Colpa congiunta, o Il destino ha deciso

**Nessuna Colpa, o Così Volevano le Stelle**

Alessandro trattenne la porta del ristorante per far passare la moglie. La porta si chiuse alle loro spalle, smorzando la musica e le voci allegre dei commensari. In lontananza, le luci della città tremolavano, mentre una fila sinuosa di lampioni si allungava nel buio.

«Sei pallido… Prendiamo un taxi?» chiese Beatrice.

«No, arriviamo da soli. Era solo caldo lì dentro. Mi riprendo e partiamo.» Alessandro la abbracciò.

«Ma hai bevuto…» insisté Beatrice.

«Quasi niente, e comunque era all’inizio della serata. Ormai è svanito. Poi di notte c’è poco traffico. Non preoccuparti.»

«Mamma ha chiamato. Mirko non vuole dormire senza di noi, ci aspetta» sospirò Beatrice. «Sono stanca.»

«Allora andiamo? Mezz’ora e siamo a casa.» Alessandro prese le chiavi dalla tasca della giacca e schiacciò il pulsante del telecomando. Dall’angolo buio del parcheggio, la loro Fiat rispose con un beep e un lampo dei fari.

Mentre usciva dal parcheggio dell’elegante ristorante fuori città, Alessandro guidava con sicurezza verso casa. Accanto a lui, Beatrice allungò le gambe stanche e appoggiò la testa al poggiatesta – finalmente poteva smettere di pensare alla sua pettinatura.

«Bel matrimonio quello di Marco, vero? Ma il nostro era meglio» disse Alessandro, osservando nel retrovisore le luci del ristorante che si allontanavano.

«A dir la verità, lo ricordo a malapena» rispose Beatrice, chiudendo gli occhi stanchi.

«Anch’io.»

«Nessuno ricorda il proprio matrimonio. Forse per questo sembra sempre il migliore.»

«Esatto» sorrise lui.

«Penso che mamma dovrebbe dormire da noi stanotte. Se la riportiamo a casa a quest’ora…» Beatrice sbadigliò.

«Certo, resti pure. Anch’io non vedo l’ora di dormire.»

«Te l’avevo detto di prendere un taxi. Non mi ascolti mai» mormorò Beatrice, la voce fiacca.

«Troppo tardi, siamo già in viaggio. Non voglio tornare domani a riprendere la macchina.»

Beatrice non rispose. Era immersa nei pensieri, desiderando solo di arrivare a casa, togliersi quelle scarpe strette che le avevano fatto male ai piedi, infilare le pantofole e farsi una doccia…

Se avesse aperto gli occhi, avrebbe visto Alessandro stringere il volante, la fronte madida di sudore, il respiro affannoso. Ma non lo fece.

Alessandro non glielo aveva confessato, ma già si pentiva di aver preso il volante. Sentiva il cuore contrarsi dolorosamente, il respiro farsi corto. Fermarsi? No, meglio arrivare a casa il prima possibile e sdraiarsi…

Gli alberi fiancheggiavano la strada come un muro nero, e la città sembrava allontanarsi invece di avvicinarsi. Alessandro accelerò, ma un dolore lancinante gli squarciò il petto, e tutto diventò buio. Lo schianto risuonò nella periferia addormentata, ma lui non lo sentì.

L’autista del camion balzò fuori dalla cabina e corse verso l’auto accartocciata. Capì subito che il conducente era morto. Accanto a lui c’era una donna. Provò ad aprire la portiera – era bloccata. Infilò la mano dal vetro rotto, cercando un polso. Invano. Le dita gli tremavano troppo.

Chiamò l’ambulanza e attese.

Lo assolsero. Nell’autopsia scoprirono che l’uomo era morto per un infarto prima dello scontro, l’alcol nel sangue lo aveva solo reso più vulnerabile…

L’autista del camion andò in ospedale per sapere come stava la donna. Aveva subito due interventi, ma ce n’era bisogno di un altro per sostituire l’anca. Altrimenti non avrebbe più camminato. Ma l’operazione costava.

***

«Riccardo, finalmente! Ho trovato un appartamento perfetto. È proprio come lo volevamo: quinto piano, ascensore, in centro, e il prezzo è ottimo. Serve un po’ di lavoro, ma ho contrattato. Andiamo a vederlo domani. Quanto abbiamo sul conto? Se non hai prelevato, dovremmo farcela» chiacchierò entusiasta Sofia mentre Riccardo si lavava le mani.

Lo bloccò nel corridoio, cercando il suo sguardo.

«Aspetta, Sofia» la spinse delicatamente da parte.

«Cosa aspettare? Un affare così se ne va in un attimo. Ho convinto il proprietario a non mostrarlo ad altri. Non riuscivo a chiamarti, avevi il telefono spento.»

«Quando guido, non rispondo, lo sai» disse lui, sedendosi a tavola. «Fammi mangiare» evitò il suo sguardo.

Sofia prese un piatto, aprì la padella e si bloccò con il mestolo in mano.

«Hai cambiato idea sull’appartamento?» si girò di scatto. «O hai altri progetti? Hai lasciato un lavoro ben pagato per fare il tassista… Hai un’altra donna? Perché non parli?»

«Non dire sciocchezze. Non c’è nessun’altra. E nemmeno soldi» sussurrò lui.

«Come?» Sofia si sedette con il piatto vuoto, fissandolo. «Dove sono? Li hai dati a un’altra?»

«Basta!» alzò la voce. «Li ho dati a quella donna, anzi, all’ospedale, per l’operazione.»

«Quella il cui marito è morto nell’incidente? Ma tu che c’entri? Sei stato assolto! Non capisco.»

«Non ero colpevole. Né lui. È solo capitato. Lui è morto, lei è rimasta invalida, e c’è un bambino…»

«Ti sei impietosito. E noi? Quanti sacrifici, sempre in viaggio. Viviamo in un bilocale da una vita. Io cercavo case, guardavo mobili… Tu sei pazzo.» Sofia sbatté il piatto sul tavolo e uscì dalla cucina.

Riccardo la seguì. Era seduta sul divano, le braccia incrociate, lo sguardo fisso alla finestra. Le toccò una spalla. Lei si scosse, respingendolo.

«Scusa se non ti ho chiesto. Ma quei soldi li ho guadagnati io, ho deciso io. Siamo vivi e sani. Lei no, ha un bambino da crescere… Non potevo vivere sapendo che…»

«Ma perché proprio tu?» lo interruppe, la voce rotta dal pianto.

«Ho deciso così.»

«Non li avremo mai più quei soldi.»

«A che serve una casa grande? Se avessimo avuto figli…»

«Me lo rinfacci? Ti ho proposto di adottare!» urlò.

«Sofia, ho quasi cinquant’anni. Sarei nonno, non padre.»

Litigarono a lungo. Alla fine, Sofia gli diede un cuscino e lo cacciò a dormire sul divano in cucina.

Riccardo rigirandosi, ripensava a quella notte. Aveva visto la strada libera, da dove era uscita quell’auto? Tutto quello che aveva fatto era frenare. Ma il camion non si ferma subito. L’altro guidatore era già morto prima dell’impatto…

Dopo l’incidente, aveva smesso di lavorare come autotrasportatore. In taxi guadagnava meno, ma almeno non aveva più incubi.

Andò in ospedale a trovare quella donna. Dormiva sempre, forse sedata. I medici dissero che serviva un’operazione costosa. Allora donò tutto ciò che aveva, chiedendo che non le rivelassero da dove venivano iE così, un po’ alla volta, quelli che erano estranei divennero una famiglia, trovando nella fragilità degli inizi la forza per ricominciare.

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