Chiamata Inaspettata

La Chiamata in Ritardo

Marco uscì dall’ufficio sotto un cielo grigio e basso che sembrava schiacciare la città. Solo le croci sulle cupole dorate della chiesa di San Nicola sfidavano l’oscurità, protendendosi verso l’alto nonostante la foschia.

Una pioggerella sottile gli pungeva il viso mentre raggiungeva l’auto. Nell’abitacolo dell’Alfa Romeo, un debole profumo di air freshener si mescolava all’odore del cuoio. Marco appoggiò le mani sul volante e chiuse gli occhi un attimo, grato di aver ritirato la macchina dal meccanico durante la pausa pranzo. Almeno non avrebbe dovuto aspettare l’autobus sotto la pioggia, stipato tra sconosciuti.

Accese il motore, e la radio esplose in una canzone pop irritante. Abbassò il volume. «A casa!» si ordinò, imboccando il viale principale. Le dita tamburellavano sul volante seguendo il ritmo.

Era venerdì. E di venerdì usciva con gli amici al locale, per dimenticare la settimana lavorativa. Che altro avrebbero dovuto fare dei giovani liberi, senza mogli, figli o responsabilità?

L’appartamento lo accolse nel silenzio. Dall’ingresso, vide l’armadio spalancato. Un brutto presentimento gli serpeggiò nel petto. Si sfilò le scarpe e, in calzini, si avvicinò alla camera. Sapeva già cosa avrebbe trovato. Tra le sue camicie e giacche, gli scheletri vuoti delle grucce dove prima erano appesi i vestiti di Elena.

Se n’era andata. Ultimamente litigavano spesso, ma poi facevano sempre pace. Gli aveva chiamato in ufficio, dicendo che non sarebbe venuta al locale quella sera. Lui era stato distratto dal lavoro, poi era corso a prendere l’auto… «Si è offesa perché non l’ho richiamata? Ma davvero si lascia per questo?» si chiese. «No. Ha calcolato tutto. Ha lasciato l’armadio aperto perché mi sentissi subito solo e in colpa. Secondo il copione, doveva esserci un biglietto con accuse e addii.» Guardò intorno.

Vivevano insieme da sei mesi. Elena gli piaceva: carina, allegra, solo un po’ capricciosa. Quindi, era lui a non andarle bene. Ultimamente parlava sempre più spesso di matrimonio, di luna di miele… Lui scherzava via. Capiva. Non aveva aspettato un suo gesto e aveva deciso di accelerare le cose. Credeva che l’avrebbe chiamata supplicandola di tornare…

Marco realizzò che era proprio quello che voleva fare in quel momento. Compositò il numero di Elena, ma il telefono era spento. Lasciò cadere il cellulare sul divano.

La immaginò in cucina, in equilibrio su un piede mentre sbucciava le patate… Avrebbe voluto che tornasse subito. Si trascinò in cucina. Nel lavandino, piatti e tazze della colazione aspettavano di essere lavati. Accanto, una bottiglia di vino vuota. Un avanzo di qualche festa. «L’ha finita, allora era indecisa, preoccupata.» Questo lo rallegrò. Lavò i piatti. La bottiglia vuota la infilò nel cestino strapieno, a testa in giù.

Elena odiava i piatti sporchi. Quindi, li aveva lasciati lì apposta, per insegnargli una lezione. Per fargli capire quanto sarebbe stato difficile stare solo: lavare, buttare la spazzatura… Che attrice! Ed era per questo che le voleva bene. Anche se gliel’aveva detto solo all’inizio.

Notò un biglietto attaccato al frigo con una calamita. «Me ne vado. Non sono sicura che dobbiamo continuare.» Così, senza spiegazioni, accuse o firma.

E lui aveva già scelto un anello. Aspettava solo lo stipendio per comprarlo e il momento giusto per mettersi in ginocchio e regalarglielo davanti a tutti.

