**Diario di Serafina**
Erano altri tempi, tanti anni fa, quando la vita era diversa, soprattutto nei piccoli paesi. C’erano regole, tradizioni, credenze e modi di fare che nessuno metteva in discussione. Il destino dei figli lo decidevano i genitori: chi sceglievano loro, quello sarebbe stato il marito o la moglie. L’amore? Non contava nulla. Così avevano fatto i loro padri, i nonni, e bisnonni.
Io, Serafina, ero la più piccola di quattro fratelli. A diciassette anni, sapevo già fare tutto in casa. Fu allora che mi innamorai di Pasquale, un ragazzo che viveva all’altro capo del paese. Ci incontravamo spesso vicino a casa mia, e quei sguardi furtivi dicevano più di mille parole.
Mio padre, Simone, un giorno mi fermò con aria severa.
“Serafina, dimmi un po’, perché quel Pasqualino gira sempre qui? Che ci fa, se abita dall’altra parte del paese?”
“Non lo so, papà,” risposi abbassando gli occhi, mentre il cuore mi batteva forte.
“Non lo sai? Vuoi maritarti, eh? Ma non sarà certo con quel buono a nulla di Pasquale. Lui e sua madre vivono in una casa mezzo diroccata. Ti troverò io un marito degno.”
Era deciso: mio padre mi avrebbe data in sposa al più presto, prima che la cosa con Pasquale andasse troppo avanti.
“Mamma, hai preparato la dote per Serafina?” chiese a mia madre, Marta.
Lei lo guardò spaventata.
“Simone, perché me lo chiedi? Certo, c’è qualcosa… ma è ancora giovane! Vuoi davvero maritarla così presto?”
“Non è presto. Tra poco compie diciassette anni, è ora che si sposi prima che si perda la testa per quel ragazzo.”
Mia madre sapeva che, una volta che mio padre aveva deciso qualcosa, non c’era modo di fargli cambiare idea. Anche lei era stata data in sposa a lui senza che nessuno le chiedesse il parere. Non lo amava, lo temeva. E non osava mai contraddirlo.
Io, intanto, le avevo confessato in segreto dei miei sentimenti per Pasquale.
“Mamma, non riesco a controllarmi. Quando lo vedo, il cuore mi batte così forte… ma ho paura che papà se ne accorga.”
“Figlia mia, non pensarci nemmeno. Sai com’è tuo padre. Pasquale non gli piace.”
**Sposata senza amore**
Appena compiuti i miei diciassette anni, arrivarono i parenti di Giovanni, un ragazzo che abitava a due case dalla nostra. La sua famiglia era benestante: avevano una mucca, un cavallo e tre figli. Giovanni, il più giovane, non era ancora sposato, e così cercavano una moglie per lui.
A me non era mai piaciuto. Era rosso di capelli, lentigginoso, sempre un po’ trasandato. Ogni volta che passava davanti a casa mia, si fermava a guardare nel cortile, sperando di vedermi. Io mi nascondevo. Era più grande di me di tre anni, e fin da piccoli, quando giocavamo per strada o andavamo al fiume, lo evitavo. Dicevo a tutti che non sopportavo i ragazzi rossi.
Una volta, quando avevo sette anni, mi salvò dalla corrente del fiume.
“Non dirlo a mio padre, altrimenti non mi farà più uscire,” gli dissi, tremando dal freddo.
“Non dirò niente,” rispose lui, spingendomi gentilmente verso casa.
E infatti non lo disse mai. I miei genitori non seppero mai che ero quasi annegata.
Il giorno prima che arrivassero i parenti di Giovanni, mio padre incontrò Pasquale e gli disse senza mezzi termini:
“Smettila di girare qui. Domani verranno i parenti per Serafina, e non voglio più vederti in giro.”
Pasquale lo fissò, cercando di capire se diceva sul serio. Poi, senza una parola, se ne andò. Era distrutto, ma sapeva che non poteva fare nulla contro la decisione di mio padre.
Quella sera, mentre finivo il tè, mio padre mi fissò con quel suo sguardo che faceva rabbrividire. Posò il cucchiaio e disse:
“Preparati, domani arrivano i parenti. È ora che ti sposi. Vestito nuovo e fiocchi nei capelli, hai tutto. Chiaro?”
“Chiaro, papà,” mormorai. “Ma chi è lo sposo?”
“Giovanni. Un bravo lavoratore, la sua famiglia ha una bella casa, una mucca, un cavallo. Non patirai la fame. E anche se è rosso, è un uomo che sa lavorare. Preparati.”
“Papà, non mi piace, non mi piacciono i rossi,” provai a dire, ma il suo sguardo mi fece ammutolire.
“Zitta. Chi ti chiede il parere?”
Quella notte piangei senza sosta. Non volevo sposare Giovanni, ma non potevo oppormi a mio padre. Mia madre cercò di consolarmi.
“Figlia mia, è la volontà di Dio. Quello che dice tuo padre, si fa.”
“Mamma, non sopporto Giovanni. Come farò a vivere con un uomo che non amo?”
“Vivrai, come ho fatto io.”
**Il destino**
Il giorno dopo arrivarono i parenti. Giovanni era raggiante, vestito a nuovo, i capelli pettinati. Quando uscii dalla stanza con il vestito nuovo e i capelli raccolti in due trecce, lui arrossì. La comare annunciò solenne:
“Noi abbiamo il compratore, voi la merce.”
Mio padre osservò l’emozione di Giovanni e, soddisfatto, disse:
“Ecco la nostra merce.”
Così mi sposai. La cerimonia fu semplice, e andai a vivere nella casa di Giovanni. I suoceri mi trattarono bene: mi avevano scelta da tempo per loro figlio.
Nessuno sapeva cosa provassi davvero. Il mio cuore era pieno di oscurità. Amavo un altro, ma ero costretta a sposare Giovanni. Pregavo Dio:
“Signore, aiutami ad accettare la mia sorte. Dimenticherò Pasquale. Giovanni è il mio destino.”
Col tempo, mi abituai. Dimenticai l’amore, e quando nacque mio figlio, rosso come suo padre, lo chiamai il mio raggio di sole. Giovanni si rivelò un buon marito. Mi amava, non mi maltrattava mai. Imparai a vedere la bontà nel suo cuore.
Pasquale si sposò anche lui. Lo seppi da mio marito, che un giorno a tavola raccontò le novità del paese. Io non uscivo mai, i miei genitori venivano a trovarmi. Mia madre era contenta:
“Figlia, sono felice che tu stia bene. Vivi come