Cacciata come un cane randagio

— Ragazza, il suo telefono è caduto! Aspetti! — gridò uno sconosciuto, cercando di farsi sentire sopra il rumore della pioggia battente.

Isabella camminava per le strade deserte di Firenze, senza accorgersi delle gocce fredde che le scendevano sul viso, mescolandosi alle lacrime. Si voltò, guardò l’uomo con stanco distacco e aggrottò le sopracciglia.

— È suo? — chiese lui, porgendole lo smartphone bagnato con lo schermo rotto.

— Mio… — mormorò Isabella, la voce tremante per il freddo e il dolore.

— Perché è qui da sola sotto questo diluvio? Senza ombrello, è fradicia! Si ammalerà! — nella sua voce c’era una preoccupazione sincera.

L’uomo non sembrava invadente, e Isabella, spinta da un impulso improvviso, lo seguì sotto la tettoia di un negozio lì vicino. Decisero di entrare in un piccolo bar all’angolo per scaldarsi con una tazza di tè.

— Io sono Matteo — si presentò lui, sorridendo. — E lei?

— Isabella… — rispose piano, fissando il pavimento.

— Cosa l’ha portata a girare da sola con questo tempo? Nemmeno un cane lo lascerebbero fuori con questo temporale.

— A me… mi hanno cacciata via come un cane randagio — le sfuggì, e la voce le tremò per le lacrime che stavano per scoppiare.

I ricordi arrivarono come un’onda. Il cuore le si strinse per il dolore che aveva cercato di soffocare. Isabella non avrebbe mai pensato che la sua vita, costruita con tanta fatica, potesse crollare in un attimo. Lei e Luca avevano affrontato tutto insieme: comprato una casa fuori Firenze, aperto una piccola pasticceria, sognato dei figli. Lei si era persa nel lavoro, arrampicandosi sulla scala del successo, dimenticandosi di se stessa. E oggi, Luca le aveva alzato le mani. Aveva afferrato il cappotto ed era scappata di casa sotto la pioggia fredda.

Con sé aveva solo il passaporto, la carta di credito e il telefono, che ormai funzionava a malapena.

— Il suo telefono è completamente bagnato — osservò Matteo, cercando di cambiare argomento.

Isabella si rese conto all’improvviso che non aveva nessun posto dove andare. Una città straniera, nessun amico, nessun parente. Era sola, come nel vuoto. Le lacrime iniziarono a scorrere, e per la prima volta dopo anni si lasciò andare.

— Piange per il telefono? Posso aggiustarlo, se vuole — disse Matteo con dolcezza, cercando di consolarla.

— Perché le importa di me? Non ci conosciamo nemmeno! — sbottò Isabella, ma nella sua voce c’era più disperazione che rabbia.

— Non sono arrabbiato, è solo che… l’ho vista e ho capito che qualcosa non andava. Volevo aiutare — rispose lui con calma.

Isabella inspirò profondamente, cercando di calmarsi, e decise di raccontare la sua storia a questo sconosciuto.

— Sono arrivata qui dodici anni fa da Torino. I miei genitori sono rimasti lì, ma ormai ci sentiamo raramente. Tutti questi anni ho vissuto solo per il lavoro. Amici non ne ho avuti il tempo di farmeli. Ogni minuto era per i progetti, per la pasticceria, per i sogni futuri. Pensavo fosse la cosa giusta. E oggi… Luca è tornato a casa furioso. L’ho chiamato a cena, ma ha iniziato a urlare perché non avevo comprato il suo vino preferito. Non l’ho preso di proposito, beve già troppo. Sono rimasta zitta per non litigare, ma lui… mi ha colpita. Ho le costole doloranti, mi fa male anche respirare.

— Lo capisco — disse piano Matteo. — Mia cugina ha vissuto con un uomo così. So quanto sia difficile. Mi lasci aiutare.

— Perché si preoccupa delle mie disgrazie? — rispose lei stanca. — Non è la prima volta. Starò un paio di giorni da un’amica, poi tornerò. Lui mi chiamerà, si scuserà. Come sempre.

— Ma il suo telefono non funziona — fece notare Matteo.

— Allora andrò io a chiedere scusa — rise amaramente. — Che altro posso fare? Non ho alternative.

— E se fosse un segno? — disse improvvisamente lui. — Un segno che è il momento di cambiare tutto. Iniziare una vita nuova.

Isabella ci pensò. L’idea di una nuova vita le era già venuta in mente, ma la paura l’aveva sempre bloccata. Troppo investito in quegli anni, troppo perso. Ma ora, sotto il rumore della pioggia, le parole di Matteo sembravano una salvezza.

— La porto in un posto sicuro — propose lui. — Potrà restare lì finché vuole. Aggiusterò il telefono e glielo riporterò. Poi deciderà cosa fare. Va bene?

— Grazie… — mormorò Isabella, sentendo per la prima volta quella sera un po’ di sollievo.

Espirò, come se si fosse tolta un peso dalle spalle. Dopo anni, qualcuno si era preso cura di lei. Meritava una tregua, almeno per un paio di giorni, dopo tutti quegli anni di corsa infinita.

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