«Se se ne va una ragazza, è per il meglio,» canticchiò, parafrasando una vecchia canzone.

Nella cucina silenziosa, la voce gli suonò stonata e triste. «Tornerà. Anch’io sono orgoglioso. Non chiamerò. Che soffra un po’.» Marco prese il secchio e uscì a buttare la spazzatura.

Al ritorno, ancora sulla porta, sentì il telefono squillare. Senza togliersi le scarpe, corse al divano. Sul display, un numero sconosciuto. Rispondere o no? E se fosse Elena?

«Pronto,» disse.

«Ciao, Luca,» una voce femminile. Marco si illuse per un attimo che fosse Elena. «Sono io, Beatrice. Ho esitato prima di chiamarti. Non mi hai promesso nulla… ma non so cosa fare…»

«Chi parla? Che Beatrice?» La sorpresa gli fece ignorare che lo avesse chiamato Luca.

«Non ti ricordi di me? Allora non c’è nulla da dire.» La linea si interruppe.

«Che diavolo…»

Vide le impronte bagnate e sporche sul tappeto e imprecò di nuovo. Il telefono suonò ancora.

«Luca, volevo dirti…»

«Non sono Luca. Mi chiamo Marco. Signorina, ha sbagliato numero.»

«Mi hai mentito? Perché? Mi hai dato tu questo numero,» e lo ripeté.

«Non ho mentito. Mi chiamo Marco da ventisei anni. E non le ho mai dato il mio numero.»

«Ho sbagliato a chiamare…»

«No, ora spieghi cosa vuole.» Ma la sconosciuta riagganciò.

«Non risponderò più.» Silenziò il telefono, ma non lo spense. Sperava ancora che Elena chiamasse, che spiegasse, che dettasse le condizioni per tornare… Non fece in tempo a pensare che il cellulare vibrò di nuovo, innervosendolo.

«Signorina… Beatrice! Perché continua a chiamare senza dire cosa vuole?»

«Scusa…» Un sospiro, un singhiozzo, o forse l’acqua che scorreva. «Non so cosa fare. Credevo che tra noi… Volevo dirti che sono io… Tu non c’entri…»

«Io non c’entro cosa?» gridò nel vuoto, perché Beatrice aveva riagganciato.

Rifletté. L’ultima volta, la voce le era sembrata debole, assonnata. E quel rumore di fondo? Piangeva? «Sono io… tu non c’entri…» Così si parlava prima di… «Oddio, cosa sta succedendo?»

Chiamò l’amico. Luca era un donnaiolo. Conosceva ragazze al volo nei locali.

«Allora, ti unisci a noi? Dai, spicciati, la festa è già iniziata!» Luca urlava per coprire la musica.

«Luca, perché hai dato il mio numero a una certa Beatrice?»

«Non conosco nessuna Beatrice. Non ricordo.»

«Dai, lascia perdere. Ho conosciuto una tipa. Bella. Abbiamo passato un paio di sere insieme…»

«Dove? A casa sua? Dimmi l’indirizzo.»

«Vuoi tradere Elena? Bastava dirlo prima…» rise Luca.

«Le è successo qualcosa. Dov’è?»

«Non ricordo. Forse via Garibaldi. C’è un grattacielo nuovo, e una vecchia palazzina accanto.»

«Che piano?»

«Secondo, forse. Di fronte alle scale.»

«Prendi un taxi e vieni lì. Ti aspetto. Sbrigati!»

L’asfalto bagnato luccicava sotto i fari. Di venerdì sera, le strade erano deserte. Marco arrivò in fretta. Il grattacielo svettava sulle palazzine come un fungo nobile tra i plebei. Dall’ingresso, la luce proveniva solo da un appartamento al secondo piano.

La portaDopo un lungo silenzio, Marco sorrise e disse: “Allora, Beatrice, cosa ne dici di un caffè? Magari questa volta senza drammi.”

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