A volte la vita ti conduce attraverso un tunnel oscuro, facendoti portare valigie cariche di dolore, vergogna, stanchezza e paura. Ma arriva un giorno in cui le lasci cadere a terra, raddrizzi le spalle e fai un passo avanti. Un passo verso l’ignoto. Verso la libertà. Verso te stessa. È successo anche a me. E ora, ricordando, mi sembra che quella donna che ero prima del divorzio fosse una persona completamente diversa. Dimenticata, smarrita e spezzata.
Mi chiamo Alessandra. Sono originaria di Viterbo e ora ho 52 anni. Tanto tempo fa, mi sono sposata non per amore. Non perché lo volessi, ma perché “era necessario”. Nel nostro quartiere e ai nostri tempi, una donna senza marito a 25 anni era vista come un fallimento, un disonore per la famiglia. La pressione era onnipresente: genitori, zie, vicine di casa. Non potevo andare al cinema con un’amica senza che mi venisse chiesto: “Hai trovato qualcuno? È serio? Quando vi sposate?”
Così mi sono sposata. Con Marco, un ex compagno di classe. Era normale, anche troppo. Nessuna qualità particolare, nessuna ambizione. Ma aveva un documento e un anello. I parenti sospirarono di sollievo. Ma la felicità non arrivò.
Poi nacquero le mie figlie, una dopo l’altra. Quello era il mio vero tesoro. Amavo essere mamma, cucire vestitini per loro, pettinarle. Quello era il mio mondo. La casa, le bambine, l’ago e il filo. Ma i soldi non bastavano mai. Mio marito non sapeva né voleva lavorare. Cambiava lavoro, lo lasciava, cercava di nuovo, e ancora beveva. Ogni volta un passo più nel baratro.
All’inizio sopportavo. Poi proposi: posso cucire a casa, almeno avremmo qualche soldo. Lui si infuriò: “Una donna deve stare a casa, non mantenere la famiglia!” Ma presto non ci fu più nessuno con cui parlare, perché iniziò a bere pesantemente. Le bottiglie si accumulavano nella dispensa, come monumenti alle mie speranze.
Poi arrivò la crisi degli anni ’90. Non c’era lavoro. La maggiore andava al ballo di fine anno, la minore stava entrando nell’adolescenza, e a casa c’era un marito ubriaco e il frigo vuoto. Quando lui mi assalì per la prima volta, gridando e aggredendomi, capii che era la fine. Quella non era una famiglia, era sopravvivenza.
Il giorno dopo un nuovo colpo: mi strinse la gola, sibilando al mio orecchio: “Dove nascondi i soldi, strega?” Riacquistai il respiro a stento. Mi salvò la maggiore, che entrò di corsa, lo trascinò via e chiamò i vicini. Lo mandarono fuori di casa. Poi ci fu il tribunale. Il divorzio. Divisione di niente, perché niente c’era da dividere.
Rimasi io. Una donna. Con due figlie. Contusione sul corpo e l’anima a pezzi. In una città senza futuro. Ma ci ero ancora. Vivevo. Mi alzavo.
Le mie figlie furono le mie ali. La maggiore trovò un lavoro come cameriera mentre studiava all’università. Io ripresi la macchina da cucire e mi misi di nuovo al lavoro. Cucivo, riparavo, adattavo, trasformavo. In quegli anni la gente non spendeva molto, ma si vestiva comunque, e i clienti non tardarono ad arrivare.
Piano piano ci stavamo riprendendo.
Poi un miracolo. La mia figlia maggiore incontrò un ragazzo straniero. Gentile, dolce. Fecero un matrimonio semplice e se ne andarono. L’anno dopo diventai nonna. Loro ci spedivano aiuti. Potevamo comprare la carne. Riuscii di nuovo a dormire la notte.
Anche la minore non sbagliò un colpo. Studiava e si impegnava. Alla fine riuscì a entrare in un’università negli Stati Uniti, con l’aiuto della maggiore sia per il denaro che per i consigli. Rimasi sola. Sì, era dura, il cuore urlava. Ma sapevo che era per il loro futuro.
Un giorno la mia figlia maggiore chiamò e disse:
– Mamma, meriti una vacanza. Hai il passaporto nel cassetto? Controlla. Ti ho iscritta per una crociera.
Inizialmente pensavo di aver frainteso. Una crociera? Io? Mi ritrovai a bordo di un’enorme nave, dove tutto splendeva, con profumi esotici, dove le donne ridevano senza preoccupazioni e gli uomini ti guardavano negli occhi. Non incontrai un principe, ma incontrai… me stessa. Quella vera.
Di notte stavo sul ponte, osservando l’acqua fendersi sotto la nave, e pensai: sono sopravvissuta. Ce l’ho fatta. Ho lasciato chi mi distruggeva e ho ricostruito la mia vita. Non vivevo solo, ho ricominciato a sognare.
Al rientro, decisi di non fermarmi. Presi in mano una macchina fotografica. Ora il mio hobby è viaggiare per l’Italia e scattare fotografie. Vado con le amiche, esploriamo borghi, riserve naturali, antiche chiese. Scatto foto e le invio alle mie figlie. E loro mi scrivono: “Mamma, sei la più forte. E la più felice.”
Adesso non sono ricca, ma ho tutto. Libertà. Un sorriso. E la fiducia in me stessa.
Quei lunghi anni bui sono dietro di me. E avanti a me c’è luce, nuove strade e io, autentica.