Colpo di Ritorno

**RIPICCA**

– Chi è quella donna, Caterina? – chiese piano Igor, cercando di non farsi sentire dagli altri passeggeri.

– Quale donna? – Caterina alzò lo sguardo dal telefono, dove stava scrivendo un messaggio a un’amica.

– Quella lì… Vedi? È seduta vicino all’ultima finestra e continua a guardarci. Direi che ci fissa senza vergogna.

Caterina si sollevò leggermente per vedere chi era, ma quando riconobbe la donna, il colore le scomparve dal volto. Poi si ricompose, fingendo indifferenza, e alzò le spalle per confermare il suo disinteresse:

– Non so chi sia.

– Non mentire, – si arrabbiò Igor, – ho visto come hai reagito quando l’hai vista. Chi è?

– È mia madre, – ammise Caterina dopo un breve attimo di esitazione, decidendo che era meglio dire la verità.

– Tua madre? – Igor era sorpreso, – Ma mi avevi detto che tua madre non c’era più.

– Ed è così…

– Non comprendo, – Igor osservava con curiosità il volto della moglie, – me lo spieghi?

– Ne parliamo a casa…

– Non andrai nemmeno a salutarla? Vive qui, nella nostra città?

– Ti prego, Igor, parliamone a casa, – implorò Caterina con la voce quasi rotta, le lacrime agli occhi.

– Va bene, – rispose Igor voltandosi verso il finestrino, offeso.

Caterina non cercò di consolarlo. Era contenta che, almeno per un po’, l’avessero lasciata in pace. Anche se pace non era la parola giusta: nella sua mente si riaffacciavano immagini dell’infanzia…

***

Caterina non ricordava suo padre. Sapeva solo, dalle parole della madre, che era stato un uomo “orribile”.

Ma la mamma diceva anche che Caterina era fortunata: aveva un patrigno meraviglioso nella sua vita.

Caterina ricordava questo patrigno da quando aveva otto anni. Tuttavia, non capiva cosa ci fosse di così meraviglioso in lui. Era rude, cattivo, avaro. “Perché la mamma lo ama così tanto?”, si chiedeva la piccola Caterina, rintanandosi in un angolo per non farsi trovare dallo zio Pietro.

No, non l’aveva mai picchiata, né offesa apertamente. Ma nemmeno la considerava una persona. Mai l’aveva chiamata per nome. Guardava Caterina come se fosse invisibile.

Se discuteva con sua moglie di Caterina, diceva cose del tipo:

– La bambina non sa comportarsi…

– Tua figlia mi dà sui nervi quando voglio riposare…

– Spiegale che è troppo presto per uscire con i ragazzi.

– Hai visto il suo diario? Guarda! Mi vergogno che viva in casa mia!

“Casa sua! Eppure è l’appartamento mio e di mamma!”, pensava Caterina durante l’adolescenza. Ricordava bene che si erano trasferite lì dopo la morte della nonna.

Un giorno, mentre il patrigno pronunciava questa frase per la millesima volta, Caterina non resistette e gli disse apertamente:

– Non sono io che vivo in casa tua, siete voi che vivete a casa nostra! Se non vi piace, potete andarvene! Nessuno sentirà la vostra mancanza!

Il patrigno si avvicinò rapidamente a lei, come se volesse zittirla, ma si fermò all’ultimo momento. Si rivolse bruscamente a sua moglie e sibilò:

– Fai in modo che non la veda mai più!

La madre prese Caterina per mano, trascinandola fuori dalla stanza:

– Certo, caro, sarà come desideri…

Guardava sempre il marito come fosse una divinità. Obbediva ciecamente, serviva, parlava con una voce dolce e cercava di compiacerlo in ogni modo.

Perché? Caterina non riusciva a capire.

Un’unica cosa le era chiara: se il patrigno l’avesse voluto, la madre l’avrebbe cacciata di casa senza problemi.

– Cosa credi di fare? – sibillava la mamma quel giorno, – non osare mai parlare così a tuo padre!

– Non è mio padre! – gridò Caterina, – e non lo sarà mai!

– Non importa! Ti dà da mangiare, da bere e ti veste, e tu… Ingrata!

– Non vi ho mai chiesto di mettermi al mondo! – piangeva Caterina, – e di crescermi non ve l’ho chiesto! Dovevate darmi a qualcun altro se non volevate soffrire!

– Avrei dovuto farlo! – rispose secca la madre, – ma nessuno ti voleva! E tuo padre è scappato appena sei nata! Mi hai rovinato la vita!

Sentendo queste parole, Caterina fu presa da un tale odio che la spinse forte e scappò dall’appartamento.

