— Mamma, ma perché hai preso questa decisione? Noi ora viviamo nel caldo e nella comodità, e tu sei sola, in questo vecchio casolare in mezzo al nulla? — La voce di Beatrice tremava di rimprovero, quasi sul punto di piangere.
— Non preoccuparti, piccola. Mi sono già affezionata a questa terra. La mia anima cercava da tempo un po’ di pace — rispose con calma Valentina Rossi, sistemando gli ultimi oggetti nella valigia.
La sua scelta era stata ponderata, senza rimpianti. Il suo monolocale in città, dove vivevano in quattro — lei, la figlia, il genero e il nipotino — era diventato troppo stretto. Le continue litigate tra Bea e Luca, i toni irritati, le porte sbattute… tutto questo pesava più delle mura stesse. E poi, il piccolo Matteo era ormai cresciuto, e Valentina aveva capito: una babysitter non serviva più. Le sue cure erano solo un peso.
L’eredità della nonna — una casetta di legno in un paesino vicino a Siena — all’inizio le era sembrata uno scherzo del destino. Ma poi, guardando le foto, il frutteto di meli ormai incolto, la soffitta con i giocattoli della sua infanzia ancora lì, aveva capito: era proprio lì che voleva stare. Lì c’erano la tranquillità, i ricordi, il silenzio… e forse, qualcosa di nuovo. Il cuore le diceva che era il momento.
Organizzò il trasloco in un solo giorno. La figlia la supplicò di restare, con le lacrime che le scendevano copiose, ma Valentina si limitò a sorridere e ad accarezzarle i capelli. Non era arrabbiata. Capiva che i giovani avevano la loro vita. E lei… la sua strada.
La casa la accolse con erbacce e un cancello rotto. Il soffitto aveva qualche cedimento, il pavimento scricchiolava, e nell’aria c’era un odore di muffa e abbandono. Ma invece di paura o sconforto, Valentina sentì determinazione. Si tolse il cappotto, si rimboccò le maniche e iniziò a mettere ordine. Alla sera, le lampade erano accese, profumava di pulito e di tè appena fatto, e accanto al caminetto c’erano i libri portati dalla città e una coperta lavorata a maglia.
Il giorno dopo andò al negozio del paese per comprare vernice, stracci e piccole cose per la casa. Lungo la strada, notò un uomo che zappava l’orto di fronte a casa sua. Alto, con le tempie ingrigite, ma con un sorriso caldo.
— Buongiorno — salutò Valentina per prima.
— Buongiorno. È qui per qualcuno? O si è trasferita? — chiese lui con interesse, asciugandosi le mani su un vecchio straccio.
— Per sempre. Sono Valentina. Arrivo da Roma. È la casa della nonna.
— Io sono Enzo Bianchi. Abito di fronte. Se ha bisogno di una mano, basta chiedere. Qui i vicini sono amichevoli, non resterà sola.
— Grazie. Magari viene a prendere un caffè? Festeggiamo il mio arrivo. Così facciamo conoscenza.
E così ebbe inizio tutto. Stettero a lungo sulla veranda, bevendo caffè con biscotti e parlando della vita. Enzo era vedovo. Suo figlio era partito per Milano anni prima, chiamava di rado e quasi mai faceva visita. E come Valentina, nemmeno lui si sentiva più utile.
Da quel giorno, Enzo divenne un ospite frequente. Portò assi per riparare la staccionata, aiutò a sistemare il tetto, portò legna per la stufa. E alla sera, sedevano sotto il lampione, chiacchierando, ricordando i tempi passati, leggendo ad alta voce.
Piano piano, la vita di Valentina trovò un nuovo ritmo. Coltivò un giardino, piantò ulivi, iniziò a fare focacce che attiravano tutti i vicini. Beatrice telefonava spesso, chiedendole di tornare, dicendole quanto le mancava. Ma Valentina sorrideva e rispondeva: «Tesoro, qui non sono sola. Sono a casa. E per la prima volta dopo tanti anni, sono davvero felice».
Così si unirono due cuori solitari. Tra vecchie mura, strade silenziose ed erba alta. Per dimostrare che non è mai troppo tardi per ricominciare. E che anche in una casa antica può nascere una vita nuova.