Cane Pastore Legato a un Albero in Modo da Non Potersi Né Sedere Né Sdraiare

**Diario di un uomo che ha ritrovato la speranza**
Il sole di luglio batteva su Verona come un martello rovente, sciogliendo ogni traccia di freschezza nellaria. Il tremolio del calore distorceva lorizzonte, e anche lombra degli alberi sembrava un inganno, incapace di offrire vero riparo. In quella torrida giornata, Giulia, come al solito, si affrettava verso il lavoro, ma oggi decise di prendere una scorciatoia attraverso un boschetto vicino alla vecchia strada provinciale.
Camminava spedita, cercando di sfruttare ogni angolo dombra, quando un suono la fece fermare. Non era il canto di un uccello né il fruscio delle foglie. Era qualcosa di vivo, disperatoun lamento soffocato, come una richiesta daiuto uscita da un incubo. Il cuore di Giulia accelerò. Ascoltò meglio. Il suono si ripeté: debole, affannoso, carico di terrore.
Alzò lo sguardo. E allora lo vide.
A quasi due metri daltezza, legato al collo con una corta corda a un robusto ulivo, cera un cane. Un pastore maremmano, massiccio e dal pelo lungo, penzolava come un condannato ai tempi dellInquisizione. Le zampe sfioravano appena il terreno. La lingua, secca e scura, penzolava. Gli occhigrandi, lucidi, pieni di dolorela fissavano, supplicando. Moscerini gli ronzavano intorno al muso, e il pelo era incrostato di sudore e paura.
«Dio mio chi ha fatto questo?» esclamò Giulia.
Si precipitò verso di lui, il cuore in gola. Il cane cercò di abbaiare, ma dalla gola uscì solo un rantolo rocosegno che aveva urlato così a lungo da perdere la voce.
Giulia prese il telefono e chiamò il servizio di soccorso animali. La risposta fu quella che temeva: non sarebbero arrivati prima di unora. Unora. Con quel caldo, era una condanna a morte.
«No. Non posso aspettare», sussurrò, cercando una soluzione.
Vide un ramo secco a terra. Lo afferrò e cercò di allentare il nodo. La corda era stretta, impregnata di sudore e bava. Colpì, spinse, cercò di sollevarla, finchédopo lunghi, interminabili minutiil nodo cedette.
La corda si allentò di colpo. Il cane cadde a terra come un sacco, ansimando e tremando.
«Tranquillo, sei al sicuro», sussurrò Giulia, inginocchiandosi accanto a lui.
Passò un minuto. Poi un altro. E finalmente, lentamente, il cane si alzò. Barcollò, ma rimase in piedi. I suoi occhi, per la prima volta in chissà quanto tempo, si illuminarono. Si avvicinò a Giulia e le leccò le dita con gratitudine.
«Come ti chiami, piccolo eroe?» chiese, controllando il collare.
Niente targhette, niente numeri. Solo pelle irritata e i segni della corda.
Due ore dopo, al rifugio Cuore Verde, arrivò un nuovo ospite. Il cane, ancora tremante, ma già al sicuro su una coperta morbida, conquistò subito il cuore dei volontari.
«Dobbiamo dargli un nome», disse una ragazza, accarezzandolo. «Qualcosa di forte. Qualcosa che ricordi la natura.»
«Orso», propose un volontario più anziano. «Come il protettore dei boschi.»
Il veterinario, Luca, lo visitò con attenzione. «Guardatelo», disse, scuotendo la testa. «È un cane di casa. Pelo curato, denti puliti, muscolatura tonica. Qualcuno lo amava. Lo nutriva, lo portava a spasso, lo curava. Comè finito legato a un albero come un criminale?»
Le foto di Orsogli occhi spenti, i segni della corda sul colloinondarono i social.
«Chi è capace di una cosa del genere?»
«Non è crudeltàè tortura!»
«Se trovate il colpevole, pagherà!»
«Povero angelo quei occhi ti trafiggono lanima»
I post divennero virali. Migliaia di condivisioni, centinaia di chiamate al rifugio, offerte daiuto. La gente chiedeva giustizia.
Intanto, a centinaia di chilometri da Verona, a Rimini, la famiglia Rossi era in vacanza. Marco e Laura erano sdraiati al sole, ascoltando le onde. Il loro figlio, Matteo, costruiva castelli di sabbia.
«Pensi che Leo stia bene?» chiese Laura, finendo il caffè.
«Certo», sorrise Marco. «Zio Franco è affidabile. Leo lo adora.»
Ma non era così.
Franco, il vicino, amava davvero Leo. Il cane spesso andava da lui, si sdraiava ai suoi piedi, riceveva bocconcini. Luomo aveva accettato volentieri di badargli mentre i Rossi erano via.
Ma quella sera, tutto andò storto.
Leo, come sempre, uscì per la passeggiata. Una gatta attraversò di corsa il cortile. Il cane partì come un fulmine, strappando il guinzaglio dalle mani di Franco.
«Leo! Fermo! Vieni qui!» urlò luomo, correndo dietro di lui.
Ma Leo era giovane, forte, ladrenalina lo spingeva avanti. Attraversò il cortile, sbucò in strada, scomparve.
Franco cercò fino a notte. Chiese in giro, controllò ogni vicolo, chiamò i canili. Niente.
«Cosa dirò a Marco?» mormorò, sedendosi su una panchina. «Ho perso il loro bambino»
Tre giorni di ricerche. Volantini. Nulla.
Intanto Leo vagava. Un cane di casa, abituato a coccole e pasti regolari, si indebolì. La museruola che Franco gli aveva messo gli impediva di bere dalle pozzanghere. Aveva fame, sete, paura.
E qualcunonon si seppe mai chilo legò a quellulivo.
Forse un buon samaritano che pensava di aiutare. O un sadico. O solo un indifferente che voleva toglierselo dai piedi.
Il mistero rimase.
Quando Marco tornò e scoprì della scomparsa, impallidì.
«Come?! Dove avete cercato? Perché non avete chiamato i carabinieri?!»
Franco piangeva. Laura singhiozzava. Matteo chiese:
«Mamma, dovè Leo? Perché non è qui?»
Nessuna risposta.
Le ricerche ripresero. Marco controllò ogni canile.
Poi, un giorno, vide una foto nella pagina del rifugio.
Il cuore gli si fermò.
Era Leo. Ma non il Leo che conosceva. Era una versione spettrale di luimagro, gli occhi spenti, i segni sul collo. La didascalia:
«Orso cerca una casa. Trovato legato a un albero. Aiutatelo a credere negli uomini di nuovo.»
«Laura!» urlò Marco. «È lui! È Leo!»
Mezzora dopo, era alla porta del rifugio.
«Dite che è il vostro cane?» chiese la responsabile, sospettosa. «Comè finito legato in un bosco?»
«Capisco come sembri», disse Marco, tremante. «Ma guardate.»
Tirò fuori il telefono.
Foto dopo foto: Leo da cucciolo, Leo a scuola di addestramento, Leo col cappellino di Natale, Leo con Matteo sullaltalena, Leo in vacanza.
«Leo!» chiamò Marco.
Il cane nel recinto sobbalzò. Riconobbe quella

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