Ettore noleggiò unauto quando la moglie fu dimessa dallospedale e, con laiuto di un vicino, la portò in casa. «Andrà tutto bene», la consolò, «limportante è che tu resti con me. Basta che tu parli con me, che mi tenga compagnia. Limportante è che tu viva. Farò tutto io, ma non lasciarmi, amore mio!»
Silvia, a 35 anni, credeva di non conoscere mai la felicità di una donna, ma il destino aveva altri piani Si incontrarono quando ormai avevano quasi quarantanni. Ettore era vedovo da tre anni, mentre Silvia non si era mai sposata, ma aveva un figlio. Come si dice in paese, laveva avuto per sé. Da giovane, aveva avuto una storia con un affascinante uomo bruno, Gabriele, che le aveva promesso matrimonio, conquistandola con belle parole. Lei ci era cascata, ma quelle promesse si rivelarono vuote. Scoprì poi che il suo corteggiatore, un cittadino, era già sposato.
Addirittura, la moglie legittima di Gabriele andò da Silvia a supplicarla di non distruggere la loro famiglia. La giovane e inesperta Silvia cedette, ma decise di tenere il bambino.
E così fu. Silvia diede alla luce Matteo, che divenne la sua unica gioia e consolazione. Matteo era un ragazzo educato, studioso, e dopo il liceo si iscrisse alla facoltà di economia. Ettore fece più volte visita a Silvia, proponendole di mettersi insieme. Lei esitava, anche se Ettore le piaceva. Si vergognava un po del figlio e del proprio desiderio di essere finalmente felice. Una sera, però, Matteo le parlò. «Mamma, io non ho nulla in contrario. Tanto ormai vivrò per conto mio. Zio Ettore è un uomo per bene. Limportante è che non ti faccia soffrire. Voglio solo che tu sia felice.» Anche il figlio di Ettore era daccordo.
E così iniziarono a vivere insieme. Si sposarono con una piccola festa in paese. Silvia lavorava nella biblioteca comunale, Ettore era agronomo. Facevano tutto insieme: curavano lorto, allevavano animali, tenevano in ordine la casa. Si amavano e si rispettavano, anche se, purtroppo, Dio non concesse loro figli in comune.
Maritarono entrambi i figli e arrivarono anche i nipotini. Per ogni festa preparavano cesti pieni di uova, latte, panna, maiale e pollo fatti in casa. Durante le feste, la loro cucina si riempiva di ospiti, ed Ettore e Silvia sedevano a tavola, felici di avere qualcuno con cui celebrare.
Ma la sera, quando andavano a letto, ognuno pensava in silenzio la stessa cosa: sperare di lasciare questo mondo per primo per non dover affrontare la solitudine.
Gli anni passarono, e un giorno il disastro arrivò. Una mattina, mentre Silvia preparava il minestrone in cucina, le venne un malore e cadde. Con laiuto dei vicini, Ettore chiamò lambulanza. I medici dissero che aveva avuto un ictus. Tutte le funzioni erano intatte, tranne una: Silvia non poteva più camminare. Matteo e sua moglie vennero a trovarla, lasciarono dei soldi per le medicine e se ne andarono.
Ettore noleggiò unauto quando la moglie fu dimessa dallospedale e, con laiuto di un vicino, la portò in casa. «Andrà tutto bene», la consolò, «limportante è che tu resti con me»
Ettore si prese cura di lei con dedizione. Dopo un mese, Silvia riuscì a sedersi sulla sedia a rotelle. Lo aiutava in cucina, sbucciavano patate e carote, sgusciavano i fagioli, persino facevano il pane insieme. La sera, discutevano del futuro. Linverno si avvicinava, e Ettore non aveva più la forza di spaccare la legna.
«Forse i ragazzi potrebbero portarci da loro per linverno», propose Silvia. «In primavera e estate ce la caveremmo da soli»
Il weekend dopo arrivarono Matteo e sua moglie. La nuora, Sara, dopo aver osservato la stanza, annunciò:
«Dovremo separarvi, purtroppo. Prenderemo mamma la prossima settimana. Preparerò una stanza per lei.»
«E io?» mormorò Ettore, smarrito. «Non ci siamo mai lasciati Figlioli, come potete»
«Prima era diverso», tagliò corto Sara. «Avevate le forze per badare a voi stessi e alla casa. Ora no. Anche tuo figlio può prenderti con sé, ma insieme non possiamo occuparci di voi.»
Matteo e Sara se ne andarono. Ettore e Silvia sospirarono, chiedendosi come sarebbe andata. Ogni notte, speravano di non svegliarsi, per non dover affrontare quella separazione.
Il weekend dopo, arrivarono entrambi i figli e iniziarono a fare le valigie. Ettore restò accanto al letto di Silvia, fissandola con gli occhi lucidi, ricordando i loro anni felici. Poi si chinò verso di lei e sussurrò:
«Perdonami, Silvia, se è finita così Forse abbiamo sbagliato coi figli. Ci separano come gattini randagi. Ti amo»
Silvia avrebbe voluto accarezzargli la guancia, ma non ne ebbe la forza. Ettore uscì, asciugandosi le lacrime con la manica. Ma una volta in macchina, smise persino di asciugarle.
Poi, il figlio, la nuora e il vicino avvolsero Silvia in una coperta e la portarono fuori di casa a piedi in avanti. La donna malata pensò che fosse terribilmente simbolico. Non oppose resistenza. Quando Ettore partì, Silvia non cera già più. Aveva solo sperato di non arrivare a sera.
Passò una settimana. In una bella giornata dautunno, proprio il giorno della Madonna del Rosario, il loro desiderio si avverò. Silvia e Ettore si ritrovarono nellaltro mondo