Collega Eccentrica

Strana collega

La nuova collega suscitò immediatamente l’interesse di Anna. Tuttavia, la ragazza chiaramente evitava i colleghi, non andava con loro al bar dell’ufficio e, non appena finiva il suo turno, prendeva la borsa, si metteva il cappello e correva verso il parcheggio senza parlare con nessuno. Le avevano assegnato una scrivania accanto a quella di Anna. Lei poteva sentire la collega rispondere al telefono. Aveva una voce piacevole.

«Anna, non hai ancora parlato con la nuova arrivata?» chiese un giorno Olga, la responsabile del turno. «Sembra che vada tutto bene con lei, e i suoi risultati sono eccellenti… Ma è davvero troppo chiusa. È qui da più di un mese e non si è fatta nessun amico. Nessuno riesce davvero a ricordare il suo volto.»
Anna alzò le spalle: «No, non ho parlato con lei. Una volta le ho chiesto di passarmi una matita e me l’ha lanciata senza guardarmi… Mi sono un po’ offesa.»
«Beh, magari col tempo inizierà a socializzare…»

Presto Anna scoprì che l’istruzione della nuova collega non era affatto attinente al suo lavoro attuale. Scoprì che Federica (così si chiamava) aveva studiato biologia e aveva persino un titolo di dottorato. Come mai si trovava lì, in un semplice call center, dove lavoravano per lo più studenti e giovani neolaureati in cerca di qualcosa di meglio?

La curiosità spinse Anna ad avvicinarsi a Federica durante una pausa e a farle una domanda sul lavoro. Federica abbassò la testa e rispose con voce sottile, senza guardarla. Anna ebbe l’impressione che Federica tenesse intenzionalmente la testa così per nascondere il volto tra i capelli.

«Magari è malata?» si chiedevano i ragazzi del call center tra di loro.
«Macché, è solo piena di brufoli e si nasconde,» scherzava Stefano, il sistemista, considerato il più spiritoso del call center.

Un giorno Anna dovette trattenersi al lavoro più del solito. Il call center si svuotò, e Anna rimase sola per terminare un rapporto sulle chiamate in uscita. Una volta finito, inviò il rapporto al manager e guardò l’orologio. Accidenti, erano quasi le nove di sera e le ci sarebbe voluta un’ora per arrivare a casa. Le avevano detto di fare le cose in tempo.

Anna sospirò, spense il computer, prese il cappotto dall’armadio, chiuse l’ufficio e si avviò a casa. Una volta uscita dal centro uffici, si accorse che stava piovendo. E, come al solito, aveva dimenticato l’ombrello a casa. Finché arrivava alla metro, sarebbe stata già completamente bagnata. Che giornata! Quando finirà finalmente?

«Posso darti un passaggio, se vuoi,» sentì una voce familiare accanto a lei.
Anna si girò e vide dall’altra parte dell’ingresso una ragazza alta con un cappellino e una felpa. Era… Federica!

«Federica, sei tu?» chiese Anna sorpresa.
Federica annuì.
«Sì, ho dimenticato il telefono in ufficio. Sono dovuta tornare indietro. Ti ho vista uscire. Se aspetti un attimo, ti accompagno dove vuoi. Sta per venire un acquazzone e io ho la macchina.»

«Grazie, accetto volentieri,» sorrise Anna.
Dopo dieci minuti, le ragazze erano in macchina di Federica. Per la prima volta Anna riuscì a vedere il suo viso. E ne rimase sconvolta. Federica aveva una cicatrice sulla guancia, il naso sembrava infossato nel cranio e una palpebra copriva parzialmente un occhio.

Sentendo probabilmente lo sguardo di Anna su di sé, Federica sorrise amaramente:
«Chiedi pure, se sei curiosa.»

