Lautobus scarica Alessandra Neri davanti al cancello di una casa di riposo a Ostia, intorno alle otto e venti.
La suoneria sul telefono di mia nuora ha cambiato i miei propositi di aiutare la giovane famiglia a trovare
Non voleva, ma lo ha fatto
Vasilisa non aveva mai imparato a fumare, ma era convinta che la sigaretta l’aiutasse a calmare i nervi. Era nel cortile della sua casa e osservava la strada del suo paesino emiliano, immersa in pensieri scuri e preoccupanti. La sua vita, ultimamente, era diventata un susseguirsi di seri problemi.
Viveva da sola nella casa della nonna scomparsa, i genitori a sette chilometri, in un paese vicino. Aveva scelto la sua indipendenza, ventitré anni e un lavoro alle Poste.
Vasilisa spense la sigaretta senza finirla, infastidita:
– Non mi piace fumare, come fa sempre Veronica che ne consuma una dietro l’altra… È stata lei a consigliarmelo per i nervi, ma dubito… – pensava.
Intanto davanti a casa passava l’auto del nuovo maresciallo Anton, appena trasferito dal distretto vicino. Questo lo aveva saputo dalle colleghe postali. Vasilisa seguì con lo sguardo l’auto e rientrò in casa, si stava facendo buio e lei aveva una questione importante e rischiosa da risolvere…
Il giorno prima, nell’ufficio postale, il paese era tranquillo ma le visite dei compaesani non mancavano.
– Domani qui sarà il caos, – sospirò la signora Anna, – oggi è la quiete prima delle pensioni.
Anna lavora alle Poste da quando era ragazza, nessuno ricorda diversamente, e lei ci ride sopra:
– Sono trent’anni che sono qui, tutti mi conoscono e non saprei dove altro lavorare.
– Proprio vero, – sorrideva la giovane Veronica, – la mamma dice che senza di te la posta non funzionerebbe! Qui tutto poggia sulle tue spalle!
– Ma no, ognuno è sostituibile, ormai tra poco vado in pensione…
– Buongiorno! – esclamò entrando Marina, una donna robusta di quarantadue anni. – Che caldo oggi. Sono venuta per una cosa: la mia vicina, la signora Glafira, vuole rinnovare l’abbonamento a una rivista prima che scada, dice che senza lettura il tempo non passa… E noi domani all’alba partiamo per il mare, in Turchia… Non avendo chi può andare per lei, eccomi qui.
– Oh Marina, hai coraggio a volare così lontano, – disse Anna, – la Turchia è bella, vi scalderete al sole!
– Nessuna paura. Il primo giorno pubblico le foto e mostro il bikini nuovo, tutti online! – promise Marina prima di uscire.
– Quanti soldi ci vogliono per portare tutta la famiglia in Turchia, – si stupì Veronica.
– Eh, sono benestanti, Misha fa il contadino, – osservò Anna.
Solo Vasilisa taceva, seduta davanti al computer, pensierosa.
Arrivò poi il maresciallo Anton, allegro:
– Salve a tutte! Aspetto una raccomandata, – si rivolse a Veronica, ma appena vide Vasilisa si fissò su di lei.
– Non pensavo lavorassero ragazze così belle qui… Ma così tristi…
Anna seguì il suo sguardo.
– Ah, Vasilisa… Ha perso il fidanzato poco fa.
– Capisco… – disse Anton abbassando la voce, mentre Veronica comunicò che per lui ancora nulla.
Tre settimane prima, il fidanzato Denis era stato trovato ucciso nella periferia del paese. Si diceva che fosse un giocatore d’azzardo e frequentasse un circolo clandestino; Vasilisa non lo sapeva. La Polizia non aveva trovato i responsabili, ma una sera le si presentarono due ragazzi arrivati dalla città: li aveva già visti, tempo fa, con Denis.
– Il tuo Denis ci doveva una bella cifra.
– Ma è morto! – balbettava Vasilisa.
– I debiti restano, ora tocca a te, – disse Leandro, uno dei due, annunciando una somma altissima: tremila euro.
– Come posso trovare quei soldi?
– Problemi tuoi! Qui attorno ci sono famiglie ricche, pensaci!
– Ma io non so chi abbia soldi…
– Non mentire, lavori alla Posta, conosci tutto e tutti, – tagliò corto Leandro. – Fra due settimane veniamo a prenderli. Se vai dai Carabinieri, finisci male. Ecco qui qualche attrezzo: con queste apri qualunque porta…
Appena uscirono, Vasilisa chiuse a chiave, terrorizzata. Il giorno dopo, nella notte, si decise: sfruttando la partenza di Marina e la mancanza del cane, scavalcò il cancello.
