tutto è complicato, a volte le soluzioni più semplici sono quelle giuste? Quelle che noi donne spesso evitiamo perché le consideriamo una debolezza.»

«Quali soluzioni semplici?» sospirò Giulia. «Chiedere aiuto al mio ex marito? Lui o mi ignora o mi fa la predica su come non sono capace.»

«Ecco, proprio di questo parlo. Ma non come fai tu, con quel tono da capoufficio che dà ordini. Per noi, donne forti e indipendenti, chiedere aiuto e fare la ragazzina fragile sembra una cosa da evitare. Lo vediamo come umiliante. E invece non capiamo una cosa fondamentale: gli uomini, in realtà, ne hanno bisogno.»

Giulia sbuffò. Matteo aveva bisogno delle sue richieste? Ma ci facciamo. La signora Valentina non lo conosceva. Se cera una cosa di cui lui aveva bisogno, era di essere lasciato in pace. Portava i soldi a casa quello era il suo dovere, e per lui, lunico.

***

Ora, tre anni dopo il divorzio, Giulia vedeva il loro rapporto con occhi diversi. Tutti i problemi erano chiari fin dallinizio, solo che nessuno aveva voluto vederli.

Si erano conosciuti a una festa tra amici: lei, lanima della serata, con quel fuoco negli occhi; lui, alto, con un sorriso affascinante, appena promosso al lavoro. Lui vedeva in lei una compagna bella e intelligente, lei in lui un punto fermo. Il matrimonio era stato da favola, proprio come lo sognano le ragazze.

Ma il sogno si era trasformato in routine e incapacità di affrontare i conflitti.

Giulia era cresciuta in una famiglia dove lamore si misurava dalle cose fatte. Sua madre, sola dopo che il padre se nera andato, aveva tirato avanti con tutto: lavoro, casa, figlia. Il suo motto era: «Conta solo su te stessa. Gli uomini vanno e vengono, ma la tua indipendenza è la tua forza.» Giulia aveva costruito quella fortezza fin da giovane: cucinava da sola, aggiustava le prese elettriche, si era scelta luniversità. Ma dentro di sé custodiva un desiderio nascosto: trovare qualcuno su cui poter contare. Sognava un rapporto in cui potersi mostrare fragile senza paura di essere sfruttata. Quello che voleva dal matrimonio era semplice e complicato insieme: sicurezza. Non economica quella sapeva crearsela ma emotiva. La possibilità di togliersi, finalmente, larmatura della ragazza forte.

Matteo era cresciuto in una famiglia patriarcale classica. Il padre, il breadwinner, la cui parola era legge. La madre, angelo del focolare, ministra della casa, delle emozioni e delleducazione. Qualsiasi problema si risolveva così: la madre segnalava, il padre pagava o usava le sue conoscenze. Mai una discussione, mai una decisione insieme. Matteo aveva imparato un modello unico: luomo porta i soldi e lo status, il resto non è affar suo. Nel matrimonio cercava comfort: casa pulita, odore di buono, moglie bella che lo aspettava, e i problemi risolti da qualcun altro, senza disturbarlo.

Non ne avevano mai parlato. Fin dal primo incontro, Matteo aveva visto in Giulia quella ragazza forte e autonoma che non lo avrebbe caricato di piccolezze. Lei aveva visto in lui quelluomo affidabile che sarebbe stato il suo sostegno. Parlavano lingue diverse, senza saperlo. Discutevano del viaggio di nozze, di come avrebbero chiamato i figli, dello stile dellarredamento. Ma non si erano mai chiesti: «Come affronteremo i problemi quando arriveranno?» e men che meno: «Come divideremo le responsabilità?»

Nessuno voleva rovinare latmosfera romantica. Giulia aveva paura di sembrare debole e esigente, esprimendo le sue aspettative più profonde. Matteo dava per scontato che tutto sarebbe andato come nella sua famiglia. Navigavano luno verso laltro convinti di vedere la stessa riva. Ma vedevano due terre diverse.

Quando nacque Luca, Giulia, seguendo lesempio di sua madre, si caricò di tutto: lavoro da casa, poppate notturne, visite mediche, attività. Matteo viveva in un mondo parallelo. Sempre più immerso nel lavoro, a casa si rilassava sul divano, davanti alla TV. Il suo coinvolgimento nelle faccende domestiche si limitava a: «Cosa cè per cena?» e a qualche raro gioco con Luca, quando il bambino era felice e pulito.

Luca aveva nove mesi quando, per la prima volta, la febbre salì a 39. Giulia, nel panico, svegliò Matteo alle tre di notte: «Matteo, aiutami, non so cosa fare! Chiamiamo lambulanza?» Lui, senza aprire gli occhi, borbottò: «Sei sua madre, arrangiati. Non disturbarmi, domani ho un meeting importante.» Quella notte, Giulia se la sarebbe ricordata spesso: come aveva cullato Luca da sola, piangendo per la disperazione.

Poi venne il resto. Cose banali, come succede a tanti. Matteo metteva sempre le sue esigenze al primo posto, Giulia teneva il conto delle offese. Una volta, Matteo non andò alla recita dellasilo. Luca aveva tre anni e aveva imparato la sua prima poesia. Giulia aveva chiesto al marito di liberare la mattina una settimana prima. «Certo, amore» aveva risposto lui. Il giorno della recita, mentre gli allacciava il fiocco, squillò il telefono. «Scusa, Giulia, cliente urgente. Senza di me non si può fare. Filmala col telefono, la guarderò dopo.» Quel «dopo» non arrivò mai. Per Matteo era una situazione lavorativa normale. Per Giulia, un altro chiodo nella bara del loro matrimonio.

Quellinverno, Giulia, con linfluenza e 38 di febbre, chiese a Matteo di comprare almeno del latte, pane e medicine. Lui accettò. Tornò a casa alle nove di sera con una bottiglia di whisky costoso e una scatola di cioccolatini per la segretaria, che compiva gli anni. «Mi sono dimenticato della spesa, scusa. Fai da te.» Proprio quella sera, guardando il whisky e sentendo il freddo addosso, Giulia capì: non era solo stanca, stava morendo lentamente in un vuoto emotivo.

Giulia lasciò Matteo di colpo. Con una calma glaciale, dietro cui si nascondeva una stanchezza accumulata in anni. Mentre lui era in viaggio, fece le valigie e se ne andò. Un messaggio: «Basta. Sono stanca di fare tutto da sola. Io e Luca vivremo per conto nostro.»

Per Matteo fu un colpo basso. Non capiva il perché. Lui manteneva la famiglia! Cosaltro voleva? La sua rabbia e incomprensione erano grandi quanto la sua stanchezza.

***

Allinizio, Giulia andò da sua madre. Poi trovò un secondo lavoro, affittò un bilocale minuscolo. Si iscrisse in palestra per sfogare lo stress. Piano piano, la vita migliorava, si sentiva di nuovo viva. Ma cera un problema che né la forza di volontà né i nuovi hobby risolvevano: la cronica mancanza di soldi. Mantenere un figlio, anche con gli alimenti, costava caro.

Una volta, sorseggiando un caffè con una collega, Giulia tornò sul solito ritornello: «Sempre sola, i soldi non bastano mai, con Luca ogni problema ricade su di me» La collega, più anziana e saggia, le diede un consiglio:

«Giulia, sei fortissima. Ma anche un atleta ha bisogno di un sostegno. Smetti di fare tutto da sola. Non cercare sempre la soluzione complicata. Cerca la più semplice. Impara a delegare. Sai cosè fare la ragazzina?»

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