Cacciato dal Nido

Mi cacciò di casa

Valentina Rossi stava sulla soglia del suo appartamento con due valigie in mano, incapace di credere a ciò che stava accadendo. Dietro di lei, la porta si chiuse di colpo e la serratura scattò. Sua figlia Angela l’aveva rinchiusa fuori, assicurando ogni catenaccio.

«Mamma, sono seria!» gridava Angela da dietro la porta. «Finché non ti ravvedi, non entrerai più in questa casa!»

Valentina si appoggiò al muro del pianerottolo. Le gambe le tremavano, la testa le rimbombava. Settantadue anni vissuti, e mai aveva provato un’umiliazione del genere.

«Angiolina, apri, ti prego» supplicò, trattenendo le lacrime. «Parliamone con calma.»

«No!» tagliò corto la figlia. «Sono stanca di discutere con te. Fino a quando devo sopportare i tuoi capricci?»

Capricci. Valentina sorrise amaramente. Chiamava capricci il suo tentativo di proteggere il nipotino Luca dalle botte del patrigno.

Tutto era cominciato quella mattina, quando si era svegliata per il pianto disperato di Luca. Aveva solo otto anni, ma piangeva con una disperazione da adulto. Valentina si era alzata dal divano – dormiva in salotto, cedendo la sua camera da letto ad Angela e al nuovo marito Roberto – e aveva teso l’orecchio.

«Ti ho detto di riordinare i giocattoli!» urlava Roberto. «Quante volte devo ripeterlo?»

«Li ho già messi a posto» singhiozzava Luca.

«Mentitore! Ecco la macchinina sotto il letto!»

Uno schiaffo, poi un urlo. Valentina non aveva resistito ed era entrata di corsa nella stanza.

«Che state facendo?» si era indignata, vedendo la guancia arrossata del nipotino. «È solo un bambino!»

«Non si intrometta, signora Rossi» aveva risposto Roberto, freddo, abbottonandosi la camicia. «Non sono affari suoi.»

«Come non miei? È mio nipote!»

«E mio figliastro. Ho il diritto di educarlo come credo.»

Angela era rimasta in piedi vicino alla finestra, voltando le spalle al figlio. Valentina si era avvicinata a Luca e lo aveva abbracciato.

«Luchino, va tutto bene, la nonna è qui.»

«Mamma, non viziarlo» era intervenuta Angela. «Roberto ha ragione, il bambino è diventato insolente.»

«Insolente?» Valentina non credeva alle proprie orecchie. «Va benissimo a scuola, aiuta in casa, non dà fastidio a nessuno!»

«E invece sì» borbottò Roberto. «Butta sempre qualcosa per terra, fa rumore, guarda la televisione a volume alto.»

«Ma è un bambino! Non può stare fermo come una mummia!»

«Può, se viene educato come si deve» replicò Roberto, uscendo in cucina.

Valentina accompagnò Luca a scuola e per tutto il tragitto pensò a come la sua vita fosse cambiata con l’arrivo di quell’uomo. Angela lo aveva conosciuto sei mesi prima al lavoro. Roberto era il capoufficio della società, divorziato, senza figli. All’inizio era tutto rose e fiori: regali, cene, attenzioni. Angela sembrava felice.

«Mamma, finalmente ho trovato un uomo vero» diceva. «Roberto è forte, deciso. Sa quello che vuole.»

Valentina si era rallegrata per lei. Dopo il divorzio dal padre di Luca, Angela aveva faticato a ricostruirsi una vita. Aveva incontrato diversi uomini, ma nessuna relazione era durata. C’era chi beveva troppo, chi non lavorava, chi non andava d’accordo con i bambini.

Roberto, invece, sembrava perfetto. Uno stipendio alto, educato con Valentina, giocava a calcio con Luca nel cortile.

Ma quando si era trasferito da loro, tutto era cambiato. La prima richiesta era stata quella di cedere la camera da letto.

