La macchina si ferma davanti a una casa ai margini del borgo di Montepiano, quando il cielo inizia a tingersi di un azzurro tenue ma non è ancora del tutto scuro. Il motore rutta, poi si spegne, e il silenzio avvolge il luogo. Solo il vento fa volare le foglie secche nel cortile e sussurra tra lerba alta.
Che spettacolo, dice Alessandro, tirando fuori dallo sportello del bagagliaio lo zaino. Un vero resort per chi ha le nervi di ferro.
Per chi ha superato i quarantanni e non può permettersi una vera località balneare, aggiunge Chiara, scrucchiandosi gli occhi verso la casa. Guarda un po questo posto.
La dimora sembra inclinata, ma se ci si avvicina le pareti sono dritte. Il tetto è coperto da muschio in alcuni tratti, la finestra della soffitta è sbarrata dallinterno, una delle finestre del piano terra non ha vetro e la vecchia pellicola di plastica che laveva coperta è ormai incrinata e sbatte al vento.
Che nostalgia, commenta Matteo, chiudendo la portiera dellauto. Ti ricordi quando a scuola correvamo qui? Di giorno avevamo paura di avvicinarci, la sera sembrava che qualcuno stesse a guardare dalla finestra.
È solo la tua paura, ribatte Giorgia, sistemandosi la sciarpa. Io non sono mai entrata. La mamma mi portava a casa prima che calasse buio.
Alessandro sorride, ha quarantadue anni. La schiena gli brucia per il viaggio, le orecchie ronzano, e pensa a quando, tanti anni fa, avrebbero potuto arrivare a piedi da unaltra parte del paese, ridere, portare semi di girasole e bibite economiche, senza lamentarsi della schiena.
Allora, batte le mani, facciamo il giro della tenuta. Chi è il nostro sensitivo?
Tu, dice Chiara. Sei stato tu a proporre luscita.
In effetti è stato lui a lanciare lidea. Quando nel gruppo di messaggi compare la proposta di fare un weekend diverso, lui invia per scherzo una foto di una vecchia casa con la didascalia Andiamo a caccia di fantasmi. La foto proviene da un gruppo del paese, dove qualcuno diceva che la casa è vuota da anni. Lo scherzo piace a tutti, poi, inaspettatamente, si rivela lunica opzione reale. Le strutture turistiche costano una fortuna, le case vacanza sono occupate, e un lontano parente di Matteo, tramite una terza mano, dice che la casa è legalmente senza proprietario, abbandonata, e nessuno si opporrà se vi fermano a dormire.
Si avvicinano. Dalla porta si sente umidità e legno vecchio. Non ci sono chiavi, il lucchetto è stato forzato da tempo. Alessandro spinge la porta con la spalla; essa cigola a malapena, lasciando cadere polvere dal interno.
Signore, sussurra Giorgia. È come se invadessimo la vita di qualcun altro.
Dentro è fresco, laria odora di legno marcio, polvere e intonaco vecchio. Alessandro inspira profondamente, la gola si stringe. Il pavimento scricchiola sotto i piedi, ma regge. Nella hall una giacca logora è appesa a un chiodo, sotto ci sono chiavi arrugginite e una coppia di scarpe di dimensioni diverse.
Ecco latmosfera, commenta Matteo.
Entrano nella grande stanza. Le pareti sono scrostate, in alcuni punti spuntano vecchi motivi floreali. In un angolo cè un divano con il materasso schiacciato, coperto da un telo grigio di polvere. Accanto, un tavolo con fogli ingialliti e arricciati.
Chiara tocca la finestra. Il legno è ruvido, la vernice si è staccata.
Se ci ammaliamo tutti qui, ti uccido, dice Alessandro a Chiara, con la consueta ironia. Ho una felpa di pronto soccorso e, per inciso, non dormiamo in tenda.
Cerca di parlare con leggerezza, ma sente il peso della casa. È solo una vecchia dimora abbandonata, ma perché è nel luogo della loro infanzia sembra più personale.
Si sistemano. Matteo e Giorgia tirano fuori sacchi a pelo e materassi gonfiabili, Chiara estrae da una borsa stoviglie di plastica, un thermos con zuppa, panini e formaggio. Alessandro controlla le prese elettriche e trova una funzionante; accende il caricatore e una lampadina sul soffitto si accende di una luce gialla fioca.
Oh, civiltà, esclama Giorgia.
Mangiano attorno al tavolo e la chiacchiera scivola su lavoro, figli, mutui, notizie. Le risate sono un po troppo forti, come se volessero coprire il silenzio della casa.
Dunque, chi ha abitato qui? chiede Chiara, mordendo un panino. Io ricordo solo che ci parlavano di un maniaco.
Non era un maniaco, risponde Matteo. Un uomo viveva solo. La moglie è morta, il figlio è sparito, e poi è impazzito.
È una leggenda o è vero? interroga Alessandro.
Me lo raccontava mio padre. Non entrate, il padrone è cattivo, morde tutti. Poi dissero che era scomparso fa una smorfia Matteo. O forse si è tolto la vita. È una storia brutta.