Non sapeva come entrare, ma con gli arnesi datigli da Leandro, aprì la porta. Il cuore le batteva a mille; era complice di criminali.
Cercò denaro a lungo, nella stanza illuminata dal lampione esterno.
– Mio Dio, cosa sto facendo… Voglio vivere, ma che mi ha lasciato Denis… Sei laggiù, e io qui a pagare le tue colpe, – pensava.
Sentiva di dover andare dalle forze dell’ordine, ma temeva Leandro. Trovò solo millecinquecento euro, un anello d’oro e un bracciale di Marina. Vide il portatile sul tavolo e lo prese.
Uscì silenziosa e se ne andò nel buio, tremando; nessuno la vide, né la sentì. Nascondeva tutto in un vecchio baule. Non dormì la notte, il giorno dopo si recò al lavoro con mal di testa, quando a mezzogiorno uscì per la mensa vide Anton.
– Buongiorno, – la sorprese Anton. Lei sobbalzò. Lui sorrise – tranquilla, vengo anch’io in mensa.
– Salve, – sussurrò lei, temendo che sapesse tutto.
– Proprio te aspettavo! – scherzava Anton.
Lei si rasserenò. Da quel giorno pranzarono sempre insieme; a volte la accompagnava a casa, poi finì per restare lì.
In paese le voci circolarono subito:
– Vasilisa si è presa il maresciallo, ci sa fare! – commentava Tamara – Alla mia figlia Tania piaceva Anton, ma questa l’ha anticipata…
– Ma dai, si vede che lui è innamorato di Vasilisa!
Era vero, a molti in paese non piaceva:
– Ha seppellito il fidanzato, ora già un altro!
– Vuoi che soffra per sempre? – replicavano altri.
Vasilisa era agitata: presto sarebbero tornati a riscuotere il “debito”. Temeva soprattutto per Anton; voleva confidarsi, mancavano due giorni e finalmente trovò il coraggio:
– Anton, devo confessarti qualcosa… – cominciò, ma lui rise.
– So che ti amo, sì…
– Non parlo d’amore…
Anton divenne serio, ascoltò: non poteva credere che questa ragazza, dolce e fragile, avesse potuto farlo. Ma subito la giustificò: loro la avevano terrorizzata.
– Beh, Vasilisa, dovrai assumerti la responsabilità. Dove sono le cose rubate? Dovevi rivolgerti subito a me…
Lei le consegnò la borsa, lui la rassicurò. Due sere dopo, qualcuno bussò: erano Leandro e l’amico, pronti a minacciarla.
– Non ho trovato i soldi, ma vi prego di darmi tempo… – supplicava.
Leandro la afferrò con violenza.
– Tempo? O ci paghi, o…
Strappò la maglietta, la minacciava, ma immediatamente lui e il complice finirono a terra: alle loro spalle Anton li aveva immobilizzati con le manette, un altro carabiniere aiutava.
– Ora è finita, – disse Anton, – pagheranno per tutto. – Domani vieni in caserma, risolviamo.
Vasilisa confessò tutto al commissario. Marina appena tornata dal viaggio ricevette indietro i propri averi, mentre Anton chiese di tutelare la privacy di Vasilisa. Tutti in paese pensarono che la colpevole fosse Leandro, e con il complice subirono un lungo carcere: furono loro a uccidere Denis.
Anton chiese a Vasilisa di sposarlo, ci fu un bel matrimonio. L’amore di Anton cancellò i peccati di Vasilisa e guarì le sue ferite più profonde. Ora crescono insieme la piccola Olga. Non voleva, ma lo fece Non sapeva fumare, Ludovica, ma era comunque convinta che la aiutasse a calmare i nervi.
Ricordo ancora quel periodo, come se fosse una vecchia pellicola sbiadita che ancora scorre nella mia mente.
– Non sei una moglie, sei una cameriera. Non hai figli!
— Mamma, Helena verrà a vivere qui. Stiamo ristrutturando casa, è impossibile rimanerci. C’è una stanza libera, perché dovrebbe stare lì in mezzo alla polvere? — disse il marito di Helena.
A lui l’idea non sembrava dar fastidio, ma non si poteva dire lo stesso di sua moglie e di sua madre. La suocera non sopportava la nuora.
