30 maggio 2024
Oggi avrei dovuto festeggiare il mio trentacinquesimo compleanno con calma, senza troppi fronzoli. Ma la vita sa trasformare anche le date più banali in drammi all’italiana. Un mese prima della festa, ricevetti una chiamata da Eugenia, la sorella di mio marito, con cui i rapporti sono sempre stati tesi.
“Dove pensi di festeggiare?” chiese, come se stesse già preparando la valigia.
“Non ci ho ancora pensato,” risposi, confusa. Era troppo presto per parlarne, soprattutto conoscendo i modi di Eugenia.
“Ah, allora hai i soldi! Prestami cinquecento euro. Mi servono urgentemente, te li restituisco entro due settimane,” implorò con quel tono lamentoso che mi fa venire i brividi.
Odio prestare soldi, soprattutto a persone come lei. Fin dal nostro primo incontro, Eugenia ha sempre trovato scuse per chiedermi soldi: per i figli, per la casa, per presunti elettrodomestici rotti. Ho sempre rifiutato con educazione ma fermezza. Fino a quel giorno.
“I bambini hanno la febbre, servono medicine,” disse, colpendo dove sapeva farmi male.
Cedetti. Feci il bonifico. Due settimane passarono in silenzio. Poi un mese. Decisi di parlarle alla festa.
Celebravamo in una piccola trattoria romana. Gli ospiti ridevano, brindavano. Ma io non riuscivo a divertirmi. Eugenia e suo marito, Giulio, erano presenti, mangiavano e scherzavano come se nulla fosse.
“Tua sorella mi ha chiesto cinquecento euro per le medicine dei bambini, promettendo di restituirli in due settimane,” sussurrai a mio marito notando il mio disagio.
“Non li rivedrai mai,” rispose senza battere ciglio. “A deve tremila euro da cinque anni. Conosco Eugenia, non restituisce nulla.”
Ma tentai comunque il dialogo.
“Eugenia, grazie per essere venuta. Volevo parlarti di quella somma…” iniziai, cauta come se camminassi sul ghiaccio.
“Che serata fantastica!” mi interruppe, baciandomi sulle guance. “Il cibo è divino, soprattutto l’insalata di polpo! Me la fai avere?”
“Non è di quello che volevo parlare. Un mese fa mi hai chiesto dei soldi…”
Lei scoppiò a ridere, gettando indietro la testa.
“Cinquecento euro? Ma quando mai! Tu mi hai sempre detto di no, non ricordo niente del genere. Te lo sei inventato?”
Rimasi senza parole.
“Ti ho fatto un bonifico, per le medicine. Posso mostrarti la ricevuta,” dissi, sentendo il sangue salirmi alle guance.
Eugenia impallidì, ma si riprese subito.
“Ah, sì… Vero. Ma non tengo a mente cose che non mi interessano,” tagliò corto, incrociando le braccia.
“Avevi promesso di restituirli. È passato un mese, vorrei indietro i miei soldi…”
E allora scoppiò lo scandalo.
“Ma non hai un briciolo di vergogna?!” urlò, attirando l’attenzione di tutti i tavoli vicini. “I miei figli erano malati, e tu pensi ai soldi! Certo, tu cosa puoi capire? Non hai figli tuoi!”
Mi sentii come pugnalata. Eugenia passò al contrattacco.
“Il regalo? Non l’abbiamo portato, ma ti abbiamo comprato una borsa da cinquecento euro! Quindi siamo pari. Non credevo fossi così avida!”
“Quale regalo? Non mi avete dato nulla,” mormorai, stordita.
“L’abbiamo dimenticato! Ma esiste!” urlò. “Basta, ce ne andiamo! Giulio, andiamo! Qui non ci rispettano!”
Suo marito finì di mangiare la sua costoletta, si pulì la bocca con la manica e la seguì senza fiatare.
Appena uscirono, mia suocera, Anna Maria, mi prese gentilmente il braccio e mi portò da parte.
“Sei stata ingenua a darle quei soldi. Io a mia figlia non presto nulla. Se do, so già che non restituirà. I tuoi cinquecento euro sono finiti in quella collana che portava stasera.”
Mi mancò il respiro.
“E nessun regalo ti è stato comprato. Finzione pura. Ringrazia che non paghi con la salute. Consideralo un insegnamento,” concluse, ammiccando come se mi avesse fatto un favore.
Eugenia smise di parlarci. Otto mesi di silenzio. Poi, improvvisamente, una chiamata di rimprovero.
“Pensavo almeno mi avreste fatto un bonifico per il mio compleanno!”
“Davvero non ti è arrivato nulla?” rispose mio marito, ironico. “Controlla ottobre dello scorso anno. Cinquecento euro.”
“Molto divertente!” sibilò, riagganciando.
Da allora, più nessun contatto. Ci rivedemmo solo cinque anni dopo, al funerale di Anna Maria. Sei mesi dopo, vendemmo il suo appartamento e dividemmo l’eredità. Nessuno di noi ha più fatto il primo passo. E, a dirla tutta, la vita è diventata più leggera.