Giorgia abbassa lo sguardo, il ricordo della madre morta le è ancora doloroso. Alessandro sa che i funerali sono stati difficili per lei; nei messaggi privati hanno condiviso piccole cose per non crollare.
Bene, propone, apriamo ufficialmente il nostro festival dellorrore. Dopo cena, facciamo il tour: soffitta, cantina, stanza con scritte sanguinolente. Chi grida per primo lava i piatti.
Chiara sbuffa.
Sempre a scappare con scuse.
Finita la cena, prendono le torce e iniziano a girare per la casa. Alessandro è il primo. Il corridoio è più buio, la luce non arriva. Le pareti hanno vernice che si stacca, uno specchio storto riflette le loro sagome. Sul pavimento un vecchio tappeto è logoro a macchie.
Qui si potrebbe girare un film, sussurra Giorgia.
Già lo stiamo facendo, risponde Matteo, alzando il telefono.
Le stanze sono tutte uguali: armadi vuoti, muri spogli, vecchie riviste sparse, piatti rotti. In una stanza appende un calendario sbiadito con il mare; lanno risale a ventanni fa.
Immaginate, dice Alessandro, guardava quel mare tutti i giorni e non è mai partito.
Chiara lo osserva.
Come noi, commenta.
Alessandro alza le spalle. Un tempo sognava di lasciare il paese, poi la città, poi lItalia. Ora è rimasto in un centro amministrativo, lavora in un ufficio, conta i soldi altrui. Spesso sente che la sua vita è un calendario vecchio che nessuno gira.
Trovano la soffitta non subito. Una scala nascosta dietro una porta stretta conduce su dei gradini di legno che scricchiolano ma reggono. In alto è buio, odore di polvere e umidità.
Attenti, avverte Alessandro. Se qualcosa cade, non è colpa mia.
La soffitta è bassa, con il tetto inclinato. Tra le travi ci sono ragnatele, scatole, valigie vecchie, tavole.
Ecco, dice Matteo. Un cimitero di cose dimenticate.
Chiara si avvicina a una scatola, si china.
Ci sono libri, quaderni, dice. E quaderni.
Alessandro illumina con la torcia. Dentro ci sono libri consumati, quaderni scolastici, un grosso quaderno a quadretti legato con spago.
Abbiamo trovato un tesoro, esclama.
Prende il quaderno; lo slegano. Sulla copertina, con penna a sfera, è scritto: Diario. 1998. La calligrafia è irregolare, quasi infantile, ma le lettere sono grandi.
Ora comincia, dice Giorgia.
È solo un quaderno, non ti spaventare, ribatte Alessandro, sentendo al contempo un nodo in petto.
Scendono nella grande stanza, si siedono intorno al tavolo; la lampada gialla illumina un cerchio, poi il buio avvolge il resto. Fuori è ormai notte, il vento ulula, una tavola non fissata sbatte.
Alessandro apre il diario. Nella prima pagina cè il nome: Marco. Il cognome è sbiadito.
Leggi, incita Matteo.
Alessandro inizia a leggere ad alta voce:
«10 marzo. Oggi ho litigato di nuovo con papà. Mi dice che non servirò a nulla. Gli ho risposto che me ne vado quando avrò diciotto anni. Ha riso. Ha detto che non avrò dove andare. Non so più cosa fare. Sembra che sia intrappolato qui per sempre».
Il silenzio cala nella stanza; anche il vento sembra fermarsi per un attimo.
Accidenti, commenta Matteo. Direttamente dagli anni 90.
Prosegui, sussurra Giorgia.
Alessandro sfoglia una pagina; la scrittura è confusa, le parole a volte si mescolano.
«15 marzo. La mamma piangeva di notte. Lho sentita attraverso il muro. Ho voluto entrare, ma non lho fatto. Dopo ha detto che tutto è ok, ma io so che non lo è. Papà è tornato ubriaco, ha urlato, ha lanciato oggetti. Oggi ha rotto una tazza contro il muro. I frammenti sono ancora sul pavimento».
Chiara rabbrividisce. Alessandro nota che lei stringe il bordo del tavolo; ricorda che anche lei ha avuto un padre violento, ma ne parla poco.
Basta, propone. Non siamo qui per una terapia.
Aspetta, insiste Giorgia. Un po ancora.
Alessandro è combattuto tra curiosità e senso di colpa, ma il diario è davanti a lui e le parole lo attraggono.
Continua a leggere: Marco vuole andare in città, studiare informatica, ma il padre insiste che tutti lavorino in fabbrica. La madre piange, il fratellino è in ospedale, e il padre lo incolpa a lui.
È la nostra storia, osserva Matteo. Non alla lettera, ma
Alessandro annuisce. Ognuno di loro vive situazioni simili: genitori che scaricano i propri rimpianti, figli che sognano di fuggire, ma restano.
Il vento fuori si intensifica; una porta sbatte in corridoio. Giorgia ride nervosamente.
