Ricordavo quel giorno come fosse ieri, quando come un cane randagio mi cacciarono via.
— Signorina, il suo telefono è caduto! Aspetti! — gridò uno sconosciuto, la voce coperta dal fragore della pioggia battente.
Giovanna camminava per le strade deserte di Bologna, senza accorgersi dell’acqua fredda che le scendeva sul viso, mescolandosi alle lacrime. Si voltò, guardò l’uomo con indifferenza stanca e aggrottò le sopracciglia.
— È suo? — chiese lui, porgendole lo smartphone bagnato con lo schermo rotto.
— Mio… — rispose Giovanna a malapena, la voce tremante per il freddo e il dolore.
— Perché è sola sotto questo diluvio? Senza ombrello, è fradicia! Si ammalerà! — c’era una preoccupazione sincera nelle sue parole.
L’uomo non sembrava invadente, e Giovanna, spinta da un impulso improvviso, lo seguì sotto la tettoia di un negozio lì vicino. Decisero di entrare in una piccola caffetteria all’angolo per scaldarsi con una tazza di tè caldo.
— Mi chiamo Matteo, — si presentò con un sorriso. — E lei?
— Giovanna… — rispose piano, fissando il pavimento.
— Cosa l’ha portata a vagare da sola con questo tempo? Nemmeno un cane lascerebbero fuori con una pioggia così.
— E invece me… me ne hanno cacciata, come un cane randagio, — le parole le sfuggirono, e la voce le tremò per le lacrime che stavano per esplodere.
I ricordi la travolsero come una tempesta. Il cuore le si strinse per il dolore che aveva cercato di ignorare. Giovanna non aveva mai pensato che la sua vita, costruita con tanta fatica, potesse crollare in un attimo. Lei e Marco avevano attraversato tutto insieme: comprarono una casa fuori Bologna, aprirono una piccola pasticceria, sognavano una famiglia. Giovanna si era immersa nel lavoro, scalando posizioni, dimenticandosi di sé stessa. E quel giorno, Marco le aveva alzato le mani. Afferrò il cappotto e corse fuori sotto la pioggia gelida.
Con sé aveva solo il passaporto, la carta di credito e il telefono, che ormai funzionava a malapena.
— Il suo telefono è completamente bagnato, — osservò Matteo, cercando di cambiare argomento.
Giovanna si rese conto all’improvviso di non avere un posto dove andare. Una città che non era la sua, senza amici, senza parenti. Era sola, come sospesa nel vuoto. Le lacrime iniziarono a scorrere, e per la prima volta dopo anni si lasciò andare al pianto.
— Piange per il telefono? Posso ripararlo, — disse Matteo con gentilezza, cercando di consolarla.
— Che gliene importa di me? Non ci conosciamo neanche! — esplose Giovanna, ma nella sua voce c’era più disperazione che rabbia.
— Non sono arrabbiato, è solo che… l’ho vista e ho capito che qualcosa non andava. Volevo aiutare, — rispose con calma.
Giovanna respirò a fondo, cercando di calmarsi, e decise di raccontare la sua storia a quel passante sconosciuto.
— Sono arrivata qui dodici anni fa da Verona. I miei genitori sono rimasti là, ho perso i contatti con loro. Tutti questi anni ho vissuto solo per il lavoro. Non ho amici — non ho mai avuto tempo per farmene. Ogni minuto era dedicato ai progetti, alla pasticceria, ai sogni per il futuro. Credevo fosse la cosa giusta. E oggi… Marco è tornato a casa arrabbiato. L’ho invitato a cena, ma ha iniziato a urlare perché non avevo comprato il suo vino preferito. Non l’ho preso di proposito — beve già troppo. Ho taciuto per evitare litigi, ma lui… lui mi ha colpita. Ho ancora male alle costole, mi fa male persino respirare.
— Capisco bene, — disse Matteo a bassa voce. — Mia cugina viveva con un uomo così. So quanto sia difficile. Mi lasci aiutare.
— Perché dovrebbe importarle delle mie disgrazie? — rispose stancamente Giovanna. — Non è la prima volta. Starò qualche giorno da un’amica, poi tornerò da lui. Mi chiamerà per scusarsi, come sempre.
— Ma il suo telefono non funziona, — fece notare Matteo.
— Allora sarò io a chiedere scusa, — sorrise amaramente. — Che altro posso fare? Non ho alternative.
— E se fosse un segno? — disse improvvisamente lui. — Un segno che è ora di cambiare tutto. Ricominciare una vita nuova.
Giovanna rifletté. L’idea di una nuova vita le era già passata per la mente, ma la paura l’aveva sempre fermata. Troppe energie spese in quegli anni, troppe cose perse per sempre. Ma ora, sotto il rumore della pioggia, le parole di Matteo suonavano come una salvezza.
— Permetta che la accompagni in un posto, — propose. — È sicuro, potrà restare quanto vuole. Riparerò il telefono e glielo riporterò. Poi deciderà come vivere. Va bene?
— Grazie… — sussurrò Giovanna, sentendo per la prima volta quella sera un po’ di sollievo.
Espirò, come se si fosse tolta un peso dalle spalle. Era la prima volta, dopo anni, che qualcuno si prendeva cura di lei. Si meritava una pausa, anche solo per qualche giorno, dopo tutta quella corsa infinita.