Nessuno cercò di fermarla. E durante la settimana in cui non tornò nessuno si interessò a lei o a cosa le fosse successo.

All’epoca Caterina aveva quindici anni…

Che poteva fare? Nulla.

Le amiche la ospitarono a turno per qualche giorno, ma questo non risolveva il problema. Dovette tornare.

Con le mani tremanti, Caterina aprì la porta…

– Sei tornata? – disse soltanto la madre, – vai in camera tua e non esci fino a quando non te lo dirò…

“Devono averla convinta”, pensò Caterina, e si rifugiò subito nella sua stanza.

Da quel giorno, il patrigno smise di parlare di lei, comportandosi come se non esistesse.

La mamma, ovviamente, seguì il suo esempio: non la chiamava a tavola, non chiedeva dei suoi affari, non cercava di parlare con lei.

Caterina capì bene che avevano preso una decisione. Probabilmente aspettavano solo che finisse la scuola…

E non si sbagliava. Non appena prese il diploma, la madre accennò che era il momento di prepararsi a una vita indipendente.

– Appena compi diciotto anni, andrai a vivere per conto tuo, – dichiarò, per poi ritornare al suo silenzio.

Caterina ci pensò e decise di iscriversi all’università. Per prima cosa, avrebbe liberato la sua famiglia dalla propria presenza, e in secondo luogo, gli studenti fuori sede hanno diritto a un dormitorio. Ciò significava che per almeno cinque anni avrebbe avuto un tetto sopra la testa…

Caterina non entrò all’università. O meglio, fu ammessa, ma a un corso a pagamento. Sapeva che nessuno avrebbe pagato i suoi studi, ma lo disse comunque alla madre:

– Mamma, congratulazioni, sono diventata una studentessa.

La madre la guardò annoiata:

– E allora?

– Beh, le tasse universitarie… Non sono alte…

– Neanche pensarci. Non vedrai un soldo per queste scelte! Abbiamo già investito troppo in te! E tu in cambio hai solo agitato i nostri nervi! Ora dovremmo anche pagarti gli studi?!

– Scusa. Certo, non dovete, – rispose Caterina, – non avrei dovuto nemmeno dirtelo.

– Infatti: non avresti dovuto. Cerca un appartamento per te.

– Mamma, non ho soldi per pagarlo…

– Vai a lavorare, invece di pensare allo studio. Ti do ancora un mese… Poi devi andartene.

– Un mese è poco, – Caterina tentò di fare leva sulla madre, – posso stare almeno altri sei mesi?

– Sei mesi? Assolutamente no. Ho già dovuto convincere tuo padre a sopportarti ancora. Inoltre, abbiamo programmato il restauro. Vogliamo trasformare la tua stanza in una camera da letto. Insomma: un mese, non di più…

E Caterina trovò un appartamento. Chiamarlo così era un eufemismo. Una piccola dipendenza in un cortile privato. Senza comfort. Con una stufa. Però – economico…

Quando lasciò la casa, la madre le diede una forchetta, un cucchiaio, un piatto, una tazza, un coltello e un tegamino. Poi ci pensò e aggiunse: un asciugamano e un vecchio set di lenzuola.

– Prendi anche questo, – disse, evitando lo sguardo e porgendole un piccolo pacchetto, – buona fortuna, figlia mia. Spero che crescendo mi capirai.

– Grazie, mamma, – rispose Caterina, – posso venire a prendere i miei vestiti invernali più tardi?

– Basta che non ci metti troppo a lungo, altrimenti potresti non trovarli qui…

– Li butteresti?

– Io no, ma a tuo padre potrebbe non piacere. Lo capisci…

– Lo capisco, – Caterina abbracciò la madre, – bene, allora, vado…

E così, a diciotto anni, Caterina intraprese la sua vita indipendente.

Con il benestare della madre…

Il denaro che la madre le diede bastò fino alla prima busta paga. Naturalmente, Caterina risparmiò ogni centesimo. Evitava persino di usare i mezzi pubblici: andava a piedi fino alla fabbrica.

Ricevuta la prima paga, si sentì ricca! Comprò cereali e pasta a volontà, una bottiglia di olio di girasole e un intero sacco di patate.

Doveva ancora acquistare shampoo, sapone, dentifricio…

Dopo aver comprato tutto il necessario, Caterina contò i soldi rimasti e, mettendone da parte una piccola somma in una bella busta, decise: anche se poco, avrebbe messo da parte qualcosa per una casa.

Andò a trovare la madre dopo circa un mese: voleva salutarla (credeva ancora ingenuità che sua madre fosse contenta di vederla) e prendere i vestiti caldi: l’estate era finita e faceva freddo come in autunno.

La porta le fu aperta da un ragazzo.