È la casa che parla, scherza Matteo. Non gli piace che leggiamo i suoi segreti.
Che spiritoso, brontola Chiara.
Alessandro gira unaltra pagina: la calligrafia è più marcata, come se lautore avesse fretta.
«24 aprile. I medici dicono che il fratellino non starà meglio. La mamma è rimasta in bagno per venti minuti. Papà dice che è colpa mia. Se non fossi nato, forse le cose sarebbero diverse. So che è una bugia, ma fa male».
Alessandro sente una stretta alla gola. Non vuole più leggere ad alta voce, ma le parole rimbalzano nella sua mente: colpa invisibile che lo accompagna.
Che ne dice?, chiede Giorgia. Che cè dopo?
Niente di speciale, risponde Alessandro. Solo cose normali.
Dammelo, chiede Chiara, avvicinandosi al quaderno.
Lui esita, vuole tenere le parole per sé, ma alla fine glielo passa.
Chiara comincia a leggere, talvolta corrugando la fronte. Giorgia spiazza il suo braccio sopra il tavolo, Matteo gira per la stanza, guarda il corridoio. Allimprovviso, Matteo annuncia:
«Nella camera cè ancora il letto, con il materasso. Immaginate chi ci abbia dormito».
Chiara chiude bruscamente il quaderno.
Basta, dice. È tutto per stasera.
Che cè? chiede Matteo.
Niente, solo cerca le parole, poi lo ripone sul tavolo. Non voglio continuare, è troppo triste.
Giorgia si alza.
Vado a preparare il tè, ho freddo, dice.
Raggiunge la cucina, se così può chiamare, dove trovano una vecchia piastrella ancora funzionante. Portano acqua, il bollitore fa il suo rumore. Alessandro la osserva, le sue spalle tremano leggermente.
Come va? chiede.
Bene, solo tutto è così familiare, come se leggessi la mia vita con un nome diverso, risponde.
Lui ricorda il giorno in cui suo padre, furioso, lanciò un portariviste contro il muro; raccoglieva i frammenti pensando che, se avesse studiato di più, non sarebbe successo.
Bevono tè su sgabelli vecchi, cercano di parlare di cose leggere, ma la casa li ha avvolti nella sua storia e non è facile scrollarsela di dosso.
Facciamo una sessione notturna per parlare con lo spirito di Marco, propone Matteo. Vediamo cosa ci dice.
Sei pazzo, dice Chiara. Non ci sono spiriti.
Allora che cè? ribatte Matteo. Solo una casa vecchia? Allora perché mi sembra così opprimente?
Perché sei sensibile, commenta Giorgia. E perché leggiamo il diario di un altro.
Alessandro rimane in silenzio, pensando al suo vecchio diario dei tempi del liceo, poi delluniversità, poi lasciato in un cassetto quando si è sposato e ha avuto un figlio. A volte lo ricorda, immaginando cosa sarebbe successo se qualcuno lavesse trovato tra ventanni.
La notte cade in fretta. Il vento diventa una tempesta, i rami sbattono contro il tetto, una tavola non fissata batte più forte. Dentro la casa fa più freddo, nonostante il piccolo riscaldatore che Matteo ha portato.
Stendono i sacchi a pelo nella grande stanza. Chiara insiste che tutti dormano insieme, non separati.
Non voglio stare sola in questo buco, dice. Potete considerarmi una codarda.
Anchio, aggiunge Giorgia.
Alessandro si appoggia al muro. Il materasso scricchiola sotto di lui. Spengono la lampada, lasciano accesa solo la torcia puntata al soffitto; la luce è fioca, ma impedisce alloscurità di inghiottire la stanza.
Allora, raccontiamo altre storie spaventose? dice Matteo, sistemandosi.
Ne abbiamo già letta una, risponde Giorgia.
Parlano ancora un po, poi la stanchezza prende il sopravvento. Alessandro sente il corpo appesantirsi, la mente diventare densa. Dal corridoio, una porta sbatte; entrambi sobbalzano.
È il vento, dice Alessandro. Probabilmente.
O forse Matteo è andato in bagno, ipotizza Giorgia.
Restano un attimo a sentire il fruscio del vento, il cigolio della casa, come se stesse dormendo.
Scendiamo, dice Alessandro. Altrimenti geliamo.
Prendi il diario, chiede Giorgia. Non voglio che resti qui.
Perché? chiede lui.
Non lo so, è solo non voglio che rimanga solo, risponde. Come se lo avessimo lasciato in balia.
Alessandro esita; prendere un quaderno altrui sembra quasi un furto, ma lasciarlo lì, tra polvere e ragnatele, dopo aver letto quelle pagine, è altrettanto strano.
Va bene, lo porto via, poi decidiamo al mattino cosa farne, risponde.
ChiaraAlessandro chiude lo zaino, stringe il diario al petto e, con un ultimo sguardo alla casa che ha appena custodito, si avvia verso lauto, pronto a portare via quel frammento di vita.





