Calzini Bucati di Mio Figlio

I calzini bucati di mio figlio

Quando mio figlio Marco e sua moglie Beatrice sono venuti a cena da me, ho preparato la tavola come per una festa: pasta al forno, polpette, purè, insalata — tutto ciò che lui adora. Ma quando Marco si è tolto le scarpe nell’ingresso, sono quasi svenuta: su entrambi i calzini spuntavano buchi sfacciati, con le dita dei piedi che sembravano volersi fare notare! Sono rimasta di sasso, come se mi avessero fulminata. Ma insomma, questo è mio figlio, quello che ho cresciuto, vestito, insegnato a curarsi? E Beatrice, scusate, dove aveva gli occhi? Capite, qui si supera ogni limite! Ancora non mi sono ripresa da quella visione, e devo sfogarmi, altrimenti scoppio dall’indignazione.

Io, Maria Rossi, ho fatto di tutto perché Marco non avesse mai bisogno di niente. Gli cucivo le camicie, compravo le scarpe migliori, anche quando dovevo risparmiare. È cresciuto, è diventato ingegnere, ha sposato Beatrice — una ragazza che sembrava dolce e piena di buonsenso. Vivono nel loro appartamento, lavorano entrambi, apparentemente tutto bene. Non mi intrometto, ma ogni tanto li invito a cena per vederli e coccolarli con i miei piatti. E poi, ecco, mi ritrovo davanti questo scempio di calzini! Non sono semplicemente bucati, sono un grido d’aiuto, un segnale che qualcosa in casa loro non va.

Tutto è iniziato quando sono entrati. Io, come al solito, correvo su e giù con i piatti, riscaldavo le polpette. Marco ha slacciato le scarpe, e lì ho dato un’occhiata ai suoi piedi. Prima ho pensato di aver visto male: impossibile che mio figlio, sempre così ordinato, portasse degli stracci. Invece no, erano calzini che sembravano usciti da un bombardamento — buchi da tutte le parti, i talloni consumati, le dita che facevano capolino come turisti indiscreti. Mi sono bloccata, ho persino lasciato cadere il cucchiaio. Beatrice, accorgendosi del mio sguardo, ha ridacchiato: “Maria, è colpa sua, gliel’ho detto mille volte di comprarne di nuovi”. Sua? E tu, cara, dov’eri intanto?

A cena non riuscivo a concentrarmi. Guardavo Marco che divorava la pasta al forno e pensavo: come si è ridotto così? Non l’ho cresciuto per farlo sembrare un barbone. E Beatrice chiacchierava del lavoro come se niente fosse. Alla fine non ho resistito: “Marco, ma questi calzini? Ma che figura!” Lui si è scusato con una scrollata di spalle: “Mamma, sono vecchi, non ho avuto tempo di buttarli”. Non hai avuto tempo? E Beatrice: “Maria, lui sceglie cosa mettersi, mica posso controllare io il suo guardaroba”. Non puoi? E allora chi deve occuparsi del marito, se non la moglie?

Cercavo di trattenermi, ma dentro ribollivo. Dopo cena, mentre Beatrice era in salotto, ho sussurrato a Marco: “Figlio, avete problemi con i soldi? O la lavatrice è rotta?” Lui ha fatto spallucce: “Mamma, non esagerare, è solo pigrizia”. Pigrizia? Ma quei buchi li vedevano anche dallo spazio! Volevo parlare con Beatrice, ma temevo una sua battuta. Allora ho frugato nell’armadio, tirato fuori due paia di calzini nuovi (comprati per il suo compleanno) e glieli ho infilati in tasca: “Tieni, mettili, che mi fanno male gli occhi”. Ha sorriso, ringraziato, ma si capiva che non gliene importava.

Li ho salutati, ma la notte non ho dormito. Continuavo a ripetermi: com’è possibile? Beatrice lavora, certo, è stanca, ma è una scusa? Alla sua età io lavoravo, badavo alla casa, a mio marito e a Marco. E lei non può buttare tre paia di calzini in lavatrice o comprarne di nuovi? Al supermercato costano due euro! O adesso va di moda sembrare scappati da un campo profughi? E pensare che lei è sempre impeccabile, con le unghie fatte e i capelli perfetti, mentre mio figlio sembra un vagabondo. Ma non sono solo calzini, sono un simbolo! Un simbolo del fatto che a lei, pare, non importa nulla di lui.

Il giorno dopo ho chiamato la mia amica Paola per sfogarmi. Mi ha ascoltato e ha detto: “Maria, non sono affari tuoi. Sono adulti, si arrangino”. Adulti? E allora chi ci pensa, se Marco gira conciato così? Paola ha aggiunto: “Forse Beatrice non crede sia un suo dovere. Le donne oggi sono diverse”. Diverse? Io non ho nulla contro il lavoro o la carriera, ma la minima cura per il marito è davvero fuori moda? Non pretendo che faccia lasagne ogni giorno, ma rammendare due calzini no?

Ho deciso di parlarle. L’ho invitata a prendere un caffè, senza Marco. Le ho detto: “Beatrice, scusa se mi intrometto, ma come fai a lasciare che Marco vada in giro così? È tuo marito”. Lei ha storto il naso: “Maria, è grande, sceglie da solo cosa indossare. Gliel’ho ripetuto mille volte”. Grande? E tu non vedi che sembra uno straccione? Ho accennato al fatto che una moglie dovrebbe badare a queste cose, ma lei ha sorriso: “Siamo alla pari, non faccio da guardarobiera”. Alla pari? Questo è quando uno sembra un mendicante e l’altro una principessa?

Ora non so che fare. Una parte di me vorrebbe comprare a Marco una valigia di calzini e lavarli io, per evitare che si vergogni. Ma l’altra capisce che non spetta a me. Dovrebbero pensarci loro. Ho proposto a Marco: “Se avete problemi con i soldi, dimmelo”. Lui ha riso: “Mamma, stai tranquilla, sono solo pigro”. Pigro? E allora butta quelli vecchi subito! Non so come far capire a Beatrice. Forse crede davvero che non sia suo compito. Ma a me fa male vedere mio figlio così. È come se avessi fallito nel fargli capire l’importanza di curarsi.

Per ora cerco di non insistere. Li invito a cena, infilo a Marco calzini nuovi, ma dentro sono una tempesta. Non sono solo buchi, sono la prova che qualcosa non va. E non so come aggiustarla senza rovinare i rapporti. Ma una cosa è certa: mio figlio merita di meglio che mostrare le dita dei piedi al mondo. E Beatrice potrebbe riflettere sul significato di essere una moglie. O devo pensarci io anche per lei?

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