— Devo lavorare, non posso restare qui — sussurrò Helena.
La moglie lavorava in smart working e aveva bisogno di tranquillità. Jacek era via tutto il giorno, non era facile convivere sotto lo stesso tetto con la suocera. E Helena si era ormai abituata a stare da sola in casa, senza nessuno che la disturbasse.
Helena guardava la suocera senza trovare le parole. La suocera non la voleva in casa, ma non sembrava esserci altra soluzione. Si sedettero a tavola per la cena.
— Helena, puoi portare la tua famosa insalata? — chiese Jacek.
— Jacopo, non mangiare quella roba piena di schifezze. Te ne ho fatta un’altra, più sana — borbottò la suocera.
Helena cambiò espressione. Suo marito era allergico ai pomodori – possibile che la suocera se ne fosse dimenticata? Quando Jacek era bambino, sua madre non ci aveva mai dato peso. Diceva che non serviva correre dal medico, bastava una pastiglia e tutto passava.
— È allergico. Perché hai messo i pomodori nell’insalata? — domandò Helena.
— Ma che stai dicendo? C’è solo un pomodoro, non gli succederà niente, — rispose la suocera.
— Si sentirà male.
— Helena, basta così. Non è allergico a niente. Sua madre lo conosce meglio di te.
— Sono io sua moglie. Mi occupo di lui.
— Non sei una moglie, sei una serva. Non hai neanche un figlio! Quando ce l’avrai, ne riparleremo.
Helena si alzò di scatto dal tavolo e corse in camera. La suocera sapeva sempre dove far male. Jacek andò subito a consolarla.
— Jacopo, scusa. Meglio che vada dai miei, o magari in ufficio. Non posso vivere con tua madre.
— Lascia che le parli. Vedrai che smetterà!
— No, ci abbiamo già provato mille volte. Non potremo mai andare d’accordo sotto lo stesso tetto.
Furono costretti ad affittare per un po’ un altro appartamento, per evitare l’ennesima lite di famiglia. La suocera ovviamente si lamentò, ma non aveva scelta. E Helena era finalmente felice di avere un marito così comprensivo e affettuoso. Non sei una moglie, sei una domestica. Non hai figli! Mamma, Lucia verrà a stare qui con noi per un po.
La quiete magica di Capodanno
Novembre era grigio, umido e malinconico come sempre. Le giornate sembravano infinite e prive di gioia. Anna si accorse dell’arrivo di dicembre solo grazie alle pubblicità insistenti di spumante, caviale e mandarini.
La città bruciava nella frenetica attesa delle feste: le vetrine dei negozi scintillavano di luminarie. Le persone, stringendo sacchetti con regali, sembravano partecipare a una corsa ad ostacoli. Tutti correvano, si affrettavano, pianificavano qualcosa.
Anna non aspettava niente e non aveva fretta. Semplicemente contava i giorni, aspettando che tutto finisse.
Ha quarant’anni. Già. Il divorzio, firmato tre mesi prima, non le aveva lasciato una ferita, ma una strana, gelida sensazione di vuoto. Non c’erano figli, quindi nessun compromesso o decisione complicata. Due vite che hanno camminato parallele per anni ora si sono lasciate alle spalle.
«Buon anno!» – le auguravano i colleghi, con sguardi brillanti.
Anna rispondeva con un sorriso cortese, in cui non c’era alcuna gioia. Tutto il giorno si ripeteva: «Niente di speciale. Solo dicembre che lascia il posto a gennaio. Un mercoledì che diventa giovedì. Nessun motivo per festeggiare».
I suoi programmi per la sera di San Silvestro erano semplicissimi: una doccia, pigiama vecchio, una tazza di tè alla camomilla, a letto alle dieci come qualsiasi altra notte.
Niente insalata russa, niente “Coppa delle lettere” in TV, niente spumante lasciato in frigo fino all’anno dopo.
***
Ecco che arriva la sera fatidica.
Il tempo, come a prendersi gioco della gioia generale, aveva organizzato una sua festa tutta particolare. Una pioggia gelida si mescolava con la fanghiglia nevosa sulle strade. Il cielo grigio schiacciava la città, e le luci erano fioche e tristi. Era la serata perfetta per nascondersi dal mondo.
Alle nove e mezza Anna era già sotto le coperte, come aveva promesso a se stessa. Dal muro del vicino arrivava una musica leggera. Anna chiuse gli occhi cercando di dormire.