Anna scosse la testa:
«No, va tutto bene.»
«Dai, non va bene,» sospirò Federica. «Quanto ancora devo nascondermi? Sì, ho alcuni problemi. Problemi seri. Non sono sempre stata così. A proposito, dove devo portarti?»
Anna disse l’indirizzo.
«Vuoi che ti racconti come è successo? Tanto abbiamo da fare un lungo tragitto. Sai, mi piacerebbe davvero condividere con qualcuno. È così difficile tenere tutto dentro di sé…»
«Va bene. Se ti va. Altrimenti non è necessario. Davvero,» sorrise Anna. «Non sono molto curiosa. E non dirò niente a nessuno, se è importante.»
E Federica iniziò la sua storia.

Vittoria era una figlia nata tardi. Sua madre, docente al dipartimento di botanica, aveva già superato i quarant’anni, mentre suo padre ne aveva oltre cinquanta. Non speravano più di diventare genitori. Eppure, il miracolo avvenne. Per la famiglia fu una grande gioia.
«Abbiamo battuto la natura, evidentemente,» diceva con un sorriso la mamma di Federica.
«Allora la chiameremo Vittoria, [vittoria in italiano],» scherzava suo padre.

Presto diventò chiaro che Federica aveva un talento straordinario per lo studio. A tre anni sfogliava con interesse le enciclopedie sulla natura, a sei anni iniziò la scuola e la concluse con il massimo dei voti. Poi si iscrisse all’università, alla facoltà di biologia.

I genitori erano entusiasti dei suoi successi. Sicuramente si prospettavano per lei grandi traguardi. Tuttavia, nel fare piani per il futuro di Federica, i suoi genitori trascurarono un aspetto. Dedicando tutto il suo tempo allo studio, Federica quasi non socializzava con i coetanei. Intorno a lei c’erano libri, si innamorava di concetti scientifici e teorie e, sul muro della sua stanza, non c’erano i ritratti di simpatici ragazzi di gruppi alla moda, ma quelli di grandi scienziati.

Tutto ciò influenzò inevitabilmente il carattere di Federica. Cresceva introversa e poco socievole. Gli coetanei la spaventavano e, a loro volta, lei suscitava in loro meraviglia e fastidio. Troppo intelligente, incapace di parlare di altro se non di scienza, non soffriva di solitudine fino a quando non cominciò a diventare una giovane donna.
La natura fece il suo corso. Federica capì che ora voleva leggere non solo monografie e articoli sulle tendenze moderne della genetica e citologia, ma anche romanzi d’amore. Nascondeva i romanzi sotto il materasso nella sua stanza: se sua madre avesse scoperto una simile letteratura indegna, avrebbe sicuramente fatto una scenata.

Federica aveva un altro segreto. Soffriva a causa della sua bellezza poco attraente. In realtà, era convinta di essere terribilmente brutta. Alta statura, seno piccolo, gambe sproporzionatamente lunghe e magre, viso semplice, naso a patata, zigomi larghi… Tutto ciò sembrava a Federica una mancanza di armonia, incapace di suscitare nessun sentimento in nessuno, tranne che pietà.

Il tempo passava. Federica completò il dottorato e ottenne il titolo di ricercatrice. Iniziò a insegnare al dipartimento di genetica. Gli studenti frequentavano volentieri le sue lezioni: Federica sapeva coinvolgere il pubblico e spiegare concetti complessi in modo semplice. Sembrava che tutto stesse andando per il verso giusto. Ma Federica desiderava l’amore e sognava un uomo che l’accettasse così com’era, con tutti i suoi difetti. E ne vedeva molti in sé.
E presto lo incontrò. Anzi, LUI. E si innamorò quasi immediatamente, perdutamente. Di una persona che era il suo completo opposto.

Federica frequentava una palestra piuttosto prestigiosa, visto che guadagnava bene. E proprio lì conobbe Daniele. Daniele era figlio di genitori benestanti, quelli che vengono definiti “figli di papà.” Fin dall’infanzia aveva ottenuto tutto quello che desiderava senza sforzi. Vedendo Federica che pedalava diligentemente sulla cyclette, decise di avvicinarla solo per vedere un’altra volta quanto potesse funzionare il suo fascino maschile. E Federica, a cui nessuno si era mai avvicinato prima, restò colpita dal suo sorriso, dallo sguardo, dal modo di porsi.

