Che succede ora? Dove vai? E chi preparerà il cibo?

“Che succede ora? Dove corri? E chi cucina il pranzo?” gridò il marito, sconvolto, vedendo cosa faceva Antonella dopo la litigata con sua madre.
Antonella guardò fuori dalla finestra. Nuvole grigie, nonostante fosse già primavera. Nel loro paesino del Nord Italia, i giorni di sole erano rari come un politico onesto. Forse per questo la gente del posto sembrava sempre stanca e un po arcigna.
E anche Antonella si accorgeva di non sorridere più da mesi, con quella ruga sulla fronte che le regalava dieci anni in più.
“Mamma! Esco a fare una passeggiata,” annunciò sua figlia, Beatrice.
“Eh,” fece Antonella, alzando appena le spalle.
“Cosa vuol dire ‘eh’? Dammi dei soldi.”
“Ah, adesso le passeggiate si pagano?” sospirò la madre.
“Mamma! Perché fai sempre storie?!” sbuffò Beatrice. “Dai, sbrigati! Così poco?”
“Basterà per un gelato.”
“Tirchia,” borbottò Beatrice, ma sua madre non sentì, perché la ragazza era già sparita sbattendo la porta.
*Non ci credo* scosse la testa Antonella, ricordando quanto Beatrice fosse stata dolce prima delladolescenza.
“Toni, mi gorgoglia lo stomaco! Quanto ci vuole ancora?” brontolò il marito, Tommaso.
“Cucina tu,” rispose lei, posando un piatto sul tavolo con nonchalance.
“Me lo porti almeno?”
Antonella trattenne a stento limpulso di lanciargli la pentola in testa. Ma chi si credeva?
“A tavola si mangia in cucina, Tommaso. Vuoi? Bene. Non vuoi? Peggio per te,” disse, sedendosi da sola.
Dopo un quarto dora, Tommaso si presentò in cucina.
“Freddo che schifo.”
“Lavevo lasciato lì.”
“Te lavevo chiesto io! Nessun amore, nessuna cura! Sai che sto guardando la partita!” ingurgitò il pollo in fretta. “Non è buono.”
Antonella si limitò a roteare gli occhi. Con il calcio, Tommaso diventava unaltra persona. Scommesse, magliette costose, biglietti per lo stadio eppure da giovane non aveva mai mostrato interesse per lo sport.
Senza nemmeno sedersi, afferrò una birra e un pacchetto di patatine “artigianali” e tornò davanti alla tv. E Antonella rimase in cucina a lavare i piatti.
*Tutto questo impegno per niente. Nessuno lo apprezza.*
Era esausta dopo il turno in ospedale, dove lavorava come caposala. Gente stressata, malati irritati e a casa? Non un angolo di pace, ma un altro turno. Servire, pulire, sistemare.
“Cè ancora birra?” il marito frugò nel frigo. “Perché non ce nè?”
“Lhai finita tu! Dovrei pensarci pure a quella? Abbi un po di dignità, Tommaso!” esplose Antonella.
“Che raffinatezza” commentò lui sarcastico, sbattendo la porta per rifornirsi di “scorte” prima della partita.
Antonella decise di andare a dormire, ma non riusciva a chiudere occhio. Si preoccupava per Beatrice: dove andava? Con chi? Fuori era buio, e ancora nessun segno della figlia. Non osava chiamarla, perché altrimenti Beatrice le urlava:
“Mi fai vergognare con gli amici! Smettila di chiamarmi!” Così Antonella aveva smesso, consolandosi con il fatto che Beatrice aveva appena compiuto 18 anni. Lavorare non voleva, studiare neanche. Aveva finito le superiori e ora voleva “trovare se stessa.”
Appena si addormentò, i gridi esultanti di Tommaso la svegliarono. Qualcuno aveva segnato. Poi iniziò a discutere animatamente della partita con il vicino, che si era unito a lui. Poi arrivò anche la fidanzata del vicino, e iniziò un coro da stadio. A notte fonda, rientrò Beatrice, sbattendo i piatti prima di sparire in camera sua. Quando finalmente tutto tacque, e Antonella stava per addormentarsi, il gatto miagolò affamato.
“Nessuno in questa casa sa dare da mangiare al gatto, oltre a me?!” esplose Antonella, stanca, con lemicrania e la rabbia che ribollivano. Sperava che qualcuno la sentisse, ma Beatrice aveva le cuffie, e Tommaso russava sul divano con la birra in mano.
*Ne ho avuto abbastanza. Basta così.*
Il mattino dopo, la svegliò la suocera al telefono.
“Antonella, tesoro, ti ricordi che è ora di piantare lorto? E che dobbiamo andare in campagna a sistemare?”
“Me lo ricordo,” sospirò.
“Allora domani si parte.”
Lunica domenica libera, Antonella la passò a sgobbare nella casa di campagna, sotto gli ordini della suocera.
“Come usi la scopa? Così non si fa!” la donna comandava seduta su una panchina.
“Ho quasi cinquantanni, Valeria, posso farcela da sola,” osò ribattere Antonella.
“E Tommaso”
“Dovè Tommaso? Perché non è venuto? Non poteva portare sua madre in campagna? Perché abbiamo dovuto prendere lautobus per tre ore? E tu parli sempre di lui, lui, lui”
“Lui è stanco.”
“Io no, secondo te?”
E lì scoppiò tutto. Antonella se ne pentì subito. Valeria era una donna chiacchierona e sicura di avere sempre ragione. Peccato che la sua “ragione” fosse a senso unico e non includesse Antonella. Per tutta la vita, Valeria aveva viziato Tommaso, mentre Antonella era la serva tollerata a malapena.
Tornarono in autobus, sedute agli estremi opposti. Il giorno dopo, Valeria si lamentò con il figlio, che andò su tutte le furie.
“Come ti permetti di rispondere a mia madre?!” ringhiò Tommaso. “Se non fosse per lei”
“Cosa?” incrociò le braccia Antonella. Aveva capito che non poteva più tollerare quel trattamento.
“Saresti ancora in quel buco di ambulatorio!” tirò fuori lasso dalla manica, ricordandole che Valeria laveva fatta assumere in ospedale. Lo stipendio era più alto, ma lo pagava con i nervi a pezzi e i capelli grigi. Più volte Antonella si era pentita di aver accettato. “Dove vai?”
Tommaso rimase di sasso vedendo cosa stava facendo Antonella.
Quello che fece Antonella, Tommaso non se lo sarebbe mai aspettato. Mai.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

thirteen − 10 =

Che succede ora? Dove vai? E chi preparerà il cibo?