Ogni sera, esattamente alle otto, Luca spegneva la luce in cucina e si sedeva vicino alla finestra. Quel rituale era la sua ancora di salvezza, l’unico filo a cui aggrapparsi per non andare in mille pezzi. La giornata si chiudeva con quel momento in cui poteva starsene lì, senza parlare, senza spiegare, semplicemente… essere.
D’altra parte, al settimo piano di un vecchio palazzo in via dei Gelsi, si accendeva una fioca lampada gialla. Non subito: con un lento tremolio, come se qualcuno esitasse: accenderla o no? Disturberà? Sarà troppo luce per questo buio? Luca ormai conosceva a memoria quel battito di ciglia luminoso, era diventato un segnale: stava per succedere qualcosa. Niente di eclatante, niente per tutti. Solo per chi sapeva aspettare.
Appariva una donna. Minuta, con un foulard che aggiustava di continuo. A volte con una tazza, a volte con un libro. Altre con un’espressione così stanca che pareva il giorno fosse durato non ventiquattr’ore, ma un’eternità. Si sedeva davanti alla finestra, senza guardare direttamente lui, ma fissando lo stesso punto—il crepuscolo, il riflesso, il silenzio. Luca la chiamava mentalmente “la donna alla finestra”. Senza nome. Senza parole. Solo luce e ombra.
Non si conoscevano. Lui non sapeva il suo nome, non aveva mai sentito la sua voce. Ma ogni sua apparizione era come una confessione: tu esisti, anch’io sono qui. Sera dopo sera, Luca rimandava ogni impegno fino alle otto. Dopodiché, solo la finestra. Come se tutto il resto perdesse senso, e solo quel breve istante gli ricordasse di essere vivo. Cominciava a vivere alle otto di sera. Esattamente il tempo in cui la sua sagoma restava illuminata da quella lampada.
Due anni prima, Luca aveva perso la moglie. Rapido, crudele, senza pietà. Non aveva nemmeno fatto in tempo a spaventarsi. Diagnosi, chemioterapia, ossigeno, silenzio. La morte non era arrivata con drammi—aveva solo spento la vita, come si spegne la luce nel corridoio. Lui era rimasto. Solo. Non vedovo—ombra. All’inizio aveva bevuto. Non per dimenticare, ma perché non sapeva come riempire il vuoto. Poi, semplicemente, taceva. Non per rabbia, ma perché dentro c’era… niente.
Contava le gocce dal rubinetto. Lo scricchiolio dell’ascensore. I segnali acustici al telefono. Lavorava da casa, meccanicamente, senza anima. Gli amici erano spariti. Alcuni da soli. Altri, li aveva allontanati lui. La vita si era trasformata in un vuoto sordo. Finché, una primavera, era apparsa lei.
All’inizio aveva notato solo un’ombra. Una sagoma. Poi, un volto. Uno sguardo quieto, senza curiosità, senza invadenza. Solo uno sguardo. Neutro. Rassicurante. Che non chiedeva niente.
Una volta era arrivato tardi. Tornato dalla farmacia più del solito. La luce alla finestra era già accesa. Lei era lì. Senza libro, senza tazza. Solo gli occhi—e una leggera, tesa immobilità. Come se aspettasse. O ricordasse. Lui si avvicinò alla finestra. Timidamente, col fiato sospeso. Alzò una mano. Piano, quasi impercettibilmente. Senza aspettarsi nulla. Lei non reagì. Ma non distolse lo sguardo. Restò lì. E bastò perché in lui qualcosa si smuovesse.
La sera dopo, lei non c’era. La lampada—accesa. Ma lei—assente. Solo la finestra vuota. Il gatto, sì, era lì. Rannicchiato, con la coda avvolta intorno alle zampe. Guardava dritto giù. Dritto verso di lui. Come se sapesse. Come se dicesse: aspetta.
Luca non riusciva a stare fermo. Il cuore batteva. Strano. Forte. Non per paura—per qualcosa che aveva quasi dimenticato. Preoccupazione. Cura. Uscì persino in strada, fece il giro del palazzo, si fermò davanti al portone di fronte, alzò lo sguardo—stessa finestra. Stesso silenzio. Non osò suonare. Non si permise. Era il loro patto silenzioso—esserci, senza oltrepassare confini.
Due giorni dopo, ricomparve. Lentamente, come se si muovesse attraverso ovatta. Al braccio, una benda. Movimenti cauti. Ma lo sguardo, uguale. Solo un po’ più profondo. Più fermo. Lui alzò di nuovo la mano. Con un pizzico di incertezza. E lei… rispose. Con un gesto delicato. Con il palmo stanco. Come a dire: ci sono. Ti vedo.
Quella mattina trovò un foglietto sotto la porta. Senza busta. PieE quella sera, quando la luce si accese nella finestra di fronte, Luca sorrise per la prima volta in due anni, sapendo che, forse, il silenzio aveva trovato la sua voce.