Daniele prese il numero di Federica e la chiamò il giorno successivo. Per lui, Federica era un essere strano e divertente, che non aveva mai incontrato prima. Mentre Federica vedeva in Daniele il suo grande amore, l’uomo per cui era disposta a tutto. E Daniele ben presto si accorse di avere un controllo totale su di lei.
Inizialmente le chiese di rinunciare alle lezioni all’università per incontrarlo. Poi le chiese di cambiare il suo modo di vestire. Federica, che da sempre indossava jeans e felpe, cominciò a indossare minigonne, top corti e tacchi alti. Daniele amava il fatto di dominare una ragazza tanto intelligente e particolare. E voleva sempre di più.

«Piccola, sei molto carina,» le diceva. «Ma sai, mi sono sempre piaciute le ragazze con un seno più grande. Se lo avessi un po’ più grande, saresti perfetta.»

Federica rifletté a lungo e alla fine decise di sottoporsi alla sua prima operazione di chirurgia plastica. Daniele ne fu entusiasta e si vantava con gli amici di avere una «scienziata» che per lui «si era rifatta il seno».
Ma Daniele non voleva fermarsi lì. Federica si fece iniettare filler per labbra, aumentare gli zigomi, persino modificare leggermente le palpebre… Il suo lavoro ne risentiva, i colleghi non capivano cosa stesse accadendo a quella ragazza che fino a poco tempo prima era totalmente assorbita dalla scienza. Federica si assentava sempre più spesso dalle lezioni, causando il malcontento degli altri docenti costretti a sostituirla.

Federica pensava che fosse normale. Si sacrificava per far piacere al suo amato. E lui avrebbe sicuramente apprezzato i suoi sforzi. Sarebbe presto arrivata la proposta di matrimonio. Una casetta sul mare, tre o anche quattro figli, una vecchiaia felice… Nei sogni di Federica si delineavano immagini ideali. Mentre Daniele continuava a divertirsi, proponendole sempre nuovi e dolorosi cambiamenti. Federica non aveva amiche che potessero dirle che stava accadendo qualcosa di orribile, e la madre della ragazza evitava di affrontare il cambiamento, pensando più alla sua tranquillità che al bene della figlia.

Tutto finì in tragedia. Federica decise di sottoporsi a un nuovo intervento: desiderava alzare leggermente le sopracciglia. Aveva pochi soldi e fu costretta a rivolgersi a un chirurgo che chiedeva poche somme per i suoi servizi… Ci fu un’infezione… Passò sei mesi in ospedale, subendo diverse operazioni. Dopo di che il suo aspetto cambiò radicalmente.

Daniele la visitò in ospedale solo una volta. Vedendo il volto gonfio di Federica e i punti di sutura, preferì scomparire dalla sua vita per sempre. Daniele non rispondeva al telefono né ai messaggi sui social di Federica, e poco dopo lei vide sul profilo di lui una foto con un’altra ragazza che chiamava la sua fidanzata.
Per Federica fu un colpo. Ma riuscì a riprendersi. Per la scienza. Per vivere ancora e tornare a insegnare all’università, dove era stata costretta a lasciare per motivi di salute.

Dopo sei mesi uscì dall’ospedale. Doveva ricordarsi a stare meglio e a sentirsi viva con se stessa. Con quel viso non voleva insegnare. Si vergognava del suo aspetto. Quindi, c’erano bisogno di soldi per un’operazione costosa e difficile.
«Ora lavoro da voi e anche in un altro posto. Scrivo anche tesine su commissione,» concluse il racconto Federica.
L’auto di Federica era ferma da tempo davanti al condominio dove viveva Anna. Anna guardava Federica, e gli occhi le brillavano di lacrime.
«Come ha potuto trattarti così? Quanto bisogna essere…?» chiese con voce tremante.

Federica passò le mani sul volto e guardò pensierosa fuori dalla finestra, attraverso le gocce di pioggia che scendevano.
«Sai, ma ho capito una cosa molto importante. Cambiare bisogna farlo solo per se stessi. E mai, mai dovremmo sacrificare noi stessi. Per nessuno e per nessun amore o amicizia.»

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