Si svegliò di soprassalto per un rumore insistente, impossibile da ignorare.
Qualcuno bussava forte e metodico alla porta. Non era il solito colpo: sembrava che da quella porta dipendesse la vita di qualcuno. Anna si sedette sul letto, borbottando qualcosa sugli ubriachi e i maleducati. Guardò la sveglia.
23:45…
Si alzò, ma non andò alla porta. Sicuramente avevano sbagliato piano o appartamento. Avrebbero bussato e sarebbero andati via. Però si avvicinò alla finestra, per vedere chi la disturbava, e rimase di stucco.
Fuori era tutto bianco: niente pioggia, niente fango, niente asfalto grigio.
Fiocchi enormi, soffici come quelli dell’infanzia, cadevano lenti e solenni, illuminati dalla luce dei lampioni, ricoprendo la strada di un soffice piumone di neve.
In poche ore il mondo era diventato una fiaba.
***
Il bussare si ripeté, più leggero ma deciso.
Anna, ancora incantata dalla magia fuori, andò ad aprire. Non pensava a chi potesse essere. Era rapita dal momento. Girò la chiave e spalancò la porta.
E lì…
***
C’era il vicino.
Arturo, dell’appartamento di fronte. Non più giovane, con capelli grigi spettinati e occhi pieni di scintille birichine. Indossava una giacca di tweed consunta sopra una sciarpa calda buttata sulle spalle.
In una mano teneva una vecchia valigetta di pelle marrone, nell’altra un grande barattolo di vetro pieno di qualcosa di rosso e invitante.
– Mi scusi se disturbo, – disse con voce roca, – ma ho sentito… cioè, mi è sembrato che da lei ci fosse… una tranquilla quiete di Capodanno. È la più rara delle quieti, e non potevo ignorarla.
Anna lo guardava in silenzio, poi rivolse lo sguardo alla strada dove la neve danzava nel fascio del lampione.
– Arturo, cosa… cosa desidera? – riuscì a dire, sorpresa.
– Le ho portato un regalo, – le porse il barattolo. – È succo di mirtillo rosso. Mia moglie diceva che guarisce ogni malinconia. E poi… – sollevò la valigetta, – vorrei mostrarle qualcosa. Posso entrare? Solo per quindici minuti, fino allo scoccare della mezzanotte.
Anna rimase sul ciglio della porta, incerta. Tutta la sua apatia e la corazza del “niente di speciale” si sgretolò. Prima quella neve incredibile, ora il vicino eccentrico con la valigetta e il succo di mirtillo. La curiosità, che credeva ormai sepolta sotto il pragmatismo e la disillusione, si destò.
– Entri pure, – disse, facendo spazio.
Arturo entrò, scrollandosi la neve dalle scarpe. Non si tolse la giacca, mise la valigetta al centro del salotto buio, illuminato solo dalla luce del lampione fuori dalla finestra.
– Qui… è molto essenziale, – constatò, senza giudizio o pena.
– Non volevo festeggiare, – rispose lei secca.
– Capisco, – annuì Arturo. – Dopo certi cambiamenti nella vita, la festa sembra una provocazione personale. Tutti si rallegrano e tu invece non puoi e non vuoi. Ti domandi se sei tu il problema.
Anna lo fissò sorpresa dalla precisione delle sue parole.
Non avevano mai parlato davvero, tanto meno di cose personali. Solo saluti sulla posta o sul tempo.
– Davvero?
– Sono vecchio, Anna. Ho visto tante persone e tanti dicembre grigi. So che l’inverno non è la fine. È il tempo in cui la terra si riposa per rinascere. Anche le persone devono farlo. Ma non per spegnersi.
Arturo scattò le chiusure della valigetta e la aprì. Dentro, su una fodera di velluto, c’erano… sfere di vetro. Decine. Tutte diverse. Una azzurra, con polvere d’argento che imitava la via lattea. Una rossa, con una minuscola, perfetta rosa dorata al centro. Un’altra completamente trasparente che, inclinata in un certo modo, faceva apparire una luce arcobaleno.
– Cosa sono? – sussurrò Anna, avvicinandosi.
– È la mia collezione, – disse con orgoglio. – Non colleziono francobolli o monete. Colleziono ricordi. Ogni sfera è un istante felice della mia vita. Questa, – prese la sfera blu, – la prima gita in montagna con mia moglie. Guardavamo le stelle e ci promettemmo di restare insieme per sempre. Promessa mantenuta. E questa rossa me l’ha regalata lei al primo anniversario. Diceva che l’amore è una rosa che non avvizzisce.
