**Diario personale, 15 Luglio**
Il sole di luglio batteva su Milano come un martello rovente, sciogliendo ogni traccia di freschezza nellaria. Il respiro della città sembrava soffocare sotto il peso del caldo. Persino lombra degli alberi, di solito un rifugio, sembrava un ingannostrisce sottili di freddo che non bastavano a proteggere dal torrido pomeriggio. In quella giornata afosa, Sofia, come ogni giorno, si affrettava verso il lavoro, ma oggi decise di prendere una scorciatoiaattraverso un piccolo bosco che costeggiava la vecchia strada provinciale.
Camminava veloce, cercando riparo sotto le rare chiome, quando un suono la fermò. Non era un canto duccello né il fruscio delle foglie. Era qualcosa di vivo, soffocato, disperatoun guaito flebile, come una richiesta daiuto uscita da un incubo. Sofia si bloccò. Il cuore le martellava nel petto. Ascoltò. Il suono si ripetédebole, ansimante, carico di disperazione.
Alzò lo sguardo. E allora lo vide.
A quasi due metri daltezza, legato al collo con una corda corta a una quercia robusta, penzolava un cane grande. Fulvo, con un petto possente e il pelo lungo, era come incatenato allalbero, come in uno spettacolo medievale. Le zampe sfioravano appena il terreno. La lingua, secca e scura, penzolava. Gli occhienormi, umidi, pieni di dolore e terroreimploravano salvezza. Moscerini gli ronzavano attorno al muso, e il pelo era arruffato, bagnato di sudore e paura.
«Dio chi ha fatto questo a te?» esclamò Sofia, correndo verso di lui. Il cuore le batteva così forte da sembrare sul punto di esploderle. Il cane tentò di abbaiare, ma dalla gola uscì solo un suono roco, straziantesegno che aveva urlato così a lungo da perdere la voce.
Sofia tirò fuori il telefono, le dita tremanti mentre chiamava il servizio di soccorso animali. La risposta fu quella che temeva: non sarebbero arrivati prima di unora. Unora. Con questo caldo, era una condanna a morte.
«No. Non posso aspettare,» sussurrò, guardandosi attorno.
Vide un ramo lungo e secco. Lo afferrò, cercando di allentare il nodo. La corda era stretta, intrisa di sudore e bava. Colpì, spinse, cercò di sollevarlafinché, dopo minuti interminabili, il nodo non cedette.
La corda si allentò di colpo. Il cane crollò a terra come un sacco, ansimando, tutto il corpo che tremava.
«Piano, piano, sei al sicuro,» mormorò Sofia, inginocchiandosi accanto a lui.
Passò un minuto. Poi un altro. E infine, lentamente, il cane si rialzò sulle zampe. Barcollò, ma rimase in piedi. E alloraper la prima volta da tanto tempoi suoi occhi brillarono. Si avvicinò a Sofia, le sfiorò la mano con il muso e le leccò le dita con dolcezza, grato.
«Come ti chiami, eroe mio?» chiese lei, controllando il collare.
Ma non cerano targhette, numeri, contatti. Solo pelle sporca e i segni della corda conficcati nel pelo.
Due ore dopo, al rifugio “Cuore del Bosco”, arrivò un nuovo ospite. Il cane, ancora tremante, ma già al sicuro su una cuccia morbida, bevve acqua e suscitò immediata compassione nei volontari.
«Dobbiamo dargli un nome,» disse una ragazza, accarezzandolo. «Qualcosa di forte. Qualcosa che ricordi il bosco.»
«Orso,» propose un volontario più anziano. «Perché è resistito come un animale selvatico.»
Il veterinario, Marco, lo visitò con attenzione.
«Guardatelo,» disse, scuotendo la testa. «Questo è un cane di famiglia. Pelo curato, denti puliti, muscoli tonici. Non è un randagio. Era amato. Lo nutrivano, lo portavano a spasso, lo curavano. Qualcuno si prendeva davvero cura di lui.»
«Allora come mai è finito legato a un albero come un criminale?» chiese unaltra volontaria, stringendo i pugni.
Le foto di Orsocon gli occhi infossati, i segni della corda sul collo, il corpo tremantediventarono virali in poche ore.
«Chi potrebbe fare una cosa del genere?»
«Non è solo crudeltàè tortura!»
«Se trovate il colpevole, pagherà!»
«Povero ragazzo quei occhi ti trapassano lanima»
I post si spargevano. Migliaia di condivisioni, centinaia di chiamate al rifugio, offerte daiuto e richieste di giustizia.
Ma intanto, a centinaia di chilometri da Milano, a Palermo, la famiglia Bianchi era in vacanza. Luca e Giulia prendevano il sole, ascoltando il rumore delle onde. Il loro figlio, Matteo, costruiva un castello di sabbia.
«Secondo te, come sta il nostro Leone?» chiese Giulia, finendo il caffè.
«Non preoccuparti,» sorrise Luca. «Giorgio è una persona affidabile. Leone lo adora. Sono come due vecchi amici.»
Ma non era così.
Giorgio, il vicino, amava davvero Leone. Il cane andava spesso da lui, si sdraiava ai suoi piedi, riceveva bocconcini. Luomo aveva accettato volentieri di badargli mentre la famiglia era via.
Ma quella sera fatale, tutto andò storto.
Leone, come al solito, uscì per la passeggiata. Allimprovvisoun movimento fulmineo. Un gatto attraversò il cortile. Il cane scattò con tale forza che il guinzaglio scivolò dalle mani delluomo anziano.
«Leone! Fermo! Vieni qui!» gridò Giorgio, lanciandosi allinseguimento.
Ma il cane era giovane, forte, ladrenalina lo spingeva avanti. Attraversò il cortile, sbucò in una strada trafficata, scomparendo dietro un angolo.
Giorgio cercò fino a notte fonda. Chiese ai passanti, controllò i cortili, chiamò i rifugi. Leone era sparito.
«Cosa dirò a Luca?» sussurrò, seduto su una panchina. «Come ho potuto perdere il loro tesoro»
Tre giorni di ricerche. Volantini appesi. Chiamate ai veterinari. Nessuna traccia.
Intanto, Leone vagava per la città. Un cane abituato al calore, alle carezze, ai pasti regolari, si indebolì rapidamente. La museruola che Giorgio gli aveva messo per sicurezza gli impediva di bere dalle pozzanghere. Aveva fame. Soffriva il caldo. Aveva paura delle persone.
E qualcunomai scoperto chilo legò alla quercia.
Forse era qualcuno che pensava di aiutare”mettere al sicuro” un cane randagio. Forse un sadico che godeva della sua sofferenza. O semplicemente un passante indifferente che voleva “togliere un fastidio”.
Un mistero irrisolto.
Una settimana dopo, Luca tornò. Quando seppe che Leone era scomparso, impallidì.
«Come?!» urlò. «Dove avete cercato? Perché non avete chiamato la polizia?!»
Giorgio piangeva. Giulia singhiozzava. Matteo chiese:
«Mamma, dovè Leone? Perché non è venuto a salutarci?»
Nessuna risposta.
Le ricerche rip





