*Diario Personale*
Il campanello suonò insistentemente, segnalando che qualcuno era alla porta. Livia si tolse il grembiule, si asciugò le mani e andò ad aprire. Sulla soglia cerano sua figlia e un giovane uomo. La madre li fece entrare.
«Ciao, mamma», la baciò sulla guancia la figlia, «Ti presento Dario. Vivrà con noi.»
«Piacere», salutò il ragazzo.
«E questa è mia madre, zia Livia.»
«Livia», la corresse.
«Mamma, cosa cè per cena?»
«Pasta e fagioli e salsicce.»
«Io non mangio pasta e fagioli», rispose Dario, scrollando le spalle, e andò in soggiorno.
«Be, mamma, Dario non li mangia», disse la figlia, allargando gli occhi.
Il ragazzo si sistemò sul divano, lasciando lo zaino a terra.
«In realtà, questa è la mia stanza», osservò Livia.
«Dario, vieni, ti mostro dove staremo», chiamò Cecilia.
«Ma qui mi piace», borbottò lui, alzandosi a malincuore.
«Mamma, pensa tu a cosa dargli da mangiare.»
«Non so, abbiamo ancora mezzo pacchetto di salsicce», rispose Livia, alzando le spalle.
«Va bene con senape, ketchup e pane», disse lui.
«Daccordo», borbottò Livia, dirigendosi in cucina. «Prima portava a casa gatti e cani, e ora questo qui. E io devo pure sfamarlo.»
Si versò la pasta e fagioli, mise due salsicce in padella su un piatto, aggiunse un po dinsalata e cominciò a cenare con gusto.
«Mamma, perché mangi da sola?» entrò in cucina la figlia.
«Perché sono tornata dal lavoro e ho fame», rispose Livia, masticando. «Chi vuole mangiare, si serve da solo. E poi, ho una domanda: perché Dario deve vivere con noi?»
«Come perché? È mio marito.»
Livia quasi si strozzò.
«Marito?»
«Sì. Sono adulta e decido io se sposarmi o no. Ho diciannove anni.»
«E non mi avete neanche invitata al matrimonio.»
«Non cè stato un matrimonio, solo un documento. Ora siamo marito e moglie, vivremo insieme», disse Cecilia, lanciando unocchiata alla madre.
«Be, vi faccio le congratulazioni. E perché niente festa?»
«Se hai soldi da darci per un banchetto, possiamo trovarne da spendere.»
«Capisco», continuò Livia a mangiare. «E perché proprio qui?»
«Perché loro vivono in un monolocale in quattro.»
«E non avete pensato a un affitto?»
«Perché affittare se abbiamo la mia stanza?» si stupì la figlia.
«Capisco.»
«Allora, ci dai qualcosa da mangiare?»
«Cecilia, la pentola è sul fuoco, le salsicce in padella. Se non bastano, cè altro in frigo. Servitevi.»
«Mamma, non capisci, hai un GENERO!» sottolineò Cecilia.
«E allora? Dovrei ballare la tarantella per festeggiare? Sono stanca, tornata dal lavoro. Avete mani e gambe, arrangiatevi.»
«Ecco perché sei ancora single!»
Cecilia la guardò torva e uscì sbattendo la porta. Livia finì di mangiare, lavò i suoi piatti, pulì il tavolo e andò in palestra. Era una donna libera, che dedicava qualche sera alla settimana allo sport e alla piscina.
Verso le dieci tornò a casa. Sperando in una tazza di tè caldo, trovò la cucina in disordine: qualcuno aveva provato a cucinare. Il coperchio della pentola era sparito, e la pasta era secca e screpolata. Il pacchetto delle salsicce era aperto sul tavolo, accanto a una fetta di pane mangiucchiata. La padella era bruciacchiata, con strani segni sul fondo. Il lavello era pieno di piatti sporchi, e per terra cera una pozza di bibita dolce. Lappartamento puzzava di sigarette.
«Wow, questa è nuova. Cecilia non si sarebbe mai permessa una cosa simile.»
Aprì la porta della camera della figlia. I due giovani bevevano vino e fumavano.
«Cecilia, vai a sistemare la cucina. Domani compri una padella nuova», disse Livia, andando in camera sua senza chiudere la porta.
Cecilia balzò in piedi e la inseguì.
«Perché dovremmo farlo noi? E con quali soldi? Non lavoro, studio. Ti dispiace per due piatti?»
«Cecilia, conosci le regole: chi sporca, pulisce. Chi rompe, paga. E sì, mi dispiace per la padella, costa e ora è rovinata.»
«Non vuoi che stiamo qui!» urlò la figlia.
«No», rispose tranquilla Livia.
Non aveva voglia di litigare, e non laveva mai vista così prima dora.
«Ma questa è casa mia!»
«No, lappartamento è mio. Lho comprato con i miei soldi. Tu sei solo registrata qui. Non risolverete i vostri problemi a mie spese. Se volete vivere qui, rispettate le regole.»
«Ho vissuto tutta la vita sotto le tue regole. Ora sono sposata e non puoi più comandarmi», singhiozzò Cecilia. «E poi, hai già vissuto, dovresti lasciarci lappartamento.»
«Vi lascio il corridoio delle scale e la panchina fuori. Ah, sei sposata? Non mi ascolti. Dormi qui sola o con tuo marito, ma lui non resta.»
«Che ti crepi questo appartamento! Dario, andiamo via!» gridò Cecilia, iniziando a raccogliere le sue cose.
Cinque minuti dopo, il nuovo genero irruppe nella stanza.
«Ehi, suocera, non arrabbiarti, tutto andrà bene», disse, barcollando per il vino. «Non andremo via. Se sarai gentile, la notte faremo pure silenzio.»
«Che genitori che siamo», sbuffò Livia. «I tuoi sono a casa, vai da loro e portati pure la moglie.»
«E adesso ti» il ragazzo alzò un pugno.
«Ah sì?»
Livia gli afferrò il polso con le unghie smaltate.
«Ahi! Lasciami, pazza!»
«Mamma, cosa fai?!» urlò Cecilia, cercando di separarli.
Livia la spinse via e colpì Dario con un ginocchio nellinguine, poi un gomito alla gola.
«Ti denuncio per aggressione», guaì lui. «Ti faccio causa.»
«Aspetta, chiamo la polizia, sarà più comodo», rispose Livia.
I due giovani scapparono dal ben arredato bilocale.
«Non sei più mia madre! E non vedrai mai i tuoi nipoti!» strillò Cecilia.
«Che tragedia», commentò ironica Livia. «Finalmente si può vivere in pace.»
Controllò le mani: alcune unghie erano rotte.
«Tanti danni per voi», borbottò.
Dopo che se ne furono andati, pulì la cucina, buttò la pasta secca e la padella rovinata, e cambiò le serrature. Tre mesi dopo, al lavoro, la aspettò la figlia. Era dimagrita, con gli occhi infossati, e sembrava infelice.
«Mamma, cosa cè per cena?» chiese.
«Non so», scrollò le spalle Livia. «Non ci ho pensato. Cosa vorresti?»
«Pollo con riso», deglutì Cecilia. «E insalata russa.»
«Allora andiamo a comprare il pollo