Anna guardava quelle piccole galassie di vetro, e il suo cuore, che sembrava di ghiaccio, iniziò a sciogliersi. Capì che non erano solo decorazioni. Era una vita piena di senso, calore ed amore.
– Perché lo mostra a me?
– Perché in lei vedo il vuoto, – rispose diretto Arturo. – Voglio che sappia: il vuoto non è una condanna. È uno spazio, dove può nascere qualcosa di nuovo. Guardi.
Prese di tasca una sfera trasparente, senza decori né brillantini.
– Questa è per lei, – le porse la sfera. È la sua prima. Simbolo di questa sera. È il simbolo della porta che ha aperto, del primo fiocco di neve, del miracolo possibile anche nella quiete più grigia.
Anna prese la sfera in mano, fredda e liscia.
Fuori si sentì il rintocco della mezzanotte e le prime urla di «Buon anno nuovo!».
Anna alzò lo sguardo su Arturo. Nei suoi occhi brillava quella scintilla, che ora pareva infinitamente saggia.
– Grazie, – disse sottovoce, e per la prima volta dopo mesi le venne spontaneo un sorriso vero, seppur timido.
– Non c’è di che, – sorrise Arturo. – Ora ha un inizio. Poi deciderà lei quale ricordo mettere dentro quella sfera. Magari una tazza di caffè caldo domani. O una pagina di un libro. O qualcosa di più grande. Chi lo sa? Il nuovo anno è appena arrivato.
Chiuse la valigetta, le augurò buon riposo e se ne andò, lasciandola sola, ma con una quiete diversa.
Non più un silenzio pesante e vuoto, ma una pace fatta di speranza e gioia discreta.
Anna si avvicinò alla finestra, la sfera trasparente tra le dita. La neve continuava a scendere, cancellando le vecchie tracce, coprendo il mondo di bianco. E per la prima volta da tanto tempo, Anna pensò non a ciò che era, ma a ciò che sarebbe stato…
Ed era davvero un autentico miracolo di Capodanno. La quiete del Capodanno Novembre è stato grigio, umido, malinconico come sempre a Milano. I giorni trascorrevano
Diario di Leonardo, 2 giugno Dove metti quel vaso? Ti avevo chiesto di riporlo nellarmadio.
Il marito credeva che non sapessi nulla della sua seconda famiglia e rimase sbalordito quando mi presentai
Quando il rombo del motore della Mercedes svanì tra gli alberi, il silenzio mi avvolse come una coperta pesante.
“La madre di mia moglie è ricca, non dovremo mai lavorare!” si vantava il mio amico.
Sono tornata dal congedo per malattia, e il suo posto in ufficio lha presa la sorella di mio marito.
Avremmo dovuto prepararci prima per la nascita del bambino! Il mio ritorno a casa dallospedale è stato
Ieri Dove lo stai mettendo quel centrotavola? Così copri tutto lantipasto! E, per favore, sposta i calici
Non ti immagini che Natale ho passato, davvero mi sembra ancora surreale! Ti racconto tutto, ti prego
Quando uscii dal bagno, dove ero rimasta immobile sotto la doccia per almeno dieci minuti, insensibile
Ho pagato per la felicità di mio figlio Ci ho pensato a lungo, finché non ho deciso che avrei scelto
Per circa unora, guardavo i futuri genitori due ragazzi appena usciti dal liceo, su una panchina che
La suocera si è portata via le prelibatezze dal mio frigorifero, mettendole nella sua borsa prima di
Allora, abbiamo deciso che sarebbe meglio se vivessi da sola disse finalmente Daniele, quasi sussurrando
Ho perso il desiderio di aiutare mia suocera quando ho scoperto ciò che aveva fatto. Eppure, non riesco
Non ti serve una nonna con quelle lamentele! Scegli: o noi, o lei, sussurrò furiosa Ginevra.
Decidiamo che il dolce non è per te disse la cognata, mentre spostava dalla tavola la torta che avevo
Il Desiderio Esaudito Avevano affittato un appartamento quasi nel cuore di Roma. «Ti piace?
Mio marito mi ha paragonata alla moglie del suo amico a tavola e si è ritrovato una ciotola di insalata
Decidiamo che il dolce non è per te disse la cognata, mentre spostava dalla tavola la torta che avevo