– Ciao, hai sbagliato porta? – chiese lui allegramente.

– In realtà sono qui per mia mamma, – disse Caterina, confusa.

– Ah… Sei Caterina? Entra. La mamma non c’è, ma puoi aspettarla.

– Aspetterò, – disse decisa Caterina entrando in cucina.

Il ragazzo provò a parlare con Caterina, ma lei lo guardò con tale intensità che lui si dileguò presto.

Più tardi, la madre tornò. Non sembrava particolarmente felice. Alla domanda di Caterina sul ragazzo rispose:

– È Oleg. Il figlio di tuo padre dal primo matrimonio.

– E perché vive con voi? Mi avevi detto che stavi programmando il restauro.

– Rimarrà qui breve tempo. Deve solo ambientarsi in città, trovarsi un lavoro e spostarsi in un appartamento.

– Capisco, – disse Caterina, – ho preso le scarpe e il cappotto…

– Prendi tutto. Non lasciare niente. Mi stanca spostare sempre tutto da un posto all’altro.

– Quando ti stanca, mamma? Sono passati solo due mesi.

– Non fare la sapientona, – si irritò la madre, – sei venuta, quindi prendi tutto.

– Non ti interessa sapere come sto?

– Non mi interessa, – la madre non riusciva (o non voleva) parlare davanti a Oleg.

– Non mi sorprendi, – disse Caterina avviandosi all’ingresso…

– Ti accompagno? – apparve Oleg da qualche parte, – come farai con una borsa così grande?

– Ce la farò, – rispose Caterina uscendo dall’appartamento…

Dopo un paio di mesi tornò per prendere il piumino. Ancora una volta fu Oleg ad aprirle. Questa volta la mamma era in casa. Alla domanda di Caterina:

– È ancora da voi? – la madre esplose:

– Non è affare tuo! Starà qui quanto vorrà! Alla fine è venuto per suo padre!

– E io sono qui con mia madre, – notò Caterina, – e questo non mi ha salvato.

– Non paragonare! È diverso!

– Cosa c’è di diverso? – chiese deciso Caterina, – in cosa?

– Non devo spiegarti niente! – gridò la madre, – questa è casa mia e solo io decido chi ci vive.

– Capisco.

– Cosa capisci?!

– Che un estraneo ti è più caro della tua figlia, – disse Caterina con fermezza e tranquillità.

– Non ho nessuna figlia! – esplose lei, – e Oleg è il figlio dell’uomo che amo! Per me è come un figlio!

– Congratulazioni, – Caterina guardava la madre come se fosse una donna sconosciuta, – in tal caso, io non ho più una madre.

E se ne andò.

Convinta, per sempre.

Per quattro anni Caterina non diede notizie. Non chiamò, non andò a trovarla.

E ora quell’incontro…

***

Mentre Caterina riviveva quei momenti, la madre si alzò e si avvicinò.

Igor si alzò per farle spazio.

– Ciao, – il familiare ma dimenticato suono della voce della madre riecheggiò nelle orecchie di Caterina.

– Ciao, – rispose lei a mala pena.

– Chi è lui? – chiese la madre accennando a Igor.

– Mio marito.

– Congratulazioni.

– Grazie.

– Anche da noi va tutto bene. Papà lavora, Oleggino ha trovato una ragazza. Carina e tranquilla. Il mese prossimo si sposano. Sai, diventerò presto nonna. Che gioia! Abbiamo deciso di destinare la tua stanza al bambino. Abbiamo già iniziato i lavori. Comprato la carta da parati più costosa, con motivi per bambini. E vogliamo comprare una casa in campagna. Per il bambino, l’aria fresca e le vitamine sono importanti. Stiamo cercando qualcosa di economico, ma comunque vivibile e vicino a un fiume. O a un lago…

Caterina ascoltava, cercando di capire perché questa donna estranea le stesse raccontando tutto quel discorso.

– Da quanto sei sposata?

– Da due anni, – rispose automaticamente Caterina.

– Pensate a dei figli?

– Nostro figlio ha quasi un anno.

– Quindi ho un nipote?

– Ha voi? – finalmente Caterina si rivolse alla madre.

– A me, – si corresse mamma, – tu sei mia figlia.

– Si sbaglia, signora. Mia madre è morta quattro anni fa…

La madre impallidì. Si alzò in silenzio e andò verso l’uscita.

Caterina si voltò verso la finestra; non provava alcuna pietà… verso quella donna.

Igor osservava entrambe, ascoltando la conversazione.

E improvvisamente comprese: erano assolutamente estranee!

Decise che non avrebbe chiesto nulla alla moglie sul passato. Sentiva che fare domande sarebbe stata una sensazione terribile.

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