«Chi hai portato in casa, figlio mio…»
Anna Maria trascorse tutta la giornata in cucina. Preparò le insalate preferite di suo figlio, riempì le melanzane ripiene, infornò un pollo croccante e profumato. Quel giorno era speciale — suo figlio Alessandro avrebbe presentato la sua fidanzata per la prima volta.
La casa luccicava di pulito, la tovaglia era stirata a perfezione, e una torta fredda aspettava sul davanzale. Anna Maria si sistemò più volte i capelli, controllò il suo riflesso allo specchio e attese con il cuore in gola. Desiderava tanto piacere alla futura nuora.
Udì lo scatto della serratura. Raddrizzò le spalle: *«Sono loro!»*, pensò, e stava per andare incontro quando sentì le voci soffocate.
— Alessandro, ma sei serio? Questa sarebbe casa tua?… Sembra un museo — sbuffò sprezzante Valeria.
— Bassa voce, Vale… La mamma potrebbe sentire. Non fare così…
— E che senta pure! Forse così capirà che tutta questa robaccia andrebbe buttata! — E con rabbia diede un calcio al vecchio mobiletto nel corridoio.
— Ma che ti permetti?! — Anna Maria uscì dalla stanza, il volto pallido, gli occhi accesi. — Siete nella mia casa, non in una piazza!
Un silenzio pesante calò.
Valeria non si scusò nemmeno. A cena arricciò il naso, toccò appena il cibo e continuò a far commenti sull’arredamento «da nonna», dicendo che non ci avrebbero mai vissuto senza un completo restauro.
Anna Maria si sentì male. Si alzò in silenzio, uscì sul balcone e si strinse una mano al petto. Per la prima volta in trent’anni, rimpiangeva di aver cresciuto suo figlio da sola. Suo marito se n’era andato quando Alessandro non aveva neppure un anno. Aveva tenuto tutto sulle spalle — il lavoro, l’educazione, la casa.
E ora quella stessa casa dava fastidio a un’estranea.
Quando Valeria annunciò di essere incinta, Anna Maria tacque. Ormai capiva: quell’unione non avrebbe portato nulla di buono. Valori troppo diversi. Ma per il bambino, per suo figlio… propose: «Vivete qui. L’appartamento è grande. Potete sistemare una stanza come preferite».
— Una stanza non basta! — ringhiò Valeria. — Vogliamo vendere questa catapecchia e comprare due appartamenti nuovi.
— Non permetterò che si svenda ciò che i miei genitori hanno costruito in una vita! — Anna Maria non trattenne più la rabbia.
Il giorno dopo, Alessandro tornò con i documenti. Chiedeva la sua parte. Lei firmò senza guardarlo.
— Vendila. Fa’ come credi. Ma sappi che con questa casa perderai non solo le mura, ma un pezzo di famiglia.
Una settimana dopo, Anna Maria se ne andò. Silenziosamente, di notte, nel sonno. Alessandro trovò le sue fotografie sul davanzale. In una, lo teneva in braccio da neonato, accanto al pianoforte della nonna.
Rimase fermo nella stanza vuota, dove ora risuonava solo l’eco.
E i mobili?… Valeria li aveva già venduti.
Tre anni dopo, Alessandro viveva nel «suo» bilocale. Da solo. Valeria e il bambino — altrove. L’antico tavolo restaurato, con la tovaglia verde, era in un angolo. Accanto, la foto di sua madre. E ogni sera, in silenzio, chiedeva perdono…