«Mamma, capiscimi» lo supplicava Angela, «siamo adulti, abbiamo bisogno di intimità.»

Valentina aveva accettato, anche se dormire sul divano le faceva male alla schiena.

Poi Roberto aveva imposto le sue regole. Televisione solo sui canali che piacevano a lui. In frigo solo ciò che mangiava lui. Con Luca, niente indulgenza.

«Un maschio va cresciuto da uomo» spiegava ad Angela. «Voi due lo state solo viziando.»

E Angela annuiva a tutto. Valentina non riconosceva più sua figlia. Prima era una donna indipendente, con le sue idee. Ora obbediva a Roberto come ipnotizzata.

Tornata da scuola, Valentina comprò gli ingredienti per la cena. Pensava di fare una pasta al pomodoro, la preferita di Luca. Ma a casa trovò Roberto già rientrato dal lavoro.

«Signora Rossi» le disse, vedendola con le borse, «dobbiamo parlare.»

Si sedettero in cucina. Angela tormentava nervosamente un tovagliolo, Roberto la fissava come un inquisitore.

«Di che si tratta?» chiese Valentina.

«Le sue intromissioni nell’educazione di Luca stanno rovinando la nostra famiglia» cominciò Roberto. «Lo vizia, mina la mia autorità.»

«Proteggevo mio nipote dall’ingiustizia.»

«Quale ingiustizia?» intervenne Angela. «Roberto vuole solo renderlo un uomo forte.»

«Gli uomini forti non picchiano i bambini» ribatté Valentina.

«Io non lo picchio!» si infuriò Roberto. «Al massimo uno scappellotto, come fa ogni padre.»

«Lei non è suo padre.»

«E chi lo è allora?» Roberto strinse gli occhi. «Dov’è il padre biologico? Paga gli alimenti? Si interessa di lui?»

Valentina tacque. Il genero era sparito dopo il divorzio, senza dare più notizie né soldi.

«Vede?» continuò Roberto. «Io mi occupo di lui, lo cresco, spendo per lui. E pretendo rispetto.»

«Mamma» sussurrò Angela, «Roberto ha ragione. Sei troppo protettiva con Luchino. Deve imparare a cavarsela da solo.»

«Ha otto anni!»

«E allora? A otto anni deve capire cos’è la disciplina.»

Valentina la fissò senza riconoscerla. Quella donna dagli occhi spenti non assomigliava alla madre allegra e energica che aveva cresciuto Luca da sola per quattro anni.

«Angiolina, cosa ti è successo?» chiese. «Non avresti mai permesso che qualcuno alzasse le mani su Luca.»

«Nessuno gli alza le mani!» sbottò Angela. «Roberto lo sta educando! E tu ostacoli tutto!»

«Bene» sospirò Roberto, «facciamola breve. Signora Rossi, io e Angela vogliamo vivere da soli. Senza interferenze.»

Valentina sentì il sangue gelarsi.

«Volete che me ne vada?»

«Sì» annuì Angela, evitando il suo sguardo. «Troverai un’altra sistemazione. Con la pensione, puoi affittare una stanza.»

«Angela!» Valentina non credeva alle sue orecchie. «Questo è il mio appartamento! L’ho avuto ai tempi dell’Unione Sovietica, ho lavorato quarant’anni in fabbrica!»

«Ma me l’hai regalato» ricordò la figlia. «Ricordi? L’atto di donazione quando mi sposai la prima volta.»

Valentina lo ricordava. Allora le era sembrato giusto: Angela si sposava, voleva sentirsi padrona di casa. Lei aveva solo cinquantadue anni, pensava che il futuro le sarebbe dato il tempo per altro.

Ma la vita aveva deciso altrimenti. La fabbrica chiusa, nessuno che assumesse unaE mentre si allontanava con le valigie, il cuore le si strinse al pensiero che, nonostante tutto, avrebbe trovato un modo per non abbandonare Luca, perché l’amore di una nonna è più forte di qualsiasi porta chiusa.

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