La casa, la rabbia
— Che intendi fare? Stai davvero per darle la casa? E io? Che ne sarà di me e dei bambini? Sarò costretta a dormire per strada? — Caterina balzò dal sofà, il viso arrossato dall’indignazione, strappando le tende con le mani tremanti.
— Catterina, amor mio, non gridare. Non sei per strada. Ti aiuterò a trovare un appartamento, pagherò l’acconto — Enzo provò a parlare dolcemente, ma la figlia non lo ascoltava.
— L’acconto! Ma sai quanto costa una casa adesso? Con che percentuali di mutuo? E Marco, lo lascerai con l’intera casa? Gratuitamente? Per via degli occhi che ha?
— Lui è mio figlio, Catterina.
— E io non sono tua figlia? — La voce di Caterina si spezzò. — Per vent’anni ho contato qualcosa per te, e adesso… adesso non sono niente?
Enzo sospirò, esausto, e si lasciò cadere sul divano. Quella discussione era la terza della settimana. Sempre lo stesso: urla, lacrime, accuse.
— Catterina, ascoltami. Marco è sposato con due figli, e un terzo in arrivo. Tu e Stefano avete un’appartamento. Per questo ti ho messa da parte…
— In affitto! — lo interruppe, il tono abbastanza alto da far sobbalzare Giulia, la piccola figlia, che stava disegnando in un angolo.
— Sì, ma non è un monolocale. E comunque, non ti abbandono. Solo… la casa… — L’uomo iniziò a farsi male alla testa. — L’ho costruita io, tanti anni fa, quando Marco era solo un neonato. Capii allora che doveva andare a lui. È tradizione.
Caterina si alzò in piedi, la gonna svolazzante come un pavone rabbioso.
— Tradizione, tradizione! E cosa ne dici della mia tradizione? Quando eri malato, chi correva da te ogni semana? Chi ti cambiava i bendaggi, faceva il brodo? Era mezza Roma, o forse lui, a Mosca, che lavorava?
— Non è stata solo colpa sua — mugugnò Enzo. — Marco è partito da qui per sostenere la famiglia. Tu sei viva nel cuore di Roma, non ti ha mai portata via.
— Hai ragione, papà! — rise amaramente. — Però lui non ha mai portato niente a casa. Solo promesse.
Giulia, spaventata, si nascose dietro al divano, fissando madre e padre.
— Mamma, che ti succede?
Caterina si girò di scatto, alzando un tono meno violento.
— Torna nella tua stanza, Giulia. Gli adulti hanno da dire cose grandi.
La bambina obbedì, ma con gli occhi pieni di lacrime. Caterina si sedette di nuovo, stringendosi le ginocchia al petto.
— Capisci una volta, papà? Tu hai sempre messo Marco davanti a me. A lui il meglio, a me quello che avanzava. Se non vuoi dividerla bene, me la prendo in tribunale. Non pensare di lasciare fuori la metà mia!
Enzo si irrigidì. Ancora non le minacce. Ancora non il tribunale.
— Catterina, non importa il tribunale. Si potrebbe anche dividere. Perché lui ha firmato una donazione…
— L’ho sentito con le mie orecchie! Marco e te avete già firmato. Mi date solo le briciole!
L’uomo non disse nulla. Un mese prima aveva firmato l’atto, come richiesto dal figlio. Per semplificare. Per evitare inutili discussioni.
— Io lo considero giusto — biascicò.
— Giusto? — urlò lei, strappando un cuscino e lanciandolo al padre. — Io non sono mica magica! Sto morendo qui! E tu preferisci un cane fatto di legno a me!
Uscì di casa con un calcio alla porta, tirando per mano Giulia. La ragazza, con le guance umide, si voltò a salutare il nonno.
— Non arrabbiarti, babbo. Lei è nervosa, non ti vuole male.
Enzo non riuscì nemmeno a sorridere. In quel momento capì, con inaudita violenza, che aveva sbagliato. Non aveva visto Caterina. Non aveva visto la sua rabbia, il suo dolore, il suo desiderio di essere amata come suo figlio.
Un SMS lo distolse dai pensieri. Era Marco.
— Ciao babbo! Ci siamo quasi. Lenka sta caricando le valigie. I bambini sono impazienti.
— Bene, figlio — riuscì a dire, con voce spezzata. — Sono contento.
— Catterina è stata da voi?
— Sì. Ha reagito male.
— Mi ero aspettato peggio — disse Marco, con quel tono presuntuoso che detestava. — Non è mai riuscita a digerire di essere seconda.
— Marco, ti supplico — rispose Enzo. — Ha avuto un periodo difficile. Ha problemi con Stefano…
— E chi non ne ha? Io lavoro, sì, non sono ricco, ma a lei cosa le importa? Sciona in biblioteca tre giorni a settimana e si dole!
— Marco…
— Papà, non farmi perdere tempo. Tutto va bene. Ci siamo noi qui.
Enzo mise giù, scoprendo le mani. Poteva sentirle tremare. Era stanissimo. Poco dopo, Caterina chiamò.
— Babbo… — disse con voce bassa. — Mi dispiace per prima. Non volevo gridare.
— Lo so, cara.
— Ma non capisci. Non vuole darmi la casa, vuole tenerla lui. Mi sento esclusa. Mi sento… spazzatura.
— Non sei spazzatura — disse lui, con voce rotta. — Ti voglio bene.
— Non lo sai. Ti ho visto, babbo. Mi guardi e pensi: “Era solo mia figlia”.
— Caterina…
— Addio, babbo. — E il telefono si spense.
Nei giorni seguenti, la casa si rianimò. Marco e sua moglie, Lena, portarono i loro tre figli, un caos urlante di bambini e spifferi. Caterina non tornò mai. Passava solo ogni tanto, con Giulia, per salutare. Ma il cuore di Enzo moriva un po’ alla volta.
Poi, una sera, mentre Lena preparava la cena e Marco si嚣ava di una lavatrice rotta, Enzo andò in camera sua. Tirò fuori un foglio dalla cassetta. Recitava “Gratuitamente trasferito a Marco”.
— Babbo — disse sua nipote, entrando a sorpresa. — Posso dormire con te stanotte?
— Certo, tesoro — rispose, abbracciandola. Giulia puzzava di benzina e lacrime. — Perché?
— Non mi sento al sicuro. Nella casa di mamma, Stefano urla sempre. Anche con me.
Enzo non riuscì a parlare. Solo un abbraccio lungo, spezzato da un singhiozzo.
L’indomani, rinunciò al documento. Lo strappò. Mandò un messaggio a Caterina.
— Vorrei venire a casa tua. Possiamo parlare.
Lei non rispose per ore. Ma lui insistette. Alla fine, si incontrarono. Seduti in un bar tranquillo, lei lo guardò negli occhi.
— La casa — disse, con un filo di voce. — Ti chiedo di non darla a Marco. Puoi dividerla? Venderla? Mogliamo due appartamenti.
— Per te, e per Marco?
— Sì. Non chiedo altro. Solo di non sentirmi meno di lui.
Pianse, lui le prese la mano. E in quell’attimo, Enzo capì che non era più la casa a contare, ma l’amore. Anche troppo tardi.
Due anni dopo, Enzo sedeva su una panchina a Capri. Marco, Lena e i bambini esercitavano calcio sull’erba. Caterina, con Giulia, leggeva a voce alta. La casa era andata? Vada pure, pensò. Era sua figlia, adesso. Era Giulia. Era Caterina. Era